«All’armi! I bambini tracciati col gps giocano a calcio». Strasburgo li rieduca
Fermi tutti, a Strasburgo c’è della cospirazione spaziale di genere! Proprio lì, a pochi isolati dal Parlamentarium Simone Veil, ogni giorno un manipolo di ragazzini delle elementari aspetta il suono della campanella per compiere le sue malefatte testosteroniche: uscire e giocare a pallone. Un retaggio machista che relega le bambine ai margini di cortili e parchetti come protagoniste di un dramma di Cechov ambientato dietro l’altalena.
La conferma arriva dai segugi del Parisien appostati come chiunque «davanti al cortile di una scuola» un «venerdì pomeriggio di novembre» ed è imperdonabile riportare la notizia solo ora: «Al centro decine di ragazzi si passano la palla, si provocano, si rincorrono mentre le ragazze, nel bel mezzo di una discussione, si ammassano quasi all’unanimità contro i cancelli».
Strasburgo traccia i bimbi col gps: «Stiamo lottando contro migliaia di anni di patriarcato»
Ma questo il comune lo sapeva già: «Da sei mesi, 125 alunni delle scuole elementari di tutti i livelli e di diverse scuole indossano gilet con gps», spiega il quotidiano francese. Tutti i movimenti sono infatti tracciati per raccogliere dati al fine di estirpare la famigerata «discriminazione spaziale di genere che si radica fin dall’infanzia», come la chiama Christelle Wieder, vicesindaca e responsabile dell'”uguaglianza di genere” (sic) nella città amministrata dalla Giovanna d’Arco dell’égalité Jeanne Barseghian (suo il primo «bilancio sensibile al genere» approvato dall’amministrazione).
«Stiamo lottando contro migliaia di anni di patriarcato», è la chiosa entusiasta della direttrice della scuola elementare Paul Langevin, una delle sei che ha aderito alla “sperimentazione”. In pratica, dopo aver mappato i movimenti dei bambini come se fossero stormi migratori usciti da Black Mirror, Strasburgo ha indirettamente individuato l’alfa e l’omega delle disuguaglianze di genere: il calcio.
Non si chiama gioco del calcio ma “discriminazione spaziale di genere”
Una conferma indiretta che arriva anche dal rapporto annuale 2024 sullo stato del sessismo in Francia del Consiglio superiore per l’uguaglianza tra donne e uomini. Nel quale si legge che «la scuola crea sessismo», e «la condivisione dello spazio [in un parco giochi] è sintomatica». Infatti, «i ragazzi occupano il centro del parco giochi, le ragazze la periferia. Lì il calcio regna sovrano: costituisce il 90 per cento dello spazio disponibile nei cortili e il 70 per cento dello spazio collettivo». Il calcio regna sovrano. I maschi infestano i parchetti. Soluzione? Degenderizzare!
Lo sanno Lione, Rennes, Bordeaux e Grenoble (dove 4 anni fa con tanto di foto di un bulldozer il sindaco Éric Piolle dava il via all’operazione “débitumiser, dégenrer, végétaliser et potagiser”, addio asfalto e genere, benvenute piante e orti là dove prima erano tutti campetti di allenamento per maschi). E così anche Strasburgo si appresta ridisegnare i cortili scolastici, introducendo spazi più inclusivi e aree non dedicate esclusivamente agli sport tradizionalmente maschili, come calcio e basket.
Sorvegliare e rieducare. E non cadere sul pentolino rosa
Ma come fai a rimpiazzare lo spazio del calcetto senza cadere nello stereotipo del “pentolino rosa”? Non si sono, i francesi, guadagnati come noialtri europei già nell’indoor un master in giocattoli inclusivi come i lego degender, le barbie fluide, la transpatata? Non esiste il liberitutti almeno in esterna? Dice ancora Wieder che l’obiettivo non è tanto «deviralizzare» quanto realizzare «un’evoluzione del comportamento nel parco giochi con più uguaglianza e inclusività», che forse è un modo molto francese di chiamare l’ingegneria sociale, ovviamente evocata dal Figaro, o il Sorvegliare e punire di Focault. Tant’è che la Wieder assicura che per ripristinare la parità tra ragazze e ragazzi nei cortili delle scuole, il Comune sta lavorando anche alla «formazione di team educativi nelle scuole su nuove attività da offrire ai bambini, come la ruota dei giochi inclusivi o il misuratore delle molestie, per sensibilizzare gli studenti su atteggiamenti inappropriati».
Ricapitolando: se una bambina vuole giocare a calcio è sempre sintomo di una società emancipata e inclusiva, ma se un bambino vuole fare lo stesso lo è di un mondo retrogrado, sessista e patriarcale. Un po’ come le taglie e le etnie – che non contano mai, a meno che a immaginare bambini grassi e col doppio mento, o cinesi con gli occhi a mandorla e le bacchette, siano scrittori per bambini come Roald Dahl o il Dr Seuss -, così anche “calcio uguale oppressione storica” se è giocato dai maschi e non dalle femmine.
Forza fiori, abbasso i palloni
A questo punto, invece di farsi due domande su tutti quei begli anni di gavette a base di abcd dell’uguaglianza e derivati da anni somministrati fin dalla scuola dell’infanzia, e tutti quei bei pistolotti transnazionali sul mai regalare bambole e pentolini o cose rosa a una bambina né soldatini e automobiline e cose blu a un bambino (pena intrappolare le prime in uno stereotipo e tirar grandi i secondi come etero, cis, patriarcali, grassofobici, aporofobici, abilisti) – pistolotti arrivati anche qui, alla periferia dell’impero dove a proposito di uguaglianza il parlamento di Strasburgo ci ha equiparati all’Ungheria e all’Uganda – leggiamo che Strasburgo ha avuto una idea geniale. Il verde.
In pratica l’idea è di combattere gli oppressori in erba con l’erba. I giardini, insomma, dove i bambini saranno portati a condividere e fare cose inclusive come per esempio boh, annusare i fiori o innaffiare la lattuga. Non si tratta di abolire ma dissuadere: si è mai visto un patriarcato che ammette aiuole di violette accanto a un corner kick? In attesa della pista di parkour immaginativo, il labirinto delle identità fluide, l’orto delle esperienze condivise e il centro studi tutti fermi-tutti uguali, nulla dice “inclusività” come un’aiuola che ti vieta di tirare calci a un pallone.
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