Adolf Hitler invade la Polonia il 1° settembre del 1939 sotto gli occhi compiaciuti di Stalin. L’“Operazione Barbarossa”, con cui Berlino invade l’Urss il 22 giugno 1941, segna poi la fine dell’idillio hitleriano-staliniano, ma è solo uno specchietto per le allodole. Reich e bolscevichi sono simili per più di un tratto — ideologico, economico e politico — ed è solo per sete di potere che il Führer invade l’alleato: una brama identica a quella che cova nel cuore del Vozd sovietico, pronto anch’egli a invadere i tedeschi. Una gara, insomma, a chi arriva prima: Hitler batte Stalin in volata, ma poi è il secondo a ridere per ultimo. La bandiera sovietica sventolante sul Reichstag prima che qualsiasi altro esercito occidentale abbia messo piede nella capitale tedesca nel 1945 è solo il paradossale esito di un’antica simbiosi.
Heil Stalin!
Basterebbe del resto leggere il librone Stalin, Hitler. La rivoluzione bolscevica mondiale (Spirali, Milano 2001, prefazione di Vladimir Buskovskij) di Vladimir Bogdanovic Rezun, alias Viktor Suvorov, ex agente a Ginevra del GRU, i servizi segreti militari sovietici. Dice Suvorov (a Tempi, che lo intervistò sul n. 47 del 2000): «Stalin “coltiva” Hitler addirittura dagli anni Venti e Trenta. Perché, se no, i tank tedeschi venivano costruiti a Leningrado? E i chimici che hanno fabbricato lo “Zyklon B”, il micidiale gas tossico usato nei campi di sterminio tedeschi, educati in URSS? O i quadri della Wehrmacht addestrati a Saratov? Quando gli hitleriani restano senza carburante sulla strada verso la Francia, è Stalin il benzinaio. E l’assedio di Varsavia è solo uno spartimento fra URSS e Reich […]. Nelle elezioni tedesche del 1932, quando l’unione fra comunisti e socialdemocratici potrebbe battere Hitler, sostanzialmente Stalin ordina ai comunisti tedeschi di appoggiare i nazisti». Potrebbe addirittura diventare un bel copione cinematografico.
«I tedeschi usano gli stessi mezzi dei sovietici». Amen
Quando Hitler invase la Polonia, Stalin stava a guardare. E similmente stavano a guardare le democrazie occidentali, paralizzate sin dai tempi dello sciagurato Patto di Monaco.
Di quel fatto Thomas S. Eliot ha scritto: «Credo vi siano molte persone che, al pari mio, sono state scosse dagli eventi del settembre 1938 in modo tanto profondo da non riuscire a porvi rimedio […]. Non si è trattato, ripeto, di una critica al governo [britannico], ma di un dubbio sulla validità di un’intera civiltà». Quando, il 21 dicembre 1939, il primate polacco cardinale August Hlond gli fa pervenire un rapporto sui primi quattro mesi di occupazione tedesca, Papa Pio XI dà subito mandato a monsignor Giovanni Battista Montini, inviato a Varsavia come addetto alla Nunziatura — poi Papa Paolo VI, ingiustamente etichettato come “progressista” —, affinché venga preparato un radiomessaggio di denuncia della politica nazionalsocialista. Diffuso il 21 gennaio successivo, fra l’altro, afferma: «Le condizioni della vita religiosa, politica, economica hanno gettato il nobile popolo polacco in uno stato di terrore, di abbruttimento e di barbarie molto simile a quello che fu imposto alla Spagna dai comunisti nel 1936. […] I tedeschi usano gli stessi mezzi dei sovietici». Oliviero Toscani, che ha realizzato la locandina del film Amen di Costantin Costa-Gavras in cui la Croce cristiana si mescola alla svastica, non ha studiato questo pezzo fondamentale di storia europea.