

Ai nostri occhi di europei, la vicenda statunitense delle armi sembra una follia. Ogni anno diverse stragi, spesso di bambini. Certo, prima ancora della questione delle armi, ciò dice molto della solitudine e della durezza di vita degli americani e delle conseguenze psichiche di tali condizioni. Purtroppo, la distruzione della rete sociale sta già operando anche da noi e, come tutta la cultura statunitense, tende a imporsi pian piano nei paesi satelliti (nel bene e nel male) come il nostro.
Ma torniamo alle armi. È chiaro che se le armi non fossero così facili da acquistare e tenere, ci sarebbero meno stragi, nonostante solitudine e durezza di vita. Basterebbe una legge per renderne l’acquisto davvero difficile, no? Sembra facile, da qui. Eppure, nessun governo, democratico o repubblicano, ce l’ha mai fatta. Si dirà che è colpa della lobby dei produttori di armi, che certamente hanno interessi enormi nel mantenere lo status quo. Vero, ma non sufficiente. Le lobby delle armi sono presenti anche nel resto del mondo ma non riescono a impedire una legislazione che applichi più controlli.
Negli Stati Uniti la vicenda delle armi è legata a una questione culturale profonda, condivisa da ben più persone che dal ristretto circolo dei libertari che spesso fanno capo alla destra del Partito repubblicano. Come noto, la questione si trova nel secondo emendamento della Costituzione americana, che recita che a nessuno sia impedito di portare armi. Secondo solo al diritto di parola e di libertà religiosa, l’emendamento nasce dall’esperienza della rivoluzione dove i cittadini americani conquistarono la propria libertà dagli inglesi attraverso una rivolta popolare armata. Uno dei temi della rivolta era proprio che gli inglesi, per controllare il proprio dominio, impedivano ai locali di portare le armi. Il diritto a portare le armi e a difendersi attraverso l’armamento popolare è dunque all’origine della storia.
Ma perché l’antecedente di quasi tre secoli fa dovrebbe rimanere tanto importante anche oggi? Perché è così sentito? Come in tutte le realtà sociali, la Costituzione descrive i miti fondativi e la natura della cosa ed è giustamente difesa. Ma anche se convinti di avere (anche loro) la Costituzione più bella del mondo – salvo gli attacchi a essa della recente woke culture – ciò non basterebbe a spiegare l’appoggio popolare al secondo emendamento.
Il fatto è che il secondo emendamento riflette una concezione della libertà, derivante nel bene e nel male dal calvinismo, che resta la matrice culturale più rilevante degli Stati Uniti, nonostante il processo di secolarizzazione in corso da duecento anni. La libertà di portare le armi significa che la responsabilità della sicurezza, come di qualunque altra vicenda sociale, è personale e non può essere delegata allo Stato. Del resto, il compianto professor Enrico Berti, uno dei migliori studiosi di Aristotele del mondo, ricordava nel suo libro Il bene di chi? (Marietti, 2015) che “privato” cittadino significa che si tratta di un cittadino “privato” delle armi, perché ha deciso di affidare allo Stato la propria difesa cedendo parte della libertà personale.
È il comunitarismo all’americana, figlio dei padri pellegrini: nel bene e nel male, lontanissimo dalla socialdemocrazia europea come da ogni cultura statalista.
Repubblicani e democratici condividono questa cultura di base, sebbene nel partito democratico ciò sia vissuto con più sfumature vista la storica presenza dei cattolici italiani, irlandesi e polacchi e la recente corrente “socialista”. Ma la cultura di fondo è la stessa ed è per questo che, nonostante le stragi, non si riesce a fare una legge che limiti il secondo emendamento.
Forse, il problema è anche che si cerca una soluzione legale “all’europea”, lontana dalle radici culturali locali. Qualche meccanismo che vincoli il possesso delle armi all’approvazione delle comunità locali di quartiere, scuola, chiesa sarebbe magari più accettabile per tutti, senza fare del secondo emendamento una nuova e inutile battaglia-bandiera, e rafforzando un po’ i corpi intermedi, la cui crisi, al di là e al di qua dell’Oceano, è all’origine di quella solitudine narcisistica che è diventata la triste marca dell’Occidente.
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