Il 7 gennaio 1912 nasceva a Livorno Giorgio Caproni. Un poeta dalla personalità semplice ma profonda, come le sue stesse poesie. «È una voce autentica, non ha mai mentito. S’è raccontato con pudore e con grazia» dice a tempi.it la scrittrice Antonia Arslan, autrice del successo editoriale “La masseria delle allodole” ed esperta di letteratura contemporanea.
Lei ha conosciuto Caproni?
Personalmente no. Mi regalarono molti anni fa “Il seme del piangere”. Ai tempi leggevo molta poesia, soprattutto straniera: Paul Celan, Eliot, Pound, Yeats. Mi ricordo che me lo portai in Germania e me lo sono letto tutto. «Questa è una voce autentica», pensai. Limpida. Che sembra semplice ma è molto complessa e delicata. Così, ho comprato tutte le poesie.
Cosa ha più in mente del poeta?
Insegnando Letteratura italiana moderna e contemporanea a Padova, spesso lo inserivo nel percorso di studi. Apprezzavo la sua orgogliosa tranquillità nell’usare forme desuete, come la rima e i versi brevi, senza scadere mai nel banale. Sono versi cantabili e consolatori. È comprensibile. È bello. Tuttavia, quando lo rileggi, non pare una canzonetta
.
Semplicità che non era di casa, nella Toscana del ventennio fascista.
Non c’era solo l’ermetismo. C’era una linea toscana, un po’ recessiva ma importante: quella di Giovanni Papini e delle poesie alla nipote. È quella di Nicola Lisi e di Giacomo Noventa. Ma se gli altri puntano più sul dato religioso, Caproni si fissa su una emotività trattenuta, profonda, ma chiara. Si può leggere nel suo libretto giovanile “Come un’allegoria”, dedicato a Olga Franzoni, l’innamorata che morì nel ’36
.
Per riscoprire Caproni, cosa consiglia?
C’è una bella autobiografia, breve, comparsa sull’Antologia popolare dei poeti del Novecento, a cura di Vittorio Masselli e Gian Antonio Cibotto, Editrice Valecchi, Firenze, 1964. Parla con semplicità della sua poesia e della sua vita.