Zero. Questo il numero delle “famiglie” iscritte al registro delle coppie di fatto di Bologna
Ricordate i registri delle coppie di fatto? Ogni qual volta se ne è discusso in Italia gli animi si sono scaldati. Dibattiti sull’arretratezza culturale italiana, sulle scorie della mentalità medioevale cattolica, sugli effetti positivi e illuminanti che un tale registro avrebbe sulla società italiana.
Bene. Accade a Bologna – dove il registro esiste dal 1999 e sul sito del Comune esista una sezione dedicata alle “nuove famiglie” gay, lesbiche, trans – che una consigliera comunale del Pdl, Valentina Castaldini (in foto), chieda di sapere quante siano state le coppie («anche dello stesso sesso») che hanno voluto chiedere l’attestato che riconosce la “famiglia affettiva”. Risposta: non lo richiede nessuno.
Infatti, sebbene, come recita il sito del Comune, «l’attestato serva a dimostrare che persone non legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione o tutela, co-abitanti nella stessa unità immobiliare del Comune di Bologna, costituiscano un unico nucleo familiare in ragione dell’esistenza di vincoli affettivi», nella realtà, nessuno arriva a richiederlo.
Insomma, un flop. Eppure, secondo il capogruppo del Pd Sergio Lo Giudice, «il registro ha un valore simbolico importante, in assenza di una legge nazionale. Oggi in Italia dichiararsi coppia di fatto ti sottopone a una serie di svantaggi fiscali senza in cambio nessuna facilitazione». Secondo Castaldini questo è, «di fatto, un modo per evadere. Legale, ma lo è». Soprattutto, prosegue la giovane consigliera pidiellina, «il tempo dà torto a chi fa solo battaglie ideologiche. Il fatto che nemmeno coloro che hanno rivendicato l’esistenza di questo registro poi si siano iscritti fa persino ridere».
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