Dopo la vittoria di Francois Hollande in Francia e lo stallo dei partiti greci alla prima tornata elettorale, gli occhi dell’Unione Europea sono tutti puntati sull’Irlanda. Il 31 maggio, infatti, Dublino sottopone a referendum popolare la firma da parte dell’Irlanda del Fiscal Compact. Conosciuto anche come Patto di bilancio europeo, il Fiscal Compact fissa norme e limiti ai budget fiscali, è la scure che impugna Angela Merkel per tagliare a destra e a manca gli esuberi dei paesi poco sobri. Le critiche del socialista francese a queste normative gli hanno valso la poltrona dell’Eliseo. In Grecia, il sentimento antieuropeista ha consentito al gruppo di estrema destra, Alba Dorata, di entrare in Parlamento con il 7 per cento delle preferenze. Per questo, il referendum in Irlanda è, per Angela Merkel, la prova del fuoco.
In Irlanda, l’opinione politica è divisa in due fronti. Il Fine Gael del premier Enda Kenny e i laburisti del vicepremier Eamon Gilmore sposano il “sì”, e secondo un sondaggio la loro campagna a favore del Fiscal Compact è appoggiata dal 47 per cento dei votanti. Il fronte del “no”, composto dal partito nazionalista Sinn Fein di Gerry Adams – seconda forza politica d’Irlanda con il 21 per cento dell’elettorato–, sempre secondo il sondaggio può contare sul 35 per cento dei voti. Il restante 18 per cento è ancora indeciso: una percentuale alta, capace di ribaltare i pronostici.
«Chi vota “no” scherza con il fuoco». Le parole di Gilmore lasciano pochi dubbi: dall’esito della battaglia per l’approvazione del Fiscal Compact dipende molto del futuro dell’isola. Se vincesse il fronte del “no”, l’Irlanda non entrerebbe a far parte del nuovo ESM – European Stability Mechanism –, ossia il nuovo fondo di sostegno per le economie in difficoltà. L’ESM garantirebbe prestiti a interessi molto bassi, e aiuterebbe gli investitori a rilanciare l’economia del paese. Ma chi pensa che l’Irlanda non possa allontanarsi dalle direttive eurocentriche non conosce la storia recente. Già nel 2008, infatti, l’elettorato irlandese aveva detto di no a un altro Trattato europeo, quello di Lisbona. Salvo poi ritrattare con un secondo referendum. Ma, in questo caso, i tempi stringono.