Un’altra caccia alla strega cattolica. Il caso Tony Abbott

Di Redazione
11 Settembre 2020
La nomina dell'ex premier australiano nel Board of Trade britannico contestata perché lui è "omofobo" e "sessista". Una difesa da sinistra
Tony Abbott

Nel Regno Unito – ma forse è il caso di dire nel Commonwealth – si discute accaloratamente da qualche giorno sulla nomina dell’ex primo ministro australiano Tony Abbott a consigliere del Board of Trade, la commissione incaricata di supportare il governo di Londra negli accordi commerciali internazionali da costruire (o ricostruire) dopo la Brexit. La curiosità della notizia risiede non tanto nel fatto che la scelta di Abbott da parte del premier britannico Boris Johnson abbia suscitato polemiche, quanto nel motivo delle contestazioni: l’ex leader liberalconservatore australiano, infatti, agli occhi dei pretoriani del politicamente corretto appare inadeguato all’incarico in quanto presunto omofobo, sessista e perfino negazionista climatico.

I fatti nella scarna sintesi dell’Evening Standard:

«Il dipartimento del Commercio internazionale ha ora annunciato formalmente che Abbott sarà parte del rinnovato Board of Trade, in quello che viene indicato come un ruolo non retribuito. [L’annuncio] arriva dopo giorni di pressioni per impedire al 62enne l’accesso a tale ruolo sulla base di una serie di accuse. I critici hanno sollevato numerose perplessità nei confronti di Abbott, contestandogli tra le altre cose la misoginia, l’omofobia, lo scetticismo sul cambiamento climatico e la convinzione che le restrizioni contro il coronavirus debbano essere abolite».

(Per inciso, l’imputato sarebbe “omofobo” in quanto contrario al matrimonio gay, e sarebbe “misogino” in quanto una volta disse che gli uomini sono più tagliati per il potere delle donne e un’altra volta osò parlare delle donne australiane che stirano i vestiti. Ma lasciamo pure che tutto ciò resti appunto un inciso).

Ora, mentre quasi tutti i giornali, dal Guardian a Sky News, fanno a gara nel proclamare che Abbott è «l’ultima persona di cui ha bisogno il Regno Unito» e nel ricordare quante «cose controverse» ha detto Abbott nella sua carriera politica, è un fatto emblematico che una delle poche voci sollevatesi a sostegno del diritto dell’ex premier australiano di occuparsi di commercio malgrado la sua “omofobia” sia quella di una rivista libertaria di ultrasinistra come Spiked.

La settimana scorsa è stato il direttore in persona di Spiked, Brendan O’Neill, a controaccusare di «intolleranza» le «élite politicamente corrette» e malate di «Abbottphobia». L’editoriale di O’Neill, oltre a essere un attacco frontale alla dilagante «cancel culture», è un’utile lettura per farsi un’idea del tenore della polemica.

«Kay Burley è diventata virale (il sogno di ogni giornalista contemporaneo) quando ha chiesto conto al ministro della Sanità britannico, Matt Hancock, della discussa nomina di Abbott. Perché il governo ingaggia un “misogino omofobo”?, ha domandato, per la delizia dei sostenitori dei laburisti e dei Remainers che, avendo perso tutte le elezioni degli ultimi anni, oggi sono costretti a darsi la carica guardando i conduttori tv che sgridano i politici.

Pink News si è unito alla fustigazione di Abbott, raccontando lo sdegno che ha accolto il discusso incarico assegnato dal governo britannico a questo “omofobo” e “misogino” […]. Comunque Pink News ha trovato decisamente buon fango su Abbott: ha rivelato che una volta egli disse che “i bambini devono avere una mamma e un papà”. Chiamate la polizia del pensiero! […]

Anche i politici sono entrati in scena. Emily Thornberry, del Partito laburista, ha detto che è “sconcertante” che il governo mediti di collaborare con questo “misogino offensivo, aggressivo, malizioso e gaffeur. […] La deputata conservatrice Caroline Nokes ha detto alla Bbc che questo “tizio australiano” non dovrebbe neanche avvicinarsi al nostro Board of Trade. Tizio australiano. Che maniera interessante di definire un ex primo ministro».

Utile come antologia anche questo articolo del Corriere della Sera, tra i pochi giornali italiani che si sono occupati del caso Abbott: vi sono citate le parole indignate del leader laburista Keir Starmer, quelle di Nicola Sturgeon, premier scozzese, e «la lettera aperta di sir Ian McKellen, una leggenda del cinema e del teatro».

Al pezzo di Brendan O’Neill, ieri Spiked ha aggiunto un efficace commento di Stewart Slater, il quale infila una serie osservazioni di assoluto buon senso. Per esempio:

«Dato che la posizione proposta per Abbott appartiene alla sfera del commercio internazionale, è difficile comprendere come le accuse rivolte contro di lui debbano assumere un peso rispetto alle sue competenze, per la semplice ragione che tali accuse non riguardano la politica commerciale. Il solo modo per cui si può sostenere che siano rilevanti è spingersi ad argomentare che avere simili opinioni, in sé e per sé, dimostra che il soggetto è inabile all’adempimento dell’ufficio assegnatogli. Questo perché quelle stesse opinioni sono così evidentemente sbagliate che nessuna persona dotata di ragione le coltiverebbe mai.

L’opposizione al matrimonio fra persone del medesimo sesso è un’opinione di questo tipo? Visto quanto è recente l’adozione delle nozze gay da parte della società, è difficile crederlo. Lo stesso Barack Obama era contrario [al matrimonio gay] all’epoca della sua elezione nel 2008, prima che la sua posizione “evolvesse”».

Lo stesso Boris Johnson ha replicato alle critiche dichiarandosi in disaccordo con Abbott su tanti temi, ma confermando di ritenerlo più che adatto all’incarico di consigliere economico e commerciale. Il punto è esattamente qui: perché un politico contrario al matrimonio same-sex dovrebbe essere inadeguato a un ruolo pubblico qualunque, a maggior ragione in un ambito che non c’entra nulla con gli orientamenti sessuali delle persone?

Non solo. La campagna contro Abbott è proprio tutta ideologica, sottolinea Slater: non c’è nulla nel curriculum del politico australiano che autorizzi a temere una qualche sua volontà di usare il potere in modo antidemocratico o ideologico. Anzi.

«È importante notare che le accuse contro di lui riguardano le sue idee piuttosto che le sue azioni. Pur facendo campagna contro il matrimonio same-sex, è stato il suo governo a offrire un referendum sul tema, e dopo la legalizzazione, [Abbott] ha partecipato alle nozze di sua sorella con la di lei compagna. Allo stesso modo, il suo ex capo dello staff, una donna, lo ha difeso dalle accuse di sessismo precisando che tutti i suoi capi dello staff nel corso del suo mandato erano donne».

È già paradossale il fatto che occorra un’argomentazione lunga e articolata come quella di Slater per riaffermare quelle che dovrebbero apparire come ovvietà in una società democratica e soprattutto libera. Ma tant’è.

Resta notevole, nel commento di Slater per Spiked, l’analogia storica richiamata dall’autore. Un’analogia suggerita dalla considerazione che, come recita il titolo dell’articolo, l’unico crimine apparente di Abbott sembra proprio il suo “essere cattolico”, e dunque le sue idee da cattolico.

Già una volta, ricorda Slater, l’Inghilterra pensò di punire i cattolici escludendoli dalla vita pubblica. Fu all’epoca dei cosiddetti Test Act del 1673, in virtù dei quali «coloro che assumevano un pubblico ufficio dovevano firmare un documento di rinuncia alla dottrina cattolica della transustanziazione e di impegno a prendere i sacramenti nella Chiesa d’Inghilterra entro tre mesi dall’entrata in carica».

Discriminazione? Intolleranza? Certo, nota Slater. Ma bisogna ricordare che all’epoca «politica e religione erano strettamente intrecciate», e che «la Riforma anglicana era sfociata in una Guerra civile, e i protestanti, vincitori, intendevano difendere la loro vittoria».
Ecco, è a questo livello che il paragone tra l’attualità e la vicenda dei Test Act diventa «istruttivo», conclude Slater:

«Una nuova ideologia ha trionfato, in molti ambiti, su quelle precedenti. Ora intende cementare la vittoria sui suoi oppositori, e rimuoverli dal potere è un modo ovvio per farlo. Questo comunque, proprio come i Test Act, sarà pure comprensibile, ma resta ingiusto».

Foto Ansa

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