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Albertini rischia processo per calunnia: ha chiesto conto (pubblicamente) dell’operato del pm Robledo

Perché la procura di Milano ha tenuto il dossier Serravalle nel cassetto per 6 anni? L'ex sindaco lo ha domandato al ministero della Giustizia ed è stato indagato

Francesco Amicone
03/10/2014 - 2:00
Interni
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Quando i magistrati intercettano, pedinano, sequestrano, per quanto traballante sia l’inchiesta, l’obbligo dell’azione penale li esonera da qualsiasi responsabilità. «I magistrati hanno il dovere di indagare», si ricorda. E se vengono chiamati a rispondere del loro operato? Possono chiamare a rispondere in tribunale i loro accusatori, anche quando questi hanno l’immunità. È quanto capitato a Gabriele Albertini. L’ex sindaco di Milano, ora senatore di Ncd, con un esposto inviato come europarlamentare nel 2012 al ministero della Giustizia aveva chiesto pubblicamente conto di tre casi giudiziari mal gestiti a suo avviso dalla procura meneghina, riconducibili all’ufficio del procuratore aggiunto Alfredo Robledo. Ebbene quell’esposto ha portato Albertini in tribunale, a Brescia. N0n come testimone, bensì come indagato per “calunnia aggravata”. Le indagini sono state chiuse dai pm, lunedì, e l’ex sindaco sarà chiamato a rispondere davanti ai giudici.

IL CASO PENATI. Il capitolo più pesante delle contestazioni di Albertini a Robledo riguarda il dossier sull’acquisizione di alcune quote della società Serravalle da parte della Provincia di Milano guidata dal piddino Filippo Penati. Quando era ancora sindaco, Albertini denunciò quello che secondo lui era stato uno sperpero di denaro pubblico operato dalla giunta di centrosinistra in favore del gruppo Gavio (calcolato in seguito in 118 milioni di euro dalla Corte dei Conti). Robledo indagò, ma il caso si arenò dopo una consulenza di periti che, pur non escludendo l’esistenza di un sovrapprezzo nell’acquisizione, in parte scagionava la Provincia. Nel 2012 Albertini riscontrò che l’indagine per ben sei anni non era mai arrivata davanti al giudice per le indagini preliminari; che solo nel 2011 Robledo trasmise gli atti a Monza, dove intanto era stata aperta un’inchiesta per corruzione su Penati. Per Albertini – che dal 2012 al 2014 ha fatto numerose interpellanze, chiedendo conto della supposta indolenza di Robledo – il magistrato di Milano non avrebbe svolto correttamente il proprio lavoro, facendo sì che alcuni potenziali reati si prescrivessero.

LE INTERPELLANZE DI ALBERTINI. Più volte l’ex sindaco di Milano si è rivolte al ministro della Giustizia, tanto a Paola Severino quanto ai suoi successori, compreso l’attuale guardasigilli Andrea Orlando (qui il testo dell’ultima interrogazione), perché gli ispettori del ministero verificassero le accuse. Secondo il senatore, nelle azioni del procuratore Robledo «sono ravvisabili comportamenti censurabili, disciplinarmente sotto il profilo della deontologia professionale».
Le interpellanze di Albertini sono giunte non solo al ministero della Giustizia ma anche al Csm, organo supremo della magistratura, in un momento delicato per la procura di Milano. Si stava consumando la guerra fra due fazioni di procuratori meneghini sulla dirigenza di Edmondo Bruti Liberati (foto a destra): da una parte i “non allineati”, guidati proprio da Robledo; dall’altra, i lealisti, vicini al procuratore capo. Il dossier di Albertini è giunto al Csm in concomitanza con l’apogeo dello scontro, poi archiviato. Anche sulle accuse di Albertini il Csm ha deciso di archiviare, trasmettendo gli atti al procuratore generale di Cassazione. L’esposto di Albertini, dichiarava il Csm nella delibera del 21 maggio, «può eventualmente avere rilevanza esclusivamente sotto il profilo disciplinare qualora si dovesse rilevare un’inescusabile inezia investigativa». Ora spetterà alla Cassazione decidere. Nel frattempo, però, il senatore di Ncd dovrà rispondere al tribunale di Brescia dei suoi sospetti.

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L’ACCUSA DI CALUNNIA. Le accuse sull’operato di Robledo, per le quali Albertini è finito sotto processo, sono sempre state pubbliche ed esposte in qualità di europarlamentare. Nonostante ciò, il senatore di Ncd è stato chiamato a rispondere per “calunnia aggravata”. Corpo del reato sono le motivazioni con cui ha chiesto all’allora guardasigilli Severino di mettere sotto la lente l’operato del magistrato Robledo.
Per la difesa, guidata dall’avvocato Augusto Colucci, le interpellanze di Albertini ricadono sotto il profilo dell’insindacabilità. Non si tratterebbe di accuse “campate in aria”. La domanda è: il fatto che il Csm abbia inoltrato il fascicolo su Robledo alla Cassazione – che non si è ancora espressa – o che gli ispettori del ministero non abbiano riscontrato abusi o violazioni nell’operato del procuratore aggiunto di Milano (salvo ravvisare sul dossier Serravalle «una inerzia obiettivamente pregiudizievole») basta a chiedere che un parlamentare renda conto alla giustizia penale delle sue interpellanze? Al di là della risposta, è difficile non notare che nessuno dei cittadini ingiustamente indagati (calunniati?) da parte della magistratura potrà mai avviare un procedimento penale (e nemmeno civile) contro i propri accusatori. Che indaghino o no, che sbaglino o no, una cosa è certa: i magistrati hanno sempre la spada della giustizia dalla parte del manico.

Tags: Alfredo RobledoAndrea OrlandocalunniacomuneCsmEdmondo Bruti Liberatifilippo penatigabriele albertinimagistratimagistraturaMilanopaola severinoprocura di Milanoserravalle
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