Vito Schifano, 27 anni, Rocco Dicillo, 30, Antonio Montinaro, 30. Oggi pomeriggio una trasmissione Rai ricordava «la morte di Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta». Faceva lo stesso, questa mattina, un Tg radiofonico. “Tre uomini della scorta”, senza volto e senza nome. Come se non ci fosse mai stato il pianto delle loro mogli, mai la solitudine dei loro figli. La moglie di Schifano aveva 22 anni, il loro bimbo 4 mesi, Montinaro lasciava due figli.
È ormai di moda sottolineare l’esigenza di una “nuova narrazione” del paese, di nuovi temi e fatti. Sì, c’è bisogno di raccontare cose nuove, ma anche di un modo nuovo di raccontare quelle che ripetiamo da tempo e che mai mettiamo in discussione. Anche la signora Tina, moglie di Montinaro, lo ha ricordato con forza (qui la bella e intensa intervista concessa a Francesca Barra l’anno scorso per il Cristina Parodi Live).
Tutti presi a fabbricare simboli e valori, abbiamo dimenticato i fatti. I corpi, per esempio, sono un fatto. Abbiamo dimenticato i corpi di quei ragazzi: erano lì, carbonizzati, accanto a quello di Giovanni Falcone e sua moglie. Non diversi, non meno eroici, ugualmente incolpevoli. Di Falcone e Borsellino abbiamo fatto delle bandiere, di loro un piccolo allegato, da citare ogni tanto per senso del dovere.
Non ne scrivo per ricordare loro, ma per ricordare qualcosa a noi. A loro forse non serve più di tanto, per quanto sia comprensibile il risentimento dei familiari. Un tempo l’essere ricordati era una necessità, quasi un’ossessione. Poi, circa duemila anni fa, Qualcuno è venuto ad annunciare che nulla va perso, né un capello né un corpo saltato in aria mentre fa il suo dovere. Anche se i giornalisti Rai ritengono superfluo citarlo.