Con zappe e vanghe Hamas ha dilaniato i bambini
«Il corpo di un uomo è a terra, in un appartamento. Deve essere all’interno di un kibbutz. L’uomo non si muove: è già morto, è ferito, è solo privo di sensi? Non lo sappiamo. Ma vediamo un killer di Hamas che prende la mira con una zappa nell’intento di staccare la testa dal corpo. Mira al collo in una, due, tre riprese. È maldestro. Quella testa non sembra volersi staccare, il collo è armato da una colonna vertebrale che il miliziano di Hamas non sembrava aver previsto. Fatica un po’, prima di riuscire a decapitarlo».
Le clip girate da Hamas il 7 ottobre si trovano su Tiktok, si scaricano da Telegram: l’Idf le ha raccolte e pubblicate senza filtro, sconsigliate al grande pubblico, ma raccomandate agli “addetti ai lavori”. In Italia non si possono trasmettere né pubblicare. Il Riformista le ha viste («È stato come fare quattro passi nell’inferno») e descritte con parole asciutte. Fin dall’inizio, da quel rito iniziatico di presentazione in cui i terroristi scherzano e ridono mentre uno di loro eccitato ammette: «È la prima volta che ammazzo degli ebrei».
I video di Hamas, selvaggi con le GoPro
Quello che accadrà dopo saranno corpi di ragazzi, uomini, donne, bambini, riversi nel sangue e filmati fino all’ultimo dettaglio. «Di molti si indugia sulle ferite, frutto di percosse», scrive il Riformista. «Fori di proiettili esplosi hanno bucato le carni da parte a parte. Mitragliatrici pesanti, non pistole. Esseri umani come target da poligono di tiro, riversi gli uni sugli altri. Alcuni in un ultimo abbraccio, come una nipotina con la nonna».
Sono passati pochi giorni dalle sconvolgenti testimonianze rese dai cronisti entrati al Centro nazionale israeliano di medicina legale, traboccante di centinaia di corpi resi irriconoscibili dal massacro dei terroristi di Hamas nei kibbutz. E ora sappiamo cosa è successo. Non lo hanno raccontato i patologi israeliani, i sopravvissuti, nemmeno quei mucchi carbonizzati che alla Tac sono risultati i resti di un adulto e un bambino che si abbracciavano forte mentre venivano cremati vivi dai terroristi, ma i video girati dagli stessi terroristi calati dal cielo con le GoPro: «Avevano il grilletto premuto e il recording acceso», «al cronista non rimane che guardarli. Ed è come guardare dentro al buco nero in cui la spirale della mostruosità ha gettato questi odiatori seriali della vita».
Dai droni alle vanghe, il bambino con metà testa
Faticano a infierire sui cadaveri, i terroristi di Hamas. Non per scrupolo ma mancanza di mezzi adatti: zappe, pale e vanghe raccattate nei kibbutz non sono ghigliottine. Si arrangiano, le bestie: «Uno prende una testa mollemente attaccata a un corpo e si accanisce sugli occhi, che intanto non ci sono più. Va sulle cavità orbitali con un pugnale, con il manico di un bastone. E fa per accertarsi che dietro a quei fori non ci sia più qualcosa che possa guardare. O guardarlo, occhi negli occhi».
Si arrangiano e aizzano a vicenda, accatastando corpi insanguinati e bruciati in un salone per le foto, finché «arrivano le immagini dei bambini. Assassinati uno a uno. Alcuni erano in fasce. Uno è carbonizzato, ma le dimensioni del corpicino non lasciano dubbi. Un altro è intero, o quasi. Hanno provato a decapitare anche lui, ma della testa hanno portato via solo una metà. Un lato. Il corpo giace con il cervello fuori dalla scatola cranica».
Ha ragione il Riformista: questa operazione terroristica era partita con i droni ed è finita da cavernicoli, «con l’abiezione più grande dell’infanticidio».
«Immaginate un corteo per schernire la morte di Floyd»
Come hanno fatto allora i professionisti della violenza epistemica e delle “microaggressioni”, il mondo civile che manifesta al grido apocalisse, genocidio trans, words kill, a tacere quando non glorificare un simile massacro? «Tutte quelle persone che riempivano le strade quando un poliziotto del Minnesota uccise George Floyd sembravano non avere più solidarietà quando Hamas è venuto a prendere gli ebrei. Non solo non sono riusciti a sostenere le vittime, ma nel giro di poche ore dagli attacchi si sono effettivamente impegnati a sostenere gli aggressori», ha scritto allibito Douglas Murray sullo Spectator quando le strade del Regno Unito si sono riempite di migliaia di persone in manifestazione contro Israele “Stato-terrorista” e di cartelli che brandivano la sagoma di un assalitore in parapendio, inconfondibile icona della carneficina al festival musicale.
«Immaginate se – scrive Murray – all’indomani della morte di George Floyd ci fosse stata una manifestazione a favore dell’inginocchiarsi sul collo degli uomini di colore. E che le persone presenti si fossero fatte beffe delle modalità della sua morte. I neri si sarebbero sentiti presi in giro? Pensiamo di sì. Sarebbe stato tollerato? Pensiamo di no. Quindi immaginate che invece di un morto a Minneapolis ce ne fossero stati 1.300».
Gaza come il ghetto, ebrei come i nazisti
Ma tutto ciò è inimmaginabile alla gente in piazza dall’America all’Europa (dove crescono gli attentati alle sinagoghe e Greta Thunberg non ha mancato di schierarsi dalla parte di “Gaza”), da Milano (anche ieri si è manifestato cantando “Aprite i confini, così possiamo uccidere i sionisti. Aprite i confini così possiamo uccidere gli ebrei”) al Regno Unito. Dove, da Manchester, Leeds, Huddersfield, Glasgow e Bradford, si è levata una sola voce: Hamas è sinonimo di resistenza, Israele di apartheid e genocidio. E alla solidarietà ricevuta dagli ebrei liberal dopo l’assassinio di George Floyd, Black Lives Matter ha risposto ritwittando la pubblicità della Palestine Solidarity Campaign («Non assisteremo silenziosamente al genocidio e alla pulizia etnica») e Blm Chicago la sagoma col parapendio.
Non mancano, i manifestanti, di paragonare Gaza al ghetto di Varsavia e gli ebrei ai nazisti. Dopotutto, rincara Murray, lo sanno tutti che appena gli ebrei intrappolati avevano la possibilità di scappare «andavano in giro a decapitare i bambini».
La cecità dei “civili” davanti all’orrore di Hamas
Non si tratta solo di immaginare ma vedere. Un gruppi di attivisti ebrei e israeliani ha affisso piccoli manifesti nel centro di Londra e in altre città: ognuno porta il nome e la foto di un uomo, una donna o un bambino rapito da Hamas il 7 ottobre. O meglio: “portava”. Quei volti sono un’offesa per le persone che hanno deciso di strapparli («fanculo Israele», urla una ragazza mostrando il dito medio ai cellulari che la riprendono, «siete dei pezzi di merda, andate a piangere altrove»), deturparli (sul viso di un bambino rapito è stato scritto “colonizzatore”), rimuoverli, urlando agli attivisti che citavano donne stuprate da Hamas, «Ne avete qualche prova?». Anche quando un giovane ha cercato di affrontare il gruppo inferocito (tutte le “rappresaglie” contro i manifesti sono state filmate), spiegando che conosceva uno dei ragazzi rapiti, la violenta insinuazione resta, «davvero, dove sono le prove?».
“Prove”, rivendicano quelli che davanti alle immagini e i video girati dall’unica fonte considerata attendibile – Hamas – non vedono il cadavere di un bambino con la testa aperta da una vanga. Vedono un colonizzatore annientato dalla resistenza per legittima difesa.
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