Good Bye, Lenin!
A Cuba c’è la censura sulle mascherine
La creatività in tempo di pandemia non conosce lockdown, fortunatamente. A marzo la farmacista mi ha insegnato a confezionare una mascherina fai-da-te con lo scottex, poi siamo passati alla carta da forno e ai tappetini assorbenti per cani che già rappresentavano un salto di qualità, in attesa di mascherine decenti… Ma tutto il mondo è paese. In Russia girava un video in cui un simpaticone insegnava a indossare le mutande come mascherine. Ora di mascherine è pieno il mondo, e le puoi anche personalizzare in mille modi purché conservino caratteristiche adeguate. Però c’è un’isola felice in cui, oltre ai contagi incredibilmente bassi, è lo Stato a decidere quali mascherine puoi indossare e quali no: Cuba.
A Cuba i primi tre casi di Covid-19 risalgono a marzo, tutti e tre portati da turisti italiani. Secondo i dati del Minsap, in ottobre si contano circa 7000 positivi, poco più di 500 ricoverati, e 128 vittime, mentre sarebbero oltre 800.000 i tamponi effettuati dalla fine di marzo. Come in altri paesi non propriamente democratici, non viene presa in considerazione l’impennata anomala di malattie respiratorie che si è avuta in primavera.
Il 22 maggio scorso il presidente Miguel Díaz-Canel ha dichiarato, come se fosse una conclusione scientifica, che mentre nel resto del mondo l’80% dei malati gravi di Covid muore, «a Cuba la scienza e la medicina ne ha salvati l’80%». L’esternazione – nota la pubblicista Carla Gloria Colomé sul periodico indipendente 14ymedio – è diventata uno slogan e si è imposta come una sorta di marchio, «una delle tante strategie pubblicitarie del sistema sanitario pubblico cubano» capace di attirare clienti stranieri «in un momento in cui l’esportazione di servizi medici è una delle principali fonti di reddito per il paese».
Tranne le province di Pinar del Río, Ciego de Ávila e Sancti Spíritus, dove permangono le restrizioni, il resto dell’isola si trova nella fase definita «nuova normalità», in cui riprendono a funzionare servizi e attività. L’Avana, focolaio principale dell’aprile scorso e dell’inizio della seconda ondata, è ancora in «fase tre» e sta per tornare alla «nuova normalità», che prevede anche la riapertura delle scuole dopo sette mesi di chiusura e il ripristino dei collegamenti col resto del paese, mentre resta incerta la data della ripresa di voli regolari con l’estero.
Ma in un paese dove a scuola gli studenti devono rispettare un abbigliamento ben preciso e non sono ammessi capelloni o mèches, anche la mascherina è finita sotto la rigida lente della censura, diventando «un nuovo campo di battaglia politica» – scrive la blogger Yoani Sánchez su 14ymedio.
Non tutte le personalizzazioni, infatti, sono permesse: «Diversi amici e conoscenti mi hanno raccontato che nelle aziende controllano che non vengano indossate mascherine con bandiere straniere, soprattutto quella americana, o con scritte di qualsiasi tipo, con immagini politiche o di contenuto erotico, o che esprimano critiche nei confronti del regime». La Sánchez riporta alcuni casi: «Non ti permetteremo di presentarti in ufficio con un cartello irriverente scritto in faccia», si è sentito apostrofare un giovane dipendente del Fondo per i beni culturali, reo di portare una maschera con la scritta «cambiamento».
«Le strisce rosse e le stelline non si possono portate in questa classe», ha ammonito un’insegnante rivolgendosi a una studentessa. La ragazzina si chiedeva dove avrebbe trovato un’altra mascherina visto che era l’unica che era riuscita a procurarsi, e con una certa insofferenza ha risposto: «Da quando la mascherina fa parte dell’uniforme? Ne distribuirete di color verde [come le uniformi militari]?».
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