uando si sono tolte il velo «è stata una delle immagini più belle, cinematografiche, letterarie, musicali e anche idrauliche, nella storia dell’umanità. Sembrava la nascita del firmamento, è stato come vedere una notte stellata…». Grande Roberto Benigni, che toccanti parole le sue. «La nascita del firmamento, la notte stellata»… Corano in tasca, tarallucci e vino, mamma e papà, Campidoglio romano e divertimentificio di Rimini festanti, con negli occhi loro, Simona&Simona, e nel cuore i bambini irakeni.
Passo. Posso?
«La notte stellata». Lui che raccoglie ricordi, istantanee di vita, sorrisi, emozioni, ed è subito cinepresa, l’orticello del «mi babbo che anche se avessi fatto un documentario sulle pere mature, la guerra si sarebbe sentita». Benigni comprende, professione Guido e Attilio (con intermezzo Pinocchio), ha una malattia per i semplici di cuore e la tragedia del mondo. Tragedia che cura con bontà cinematografica, tratti lirici e sorrisi contagiosi. Era il 1997 e il suo Guido fantasioso crepava nei lager del ’45 lasciando il buon umore nel cuore del figlioletto. è il 2004 e il suo esuberante Attilio, armato di versi poetici, sguardi e ammiccamenti capotta in Irak tra bombe, morte e devastazione, lui, che non spiccica una parola di arabo e non ha mai imbracciato un fucile giocattolo. Questo il brandello di trama che il regista racconta alla stampa presentando il suo ultimo film incentrato sulla figura di “un poeta in Irak” che uscirà alla fine del 2005 (quando nel frattempo si dovrebbe sapere che fine ha fatto l’Irak). Quanta strada ha fatto “La vita è bella”? Quanto conta oggi il partito di Benigni? E ci ama sul serio (noi, il mondo comune, la realtà)? Quanto ci ama? E ci costa? Ma quanto ci costa? Abbiamo girato i quesiti a qualche illustre collega, ed ecco che Gad Lerner, conduttore de “L’Infedele”, ammette la sua fedeltà al poeta: «Sono iscritto al partito di Benigni, la cui prima regola è la seguente: non si stronca un film prima ancora che l’abbiano girato. C’è poi una seconda regola: limitare l’abuso delle metafore scombiccherate, a mala pena comprensibili dagli addetti ai lavori. Comunque, in attesa del prossimo film: viva Benigni il leggiadro, abbasso i detrattori invidiosi». In effetti Benigni è un pilastro, e si capisce il niet di Barbara Palombelli a commentare la sindrome post Simone, o il laconico «Passo. Posso?» di Beppe Severgnini.
Il Benigni-partito? Legittimo, e magari vince pure le elezioni…
Da “La vita è bella” a “La tigre e la neve”, insomma, e arrivederci al cinema, si direbbe. Ma intanto liberano le Simone e, nonostante il consiglio di una pacifista alle pacifiste Simone – «siete diventate troppo fosforescenti per rimanere voi stesse, per favore non dite più “ci manca Baghdad”» – il firmamento e la notte stellata non le ha viste solo il comico toscano dal bucolico Dna. Tra un canto del Paradiso e un giretto tra le gambe di Pippo Baudo, lo hanno seguito in tanti, quel mattacchione arcobaleno tra i marciatori di “Caterina va in città”, tanti bei sorrisi che si ritrovano nel «quando sentiamo che stiamo per precipitare, allarghiamo le ali» del regista a commento di Irak e Beslan, e via ai leggiadri volatili sopra piazze e comizi, chiese e cattedrali, obelischi e minareti. In volo, sul velo delle Simone. Perché c’è un altro modo di parlare di guerra e parlare alla guerra. Basta escludere i signori della guerra. Basta il cuore delle macchine da guerra. Che in fondo sono capaci di libertà, e quella gola te la lasciano in pace, c’è modo e modo di fare i sequestri. Bye bye alle signore istituzioni, allora, l’alleanza del volo ha uno slogan anno Duemila e firmato dal sopracitato Benigni nel saluto alle rilasciate: «La nostra generazione dovrebbe avere il Nobel per la pace, visto che è la prima nella storia che è stata educata alla pace».
«C’è in effetti molta gente che si ritrova in questa posizione – ci spiega Emanuele Macaluso, senatore Ds e commentatore del Riformista –, che io considero una posizione molto rispettabile e che in qualche modo capisco. E tuttavia io sono un uomo che ha meditato una decisione, impegnato in una battaglia politica, che deve scegliere ogni giorno, e ogni giorno scrivere di questa scelta che non è pregiudiziale, ma fondata su una base di convincimenti, di valori che hanno formato la mia vita. Quindi in Irak io scelgo di schierarmi, faccio una battaglia. Questa è la differenza, pur riconoscendo che quella sia una posizione, ripeto, rispettabile e che penso stia guadagnando anche nell’opinione pubblica, un’opinione che avverte che sembra che non ci sia via d’uscita. Non penso che questa sia una cosa pericolosa da un punto di vista politico: è oggi una strada, una strada che ha uno sbocco».
…Le elezioni in Italia o in Irak?
Potentato politico accantonato, il partito dei “buoni sentimenti”, di chi alle armi e alle parole oppone il sorriso e la poesia, coloro che le due Simone sono “eroine” (e magari le metteranno pure sulla copertina di Time, tra i 29 eroi europei 2004, accanto al fautore della cucina tradizionale e la fondatrice delle profumerie ecologiche) si scontrano col partito di chi è tentato di cambiare una vocale e paragonarne il contagiosissimo fenomeno a una dipendenza tossicologica, un po’ sindrome di Stoccolma, un po’ nostalgia di Babbi Natali orientali.
«Le sue armi sono la poesia, il sorriso, l’attenzione agli altri, la ricerca di un contatto fatto di sguardi, di gesti, di ammiccamenti – dice Marina Corradi, editorialista di Avvenire –. Benigni ha spiegato questa sua strategia giovedì 30 settembre, il giorno in cui a Baghdad la “Resistenza” irakena ha atteso che un nugolo di bambini circondasse gli americani – si inaugurava un acquedotto, qualcosa di estremamente necessario per la popolazione. E quando i bambini erano lì a mangiar caramelle e a far festa, il macello, sotto gli occhi delle madri. Oltre 40 morti, decine di feriti – e le madri, come a Beslan, ancora una volta a raccattare i brandelli di corpi dei loro bambini. Ma qui, ad uccidere erano stati gli stessi irakeni. A uccidere scientificamente, volutamente i propri figli. A suicidarsi, dunque. Nel nome della Resistenza. Nel nome, in verità, del Nulla. Ed ecco, immaginiamoci, arrivare lì Benigni, a fronte di queste bestie lorde di sangue, con la sua poesia, il sorriso, gli sguardi, i gesti, gli ammiccamenti, tutte cose belle e splendide – fra esseri umani. Ma laggiù, s’è passata la soglia. Per ammazzare così i figli del proprio stesso popolo, davanti alle loro madri – alle proprie sorelle – s’è passata ogni soglia. E non vederlo, e pensare che ancora basti leggere poesie e sorridere, è non volere riconoscere che esiste il Bene, e il Male, e che oltre un certo limite c’è un buio dove le parole consuete non arrivano più. Forse quelle di un santo, o l’umanità profonda di un uomo che porti la faccia di Cristo. Ma non il teatro, nemmeno il migliore, come quello di Benigni, non i sorrisi né la poesia né gli ammiccamenti. Ci vuole ben altro, per chi è arrivato ad ammazzare i suoi figli davanti alle loro madri. E non vederlo è utopia. E utopia non è una cosa nobile. è una sciocchezza pericolosa».