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«Il nostro lavoro era mettere il bambino nei rifiuti». Il video sull’aborto che sciocca l’America

Le interviste a tre assistenti che descrivono la tragica normalità con cui in una clinica venivano uccisi neonati sopravvissuti a interruzioni di gravidanza

Benedetta Frigerio
16/05/2013 - 11:41
Esteri
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In America il caso di Kermit Gosnell, il medico abortista condannato all’ergastolo il 14 maggio per l’omicidio di diversi bambini e di una donna, ha messo sotto gli occhi di molti l’atrocità della legislazione abortista. Gosnell è stato dipinto come un mostro, ma stanno emergendo altri casi simili, che mostrano che quanto avveniva nella sua clinica non è un’eccezione.
A rivelarlo il documentario di Lila Rose che, fingendosi incinta, ha girato i centri abortisti di diversi Stati. In questi giorni è gira sul web un video dell’organizzazione pro vita Life Dynamics, in cui vengono intervistate tre assistenti della Aaron Women’s Clinic di Huston diretta da Douglas Karpen, in cui appare chiaramente la normalità con cui ormai si compiono crimini disumani. Grazie a questo filmato ieri è stata aperta un’indagine sul medico. Qui sotto il testo del video, girato lo scorso 3 maggio, in cui ancora non appare il nome di Karpen.

Il 13 di maggio, Kermit Gosnell, un medico abortista della Pennsylvania, è stato condannato per l’omicidio di diversi bambini. Durante il processo i testimoni hanno dichiarato che i bambini che sopravvivevano all’aborto di Gosnell, poi venivano uccisi fuori dal grembo materno. Anche se i media e la lobby abortista stanno dipingendo il caso come isolato, il movimento pro life è cosciente dell’esistenza di storie simili.
Il 3 maggio 2013 sono state intervistate tre dipendenti di una clinica abortista di un altro Stato. Le tre donne appaiono coi loro nomi reali, ma l’identità del medico e della clinica sono stati nascosti per non compromettere le indagini criminali relative al caso. Nel momento in cui il video è stato realizzato, la clinica abortiva in questione rimaneva aperta. Di seguito riportiamo una nostra traduzione delle parole dei tre dipendenti.

Le tre assistenti della Aaron Women’s Clinic di Huston

Deborah Edge: Ero un’assistente. Ho fatto di tutto nella clinica e uno dei miei compiti era di essere la sua (del medico,ndr) prima assistente. Facevo attenzione, ma non sapevo che fosse illegale. Quando praticava un aborto oltre le 22 settimane accadeva quasi sempre che il feto uscisse completamente dalla pancia della madre prima che lui gli tagliasse il midollo spinale o introducesse uno degli strumenti chirurgici per afferrare il cranio del bambino e ucciderlo. Non ero cosciente dicevo: “Bé è un aborto, questo è quello che succede”, ma non sapevo che era illegale. In molte occasioni usava questo processo: dilatava l’utero e poi lo evacuava. La maggior parte delle volte vedevamo il feto che usciva completamente dal grembo materno e che era certamente vivo perché si muoveva e dalla cassa toracica si capiva che respirava: quello era il momento in cui lui gli rompeva il midollo spinale e anche la scatola cranica, prendeva il forcipe o il dilatatore e lo conficcava nel cranio del feto…
Domanda: Lei ha visto succedere questo?
D.E: Oh sì credo tutte le mattine… se avevamo 20 aborti di questi sono sicura che da tre a quattro nascevano vivi prima di essere assassinati.
Domanda: Lei vedeva il bambino vivo ucciso fuori dal grembo.
D.E: Sì, anche che lui gli torceva la testa con le sue mani.
Domanda: Lei ha visto questo?
D.E: Sì signore.

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Krystal Rodriguez: Qualche volta lo introduceva anche nello stomaco.
Domanda: Cosa?
K.R: Usava il forcipe dentro lo stomaco.
Domanda: Lei ha visto questo?
K.R: Sì.
D.E: Usava qualsiasi cosa che fosse veloce.

Gigi Aguilar: Ti ricordi quella volta che il feto uscì ed era vivo e aprì i suo occhi e afferrò le sue mani?
Domanda: Cosa è successo?
D.E: Pensava che fosse morto invece il bambino ha aperto gli occhi e ha aperto le mani afferrando le sue (del medico, ndr). Poi è seguita la procedura.
G.A: Era vivo, lui pensava non lo fosse: era pronto a metterlo nella sacca ma…
Domanda: E parlò di questo.
K.R: Non parlava mai di queste cose, non faceva commenti… noi prendevamo il feto e lo mettevamo nella sacca e quando la aprivamo, mio Dio, rimanevamo incredule da quanto fosse grande ed eravamo sudate perché ci voleva quasi un’ora: praticare l’aborto di un bambino tanto grande è davvero dura. A volte non riusciva a tirarlo fuori tutto, allora lo tirava fuori pezzo per pezzo e c’era tutto il pavimento sporco di sangue. Ci sono state occasioni in cui alcune donne in travaglio arrivavano durante la notte con i crampi e venivano alla clinica e gli davano queste pillole chiamate Cytotec: dopo un’ora circa facevano effetto e l’utero cominciava a contrarsi. In molti casi le donne correvano in bagno e in alcune occasioni partorivano il figlio nel water. Una addirittura partorì prima di arrivare qui. Ne fu data anche notizia: lasciò il figlio nel McDonald’s prima di arrivare e nessuno sapeva di chi era, ma noi sapevamo che era di una nostra paziente.

G.A: Ti ricordi quella donna che ha avuto il figlio nel corridoio?
Domanda: Cosa è successo a quel bambino?
K.R: Lo ha preso con un panno e lo ha buttato nella pattumiera.
D.E: Ricordo i piedi dei bambini muoversi e mi irritava: lui gli teneva i piedi, inseriva il forcipe dentro l’utero, stringeva il cranio del bambino e vedevi che le dita dei piedini si aprivano di scatto. Pensavo: “Oh mio Dio e poi le persone dicono che loro non sentono”. Ma come non sentono? Spesso ci guardavamo tra noi assistenti, ci scendevano le lacrime e ci dicevamo: Ma perché? Lui è così avido, pensavo. Per una aborto come quello si pagano quattrocento o cinquecento dollari
K.R: Se i pazienti pagavano lui faceva questi aborti.
Domanda: E tu hai mai assistito?
K.R: Sì e ricordo che dicevo: «Non voglio entrare, non voglio». E lui: «Tu puoi farcela e se non riesci gira la faccia di là».
D.E: Spesso voleva fossi io a rispondere al telefono, perché sapeva che ero brava a parlare con le pazienti, così da convincerle a venire nella clinica… ma ci sono molte altre cose: spesso feriva le pazienti, lacerava gli uteri o le loro cervici senza dirglielo e quando venivano il giorno dopo le medicava, ma senza spiegare loro che aveva l’utero lacerato.
G.A: E se c’erano pazienti che facevano troppe domande preferiva che le addormentassimo.
D.E: L’unico commento che faceva era per ricevere altri soldi, la donna sentiva male? Mi diceva: «Vai a parlarle e dille che ha bisogno di essere addormentata». Non avevano scelta e dovevano poi pagare per l’intervento.
Domanda: Quindi tutti sapevano quello che succedeva, non solo voi.
G.A: Sì, tutti sanno.
D.E: Le donne che entravano qui non sapevano a cosa andavano incontro. Molte domandavano se loro figlio avrebbe sentito male e mi arrabbiavo perché mi dicevo: «Ma perché questo dovrebbe importarti se vieni qui a uccidere tuo figlio?». Perché farsi questa domanda? Certo qualcuno avrebbe potuto rispondere: «Sì, sente!», ma non era il nostro lavoro dirlo. Il nostro lavoro era mettere quella persona nel sacchetto dei rifiuti.

@frigeriobenedet

Tags: AbortodiofiglioKermit Gosnellmammaparto
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