Lettere al direttore

Anche noi russi abbiamo bisogno di un abbraccio

L'ultimo incontro sull'Ucraina al Meeting

L'ultimo incontro sull'Ucraina al MeetingCaro direttore,
1) Partiamo dall’incipit indispensabile in un periodo in cui – esattamente al livello mostrato dalla peggiore pubblicistica sull’inquisizione – l’autodafé deve essere premessa fondamentale di ogni esposizione di pensiero. In tempi non sospetti, discutendo con gli amici (tra cui anche eminenti relatori a questo Meeting 2022) delle vicine elezioni presidenziali della Federazione Russa ero tra i pochi ad affermare che comunque l’allora Presidente (uguale a quello attuale) andasse cambiato anche in assenza di reali alternative, in quanto questa assenza di alternative era un portato inevitabile di tutta la sua politica. Mi si diceva che esageravo a dipingerlo come dittatore a livello dei precedenti sovietici, qualcuno ricordava il bene da lui fatto alla Chiesa. Non dico questo per irridere posizioni che dieci anni fa erano tranquillamente giustificabili e legittime, ma per sgombrare il campo da possibili ambiguità sulla mia posizione.

2) Mi sono collegato online con il Meeting giovedì 25 agosto alle ore 16.00 di Mosca per ascoltare l’incontro “Il filo della memoria, il fiore della speranza”. Di parole di speranza ne ho sentite ben poche da parte di chi di quella doveva parlare. Gli organizzatori sapevano di cosa avrebbe dovuto parlare la psicoterapeuta ucraina Natalia Davtjan? Un Meeting per l’amicizia tra i popoli può permettere un intervento trasudante l’idea di responsabilità collettiva di un popolo in nome della sofferenza di un altro popolo? Si vuole che i russi vivano il resto della propria vita chiedendo scusa? Di cosa? Se non basta essere attivisti di un’opera perseguitata e infine chiusa dal potere, che non ha mai fatto silenzio della sua posizione di fronte all’aggressione russa all’Ucraina, allora risulta che bisogna chiedere scusa di essere russi? Di esistere mentre qualcuno soffre a causa di un potere su cui non si può incidere in alcun modo? Basterebbe nozioni minime di sociologia per capire quanto sia impossibile una reale opposizione in un paese dove è completamente assente la libertà di stampa e forte il legame tra potere e forze dell’ordine, e la genesi della protesta dell’eroico popolo bielorusso l’anno scorso lo ha pienamente dimostrato.

3) La relatrice Olga Sedakova ha ammesso di essere d’accordo con il fatto di non permettere la partecipazione di personalità compromesse con l’attuale potere russo a manifestazioni culturali, musicali o sportive fuori dalla Russia. A prescindere da quanto detto sopra sull’autodafé, mi permetto una domanda: han fatto più morti civili, bambini compresi, i bombardamenti russi in Ucraina o quelli arabi nello Yemen? E la grande poetessa non ha provato alcun segno di disagio a partecipare ad una manifestazione che vantava tra i suoi principali successi l’invito come relatore di Muhammad Bin Abdul Karim Al-Issa, Segretario Generale della Lega Musulmana Mondiale, arabo, di cui dalle pagine del meeting si legge il seguente profilo: “ha ricoperto numerosi e prestigiosi incarichi pubblici in Arabia Saudita. […] Nel 2017 è stato nominato vicepresidente della Corte dei reclami. Successivamente, nel 2019, Al-Issa è stato nominato ministro della Giustizia e consigliere della Corte reale…. “?

4) È notizia recente la convocazione da parte delle autorità ucraine del Nunzio Apostolico di Kiev chiamato a “discolparsi” delle dichiarazioni del Santo Padre sull’assassinio di Darja Gudina. Il substrato culturale è lo stesso dell’intervento della Davtjan, delle proteste ucraine alla Via crucis del Venerdì santo, delle reazioni all’ultimo rapporto di Amnesty International sulla guerra russo-ucraina, di mille e mille interventi presenti sulle pagine social dell’intellighenzia russa antiputiniana che continuano a condannare una presunta inazione e a colpevolizzare per il semplice fatto di continuare a vivere, lavorare, sperare e amare in territorio dello stato aggressore. Se la cosa è perfettamente comprensibile da parte di quanti sanno di essere stati ingiustamente aggrediti, non è giunto il momento di chiedersi come sia meglio aiutare questi nel loro dolore? Una sete di libertà può diventare odio che acceca verso chi te la toglie; forse non permettere che questo si manifesti – nel tempo necessario alla purificazione – non dovrebbe essere uno dei compiti di chi vuole effettivamente aiutare? E se non tutti possono vantare la libertà e la statura morale del Papa che fa questo senza problemi, non si potrebbe cominciare almeno a misurare le proprie parole con le sue, i propri gesti con i suoi, e a chiedere di farlo a tutti quelli con cui si entra in contatto?

5) Alla fine dell’incontro di cui sopra al Meeting, Natalja Datvjan ha parlato di perdono, chiedendo al popolo del Meeting un abbraccio al popolo ucraino, perché solo sentendosi abbracciati l’odio si può sciogliere. Anche noi abbiamo bisogno di questo abbraccio. Ne hanno bisogno le decine di migliaia che sono fuggiti, profughi misconosciuti e condannati a continui autodafé. Ne hanno bisogno le centinaia di migliaia che cercano di mantenere un impossibile equilibrio tra un malcelato senso di colpa e la mancanza di luoghi per potere esprimersi, tempestati di accuse di inettitudine, snobbati come paria della storia e discriminati dal potere interno. Ne hanno bisogno i milioni purtroppo obnubilati da una propaganda martellante e incapaci di critica positiva, relegati nelle periferie di un territorio immenso e depresso, usati come carne da consenso e da cannone. Ne hanno bisogno le centinaia di migliaia che trovano nel contratto con l’esercito l’unica via di fuga all’alcolismo e alla disoccupazione della provincia abbandonata di regioni dimenticate anche dall’atlante geografico. Ne abbiamo bisogno tutti. Perché ci sarà un dopo, si smetteranno di seppellire i morti, e sarà vivo solo chi avrà sentito questo abbraccio.

Giovanni Maspes, Mosca

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