L’amicizia tra Cina e talebani all’ombra del G20 sull’Afghanistan
Non è stato il presidente Xi Jinping, ma il ministro degli Esteri Wang Yi a rappresentare la Cina al G20 in collegamento video sull’Afghanistan convocato dal presidente del Consiglio italiano Mario Draghi, ma questo non significa affatto che i cinesi non considerino di grande importanza il dossier afghano.
Almeno dieci incontri
Al contrario: mentre la stampa dava notizia con una certa enfasi di un incontro a Doha lo stesso 12 ottobre fra una delegazione dell’Unione europea e rappresentanti talebani (ma, almeno in Italia, non di quello del giorno prima nello stesso luogo fra diplomatici tedeschi e talebani), la Cina aveva già messo in archivio almeno una decina di incontri con esponenti del rinato emirato afghano dopo la caduta di Kabul: telefonici, in collegamento o in presenza.
Di seguito una sintesi dei più importanti, successivi all’intervista di Zabihullah Mujahid a Repubblica del 1° settembre. In essa il portavoce talebano aveva affermato: «La Cina è il nostro partner principale e rappresenta per noi una fondamentale e straordinaria opportunità poiché è disponibile a investire e ricostruire il nostro paese. Teniamo moltissimo al progetto “One belt, one road” che porterà a rivivere l’antica Via della seta. Inoltre possediamo ricche miniere di rame che grazie ai cinesi potranno tornare in vita ed essere modernizzate. Infine la Cina rappresenta il nostro lasciapassare verso i mercati di tutto il mondo».
I rapporti tra Pechino e l’Afghanistan
Il giorno dopo, in un colloquio telefonico con Abdul Salam Hanafi, che di lì a pochi giorni sarebbe diventato uno dei due vice primo ministro dell’emirato, il viceministro degli Esteri cinese, Wu Jianghao, aveva affermato: «Il futuro e il destino dell’Afghanistan sono di nuovo nelle mani del popolo afghano (…) l’amicizia fra la Cina e l’Afghanistan è stata genuina per migliaia di anni, e la Cina ha sempre rispettato la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Afghanistan e ha perseguito una politica amichevole verso il popolo afghano».
Per parte sua Hanafi ha definito la Cina «un amico fidato dell’Afghanistan» e ha aggiunto: «I talebani afghani sono desiderosi di impegnarsi ulteriormente nello sviluppo di relazioni amichevoli con la Cina e non permetteranno mai che alcuna forza utilizzi il territorio afghano per minacciare gli interessi della Cina, e prenderà misure effettive per garantire la sicurezza delle istituzioni e del personale cinesi in Afghanistan. (…) la cooperazione nell’ambito del progetto “Belt Road Initiative” (Bri) auspicata dalla Cina è foriera di sviluppo e prosperità per l’Afghanistan e per tutta la regione. (…) L’Afghanistan spera di continuare a sostenere e a partecipare attivamente al progetto Bri».
L’impegno della Cina contro le sanzioni
Il 5 settembre in un’intervista esclusiva al China Media Group (CMG) il portavoce Mujahid manifestava l’esigenza di investimenti esteri in Afghanistan e la speranza dei talebani che la cooperazione fra Cina e Afghanistan facesse progressi. Tali speranze erano da lui ribadite in una conferenza stampa il 6 settembre, nel corso della quale manifestava la volontà del governo talebano di partecipare al Corridoio economico Cina-Pakistan, del valore di 60 miliardi di dollari, che è parte del progetto Bri. Il giorno dopo Hanafi ha incontrato l’ambasciatore cinese in Afghanistan, che ha promesso la continuazione degli aiuti umanitari di Pechino al paese.
Il 14 settembre veniva annunciato che, a seguito di un incontro fra l’ambasciatore cinese e il ministro degli Esteri talebano Amir Khan Muttaqi, la Cina avrebbe inviato aiuti umanitari per 15 milioni di dollari. Il 23 settembre il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha dichiarato che l’Occidente doveva annullare le sanzioni economiche contro i talebani e inviare aiuti umanitari. Il 26 settembre l’ambasciatore cinese Wang Yu e Muttaqi si sono incontrati nuovamente. Il 29 settembre la prima spedizione di aiuti umanitari cinesi è arrivata in Afghanistan. In quell’occasione l’ambasciatore Wang Yu ha ribadito che la Cina avrebbe raddoppiato gli sforzi per ottenere l’abrogazione delle sanzioni contro il governo talebano.
Il ruolo dell’Afghanistan nello Xinijang
Perché tanta disponibilità – evidentemente ricambiata – da parte della Cina nei confronti dei talebani? Alcuni sottolineano l’importanza per l’economia cinese delle risorse minerarie afghane, principalmente rame e terre rare. Ma più importante ancora è il ruolo dell’Afghanistan nella messa in sicurezza dello Xinjiang, la regione cinese abitata in maggioranza dai musulmani uiguri, che confina per 80 km con l’Afghanistan.
Come spiega un analista cinese esule che si firma con lo pseudonimo Chris King, «quando il presidente cinese Xi Jinping annunciò la Bri nel 2013, il Partito comunista cinese sottolineò che le province dello Xinjiang e di Fujian avrebbero avuto opportunità di sviluppo senza precedenti. Da allora, la provincia di Fujian, adiacente a Taiwan, è stata riconosciuta come il nocciolo della Via della Seta Marittima del XXI secolo, mentre la regione dello Xinjiang è stata individuata come l’area centrale della Via della Seta Terrestre. Effettivamente, tre dei sei percorsi della Via della Seta Terrestre passano attraverso lo Xinjiang: il Corridoio economico Cina-Pakistan, il Corridoio economico Cina-Asia Centrale-Asia Occidentale, e il Nuovo Ponte intercontinentale dell’Eurasia. (…) Per mantenere il controllo dello Xinjiang, la Cina ha bisogno di controllare anche l’Afghanistan. Negli anni Novanta i talebani permisero agli insorti uiguri che formavano l’East Turkestan Islamic Movement (Etim) di allestire campi di addestramento in Afghanistan. Dopo avere attivato relazioni diplomatiche ed economiche coi talebani intorno al 1998, l’ambasciatore cinese Lu si incontrò con l’allora capo dei talebani Mullah Omar a Kandahar. Durante l’incontro Lu chiese ai talebani di fare tutto il possibile per far sì che non ci fossero gruppi armati uiguri in Afghanistan che potessero minacciare la Cina. In cambio di accresciute relazioni politiche ed economiche, i talebani promettevano che avrebbero “rispettato la sovranità della Cina, praticato la non interferenza nei suoi affari interni, e non avrebbero permesso a nessuno di usare il territorio afghano contro il paese vicino”. Il cofondatore dei talebani, il mullah Abdul Ghani Baradar, ha fatto le stesse promesse al Partito comunista cinese quando ha incontrato il ministro degli Esteri Wang Yi a Tianjin il 28 luglio 2021».
L’importanza strategica per Pechino
I talebani non seppero mantenere le promesse del 1998, e i jihadisti uiguri si organizzarono in territorio afghano all’ombra di Al Qaeda. Stavolta forse comprenderanno che è nel loro interesse soddisfare le richieste cinesi. Che hanno dunque un’importanza strategica per Pechino: «Dal momento in cui gli Usa si sono ritirati dall’Afghanistan, il Partito comunista cinese ha usato gli aiuti umanitari e i progetti di sviluppo in cambio della cooperazione dei talebani, al fine di garantirsi che il loro movimento cessi di sostenere le forze separatiste uigure e nella speranza di spazzare via il punto d’appoggio dell’Etim alla periferia della Cina. Garantire l’assoluta sicurezza nello Xinjiang è vitale, in quanto la regione è un passaggio centrale del Bri dalla Cina all’Asia Centrale, Occidentale e Meridionale, al Medio Oriente e all’Europa».
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