«Amatrice è caduta, ma i suoi cittadini sono rimasti in piedi»

Di Caterina Giojelli
24 Agosto 2017
A un anno dal sisma in centro Italia, problematiche, speranze e aneddoti su un popolo che vive "come se fosse in guerra". Interviste ai sindaci Pirozzi (Amatrice) e Petrucci (Accumoli)

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«In tempo di guerra ci vogliono procedure di guerra». Il suo ufficio è il terremoto che ha sbriciolato le case e le ossa della sua gente, lo è stato per 365 giorni su 365, 24 ore su 24, la sua divisa gli scarponi di montagna, tenere botta sul presente è il suo lavoro. Amatrice viene squassata dalle scosse, sepolta da due metri di neve, e il suo sindaco Sergio Pirozzi scava e tuona, tuona e scava, va impetrando soccorsi e aiuti con precisione chiururgica: la terra traballa e Pirozzi risponde scuotendoli tutti, uomini, governi, turbine, esercito, i suoi stessi cittadini. L’Italia lo ha conosciuto così, buio e luna piena, è stato la voce di “quella notte” e da “quella notte” ha trascinato alla luce tutto quello che andava accumulandosi, corpi, morti, macerie, ritardi, errori.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]CONSEGNARE LE CHIAVI. L’ultimo ha costretto il governo a una nuova retromarcia, «ci avevano promesso l’esenzione dai contributi e dalle tasse per le imprese per due anni – spiega Pirozzi a tempi.it –. E invece nel bando pubblicato dal ministero dello Sviluppo economico c’era solo una riduzione in percentuale del credito d’imposta. Ho preteso che venisse confermato per le zone del sisma l’esenzione nella misura del 100 per cento e così sarà: cambieranno l’articolo 10». È solo l’ultima delle sue tuonate sulle misure fiscali, «o mettono a posto o io qui faccio la contea sostenendola con le donazioni libere», ha minacciato più volte. E Amatrice, non smette di ricordarlo, ne ha ricevute tante, «fino a 20 giorni fa per fare la spesa dovevi fare 35/40 chilometri, oggi ha riaperto il primo supermercato, i primi negozi, ora tocca ai ristoranti, tutto grazie alla solidarietà del popolo italiano. Amatrice è caduta, ma i suoi cittadini sono rimasti in piedi. Sono resistenti, ma con le misure fiscali non si scherza, sono condizione necessaria per riaprire le attività. Senza lavoro case e scuole non servono». In altre parole ci vogliono le abitazioni e le tasse azzerate, la scuola e il pastificio. E patti rispettati, «ad oggi solo il 10 per cento delle macerie, che stanno lì a ricordarci la carne viva e la morte di chi abbiamo perso, è stato rimosso. Ma sono stati fatti gli appalti da parte della Regione Lazio per la rimozione e lo smaltimento, le ditte sono state individuate, mi auguro ora che si parta il prima possibile. Abbiamo consegnato ad oggi 210 case, un altro centinaio scarso verrà consegnato la prima settimana di settembre, penso che per metà ottobre tutte le 490 abitazioni che attendevamo saranno completate. Consegno le chiavi solo quando tutto è a posto, ragiono sui tempi per difetto perché l’esperienza ci insegna che dobbiamo ragionare solo così».

LA PENSIONATA LILIANA. È l’esperienza di un sindaco da tempo di guerra: Campo Zero, una delle prime aree dove sono state consegnate soluzioni abitative di emergenza, denuncia guasti e malfunzionamenti e Pirozzi pretende il numero verde della ditta che ha vinto l’appalto perché chiunque possa segnalare problemi, «hanno l’obbligo contrattuale di intervenire in tempi rapidissimi». Vien giù a gennaio la più grossa nevicata dal 1954 e Pirozzi passa la notte arrancando con i suoi uomini nella neve alta oltre un metro e mezzo per raggiungere le frazioni isolate, contatta i media, chiede spazzaneve, turbine, esercito per liberare gli intrappolati, «dei campanili non mi importa niente, l’emergenza ora è questa e non i crolli nella zona rossa. La zona rossa diventerà rossissima ma si ricostruirà, quello che conta ora è la salute delle persone». La terra trema, la neve cade e Pirozzi tuona, «sembra un castigo divino, mi aspetto le cavallette per Pasqua, ma ce le mangeremo, lo dobbiamo fare in onore delle persone che non ci sono più». I parlamentari europei vanno a Norcia in solidarietà con le popolazioni colpite dal terremoto e Pirozzi ribatte che «c’è una pensionata di Rignano Flaminio che ha donato un mese della propria pensione, un’altra signora, Liliana, ultranovantenne che ne ha donati sette ad Amatrice, “Prima che muoio voglio fare questa cosa”, ecco, non c’è parlamentare che possa eguagliare ciò che ha fatto Liliana per noi».

IL DOPO ERRANI. «In tempo di guerra ci vogliono procedure di guerra»: anche per questo, per la sua gente in guerra, Pirozzi attacca il dopo Errani che va configurandosi secondo le indiscrezioni a Palazzo Chigi, «con Errani c’era un rapporto diretto e personale, non istituzionale, ora parlano di nominare un nuovo commissario e ridisegnare la governance del post sisma affidando più potere ai governatori nella partita della ricostruzione. Ma qui ci vuole qualcuno con gli scarponi, non con i mocassini, quattro subcommissari, uno per regione, individuati tra i sindaci delle città della zona rossa. Anche se si è lavorato fianco a fianco le Regioni non hanno la forma mentis, non stavano tra la neve e le macerie».

COSA SUCCEDE A ACCUMOLI. La gestione del dopo Errani sta dividendo i sindaci del cratere. «So di andare controcorrente – spiega tra gli altri a tempi.it Stefano Petrucci, sindaco di Accumoli –, ma non vedo la necessità di nominare un nuovo commissario: la normativa è stata emanata, si potrebbe dare già mandato alle Regioni di procedere. Qualche sindaco delle regioni vicine non è d’accordo perché ha incontrato difficoltà ad interloquire con la propria amministrazione, ma non è il caso del Lazio. Errani ha svolto un ottimo lavoro, iniziare da capo sarebbe solo una perdita di tempo». Qualcuno ha definito Accumoli figlia di un dio minore riferendosi alla ribalta avuta sul fronte della solidarietà da Amatrice e Norcia, «ma la Regione ci è sempre stata vicina. È stato un anno durissimo, ora che le gare per la rimozione delle macerie sono state appaltate inizieranno gli sgomberi, e mi auguro che prima dell’inverno vengano rimosse tutte. Sul fronte casette ne abbiamo consegnate 125 su 200, le 75 restanti verranno consegnate tra fine mese e metà settembre. E sono state pianificate le attività per la messa in sicurezza dei cimiteri, mi auguro insomma che non siano più questi i termini della discordia tra popolazione e istituzioni». Nuove case e vecchie macerie: per Petrucci sono questi i simboli della speranza e quelli della disperazione di un’altra città stritolata dal terremoto del Lazio. «Accumoli oggi si racconta così. Ma per ripartire non servono solo simboli, serve rafforzare il sostegno al reddito per chi ha perso le attività e per chi ha perso lavoro, defiscalizzazione per un periodo congruo, collegamenti, servizi, investimenti. Serve ripartire dall’economia, servono nuovi punti di riferimento». Perché è questo che vogliono i sindaci in tempo di guerra da “quella notte” di furia accanitasi tra le vecchie case di pietra dei borghi di montagna, uscire dal giogo dei luogo simulacro di morte e devastazione, tornare ad essere luogo simbolo di nuova e salda vita, la seconda vita dell’Appennino.

Foto Ansa

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