«Abolendo il valore legale del titolo di studio gli studenti saranno ancora più protagonisti»
Nell’imminente decreto sulle semplificazioni, il governo Monti potrebbe abolire il valore legale del titolo di studio. La mossa stravolgerebbe il mondo universitario e l’indiscrezione è da prendere con le molle, visto che l’argomento riaffiora ciclicamente. «Innanzitutto abolizione del valore legale del titolo di studio, per quanto riguarda la laurea, vuol dire che vale non solo quello che è scritto sulla carta, il voto in sé, ma soprattutto chi ti ha rilasciato quel giudizio. Tutto ciò che va nella direzione della maggiore libertà nel sistema universitario italiano, che spesso è ingessato da una burocrazia inutile e costosa, lo considero positivo» interviene a tempi.it il presidente nazionale del Coordinamento liste per lo studio, Francesco Magni. «L’idea non è nuova del resto: viene addirittura da Luigi Einaudi».
La norma non rischierebbe di avere una deriva “classista”?
Non direi, a livello di principio è condivisibile: innescherebbe un circolo virtuoso e gli studenti sarebbero liberi di scegliere le università migliori. Inoltre, le università si farebbero concorrenza puntando ad aumentare la qualità dei corsi.
Quindi, porterebbe a un miglioramento dell’offerta formativa?
Bisogna prestare attenzione a come verrà concretamente applicata. Alcuni autorevoli rettori italiani hanno evidenziato come sia fondamentale un sistema efficace di valutazione delle università: chi deciderà quale facoltà è migliore delle altre? L’Anvur, che è l’agenzia nazionale di valutazione universitaria, recentemente è entrata in funzione: è uno degli snodi cruciali per decretare una liberalizzazione effettiva.
Ci sono altri aspetti positivi?
Un altro tema importante è quello della differenziazione: nel nostro sistema le università non sono tutte uguali, perché ci sono grandi atenei e i piccoli centri, università che competono per eccellenza a livello internazionale e altre che offrono una buona formazione didattica di base. Valorizzare tutte queste realtà diverse tra loro è una sfida molto interessante.
Come pensa che reagirebbero gli studenti?
Vedo che ci sono tanti studenti pronti a rischiare, investendo sul proprio futuro. Abolendo il valore legale del titolo di studio sarebbero responsabilizzati ancora di più nella scelta della sede universitaria. Lo studente, quindi, sarà sempre più protagonista delle sue decisioni. Devo anche segnalare che il nostro sistema universitario è buono: tanti miei colleghi studenti che vanno all’estero per studiare la tesi o per approfondimenti post-laurea, con creatività, sono assolutamente in grado di giocarsi la partita, allo stesso livello dei loro colleghi europei.
Sono in atto verifiche anche sulla cosiddetta laurea breve: i dati parlano di un maggior numero di laureati, grazie alla possibilità di fermarsi al “3”, ma anche di una tendenza alla precarietà lavorativa. Insomma, varrebbe quanto il diploma di maturità.
Non trovo negativa la riforma del “3+2”, anche se ci sono luci ed ombre. Si possono senz’altro migliorare i percorsi didattici, lasciando agli studenti più libertà nella scelta degli esami, per esempio lasciando personalizzare il proprio percorso didattico.
In primo piano c’è sempre il complesso rapporto tra università e mondo del lavoro, che si rimpallano la gestione degli stage.
Sicuramente bisogna incrementare la connessione tra università e mondo del lavoro, è un tema su cui c’è ancora molto da lavorare: però negli ultimi mesi l’università mi sembra ritornata al centro dell’attenzione pubblica, non solo per le proteste ma per una riflessione sui contenuti.
Sono passati diversi mesi dall’entrata in vigore della riforma Gelmini. Che ne è stato?
Siamo ancora in una fase di attuazione della legge, che è alquanto complessa: una volta approvata, ci sono stati decine e decine di decreti attuativi. In questi giorni i nostri atenei stanno riscrivendo gli statuti universitari e non abbiamo ancora dati per giudicare l’impatto sul nostro sistema. La vita nelle facoltà non si è certo fermata.
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