
Yemen. Un’altra primavera rovinata

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Se quello che l’Arabia Saudita e i suoi alleati arabi hanno fatto in un mese nello Yemen lo avesse fatto Israele a Gaza, le piazze sarebbero affollate di manifestazioni di protesta in mezzo mondo, le ambasciate sotto assedio, le Nazioni Unite in fibrillazione e i canali televisivi internazionali sommersi da filmati dei bombardamenti e immagini delle vittime e dei feriti. In un mese e poco più di bombardamenti destinati a fermare l’avanzata dei ribelli houthi, la coalizione guidata da Riyadh ha causato la morte di almeno mille persone, metà combattenti e metà civili. L’aviazione ha raso al suolo scuole, magazzini di aiuti umanitari di Ong come Oxfam, caseifici, campi profughi, acquedotti, centrali elettriche, centri commerciali, gli uffici di una tv appartenente all’ex presidente Saleh, moschee, fortezze medievali e altri patrimoni archeologici. I civili uccisi erano studenti, operai, sfollati, migranti somali, donne e bambini. Eppure a protestare è solo qualche organizzazione umanitaria che non riesce a farsi ascoltare, anche perché la copertura mediatica è nulla.
La congiura del silenzio poggia su due motivi, uno di diritto e uno di fatto. Il motivo di diritto è che gli houthi, organizzazione politico-militare della minoranza religiosa zaydita (una forma di islam sciita), sono unanimemente indicati come i reprobi della storia. Il consiglio di Sicurezza dell’Onu li ha condannati come coloro che hanno mandato all’aria l’inconcludente processo di transizione di regime dello Yemen (che va avanti dal novembre 2011) optando per la politica delle armi dopo essersi stufati delle armi della politica. Lo Yemen è solo un altro capitolo del fallimento della Primavera araba di quattro anni fa: i moti del 2011 sulla scia di quello che avveniva in Tunisia, Egitto e Libia sono sfociati in cambiamenti gattopardeschi e in un logoramento della sicurezza nel paese. Gli houthi hanno approfittato di entrambe le cose e hanno occupato militarmente la capitale Sanaa nel settembre scorso, poi il palazzo presidenziale dal gennaio di quest’anno, quindi hanno mosso le proprie armate verso sud, dove il presidente ad interim Hadi e il suo governo si erano trasferiti nella città portuale di Aden. Da lì sono riparati in Arabia Saudita. A metà aprile, mentre i bombardamenti sauditi facevano sfracelli, il consiglio di Sicurezza ha votato una risoluzione (all’unanimità, con la sola astensione della Russia) con la quale ha stabilito sanzioni contro due leader houthi e l’ex presidente Saleh e un embargo alle vendite di armi ai ribelli zayditi e ai partigiani dell’ex capo di Stato: i cattivi, ufficialmente, sono loro.
L’allarme delle Nazioni Unite
La ragione di fatto è che gli houthi sono indicati da tutte le parti (da Israele all’Arabia Saudita, dalla Turchia agli Stati Uniti) come la longa manus dell’Iran nella regione. Di conseguenza le incomprensibili (dall’esterno) e interminabili convulsioni dello Yemen hanno improvvisamente assunto nitida chiarezza: si tratta solo di un altro fronte della guerra per procura che oppone sauditi e iraniani in tutto il Medio Oriente, di un altro episodio della saga della guerra di religione intraislamica fra sunniti e sciiti. Conta niente che fra uno zaydita dello Yemen e uno sciita dell’Iran ci sia la stessa differenza che c’è fra un cattolico di Roma e un ortodosso di Mosca, conta niente che molti sunniti del sud dello Yemen siano fieri avversari della transizione tanto quanto gli zayditi del nord, perché vorrebbero più autonomia o addirittura il ritorno a due Yemen indipendenti, uno a nord e uno a sud, com’era prima del 1990. Sì, l’Iran soffia sul fuoco della ribellione houthi e aiuta il movimento in vari modi almeno dal 2009, ma le rivendicazioni degli zayditi datano da prima (fra il 2004 e il 2009 gli houthi hanno combattuto sei guerre contro il governo di Sanaa). Poi c’è il paradosso che mentre il consiglio di Sicurezza dell’Onu consente alla coalizione a guida saudita di intervenire militarmente nello Yemen, l’Ocha, cioè l’Ufficio delle stesse Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari avverte: «I sistemi sanitari, idraulici e fognari dello Yemen sono a rischio imminente di collasso, in gran parte a causa della scarsità di carburante per i generatori e le pompe idrauliche».
In buona sostanza, lo Yemen sembra votato a una fra due possibili disgrazie: o sprofonderà in una guerra civile post-Primavera araba come quelle in corso in Siria e in Libia, oppure cadrà in una spirale di tipo iracheno, attirando sul suo suolo truppe di eserciti stranieri e militanti di gruppi terroristici, come è successo in Iraq a partire dal 2003. Ad accendere la miccia di queste catastrofiche eventualità sono il fallimento del processo di transizione avviato con le dimissioni di Ali Abdulah Saleh alla fine del 2011 e la paranoia saudita nei riguardi delle interferenze iraniane. L’errore di valutazione della dinastia Saud è foriero di calamità: Riyadh sta usando le maniere forti – col sostegno degli Stati Uniti e del consiglio di Sicurezza dell’Onu (con la sola astensione russa) – perché è convinta che l’assalto degli houthi ai palazzi del potere sia eterodiretto da Tehran, e dunque rappresenti un episodio della lotta che oppone Iran e Arabia Saudita per l’egemonia nell’area, mentre in realtà gli zayditi sono passati all’offensiva perché si sono sentiti esclusi dal processo di transizione sponsorizzato dalle Nazioni Unite e dal Consiglio dei paesi del Golfo e perché si sono resi conto che il governo ad interim del successore di Saleh, Abd Rabbih Mansur Hadi, era debolissimo politicamente e militarmente.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]I fatti hanno dato loro ragione: a contrastare la loro avanzata sono scesi in campo solo parte dell’esercito nazionale, alcune milizie tribali e alcune islamiste legate al partito Islah; i giovani che, come gli egiziani di piazza Tahrir, sono stati l’avanguardia della primavera yemenita nel 2011 e gli autonomisti/secessionisti del sud noti come Hirak, sono rimasti a braccia conserte e non si sono opposti al tentativo di golpe degli houthi; la Guardia Repubblicana e altri reparti delle forze armate ancora legati all’ex presidente Saleh hanno appoggiato apertamente i ribelli zayditi. Perciò l’intervento militare saudita sta producendo esattamente ciò che voleva evitare: un’alleanza stretta e organica fra houthi e Iran e la disarticolazione delle istituzioni yemenite.
Il bunker di al Qaeda
Consapevole che i bombardamenti aerei da soli non fermeranno l’avanzata dei ribelli, re Salman dell’Arabia Saudita sta cercando di riunire le forze per un intervento di truppe di terra. Esclude l’ipotesi di un corpo di spedizione di soldati sauditi e degli altri paesi del Consiglio del Golfo sia per timore delle conseguenze politiche di una tale mossa, sia perché non si fida delle capacità militari del proprio esercito. Si è già rivolto a Turchia, Egitto e Pakistan perché forniscano loro il grosso delle truppe di terra per un intervento militare nello Yemen, ricevendo in risposta da tutti e tre i paesi un rotondo “no”. Benché debbano molto ai sauditi in termini di aiuti finanziari, egiziani e pakistani hanno trovato la forza e l’ingratitudine per dire di “no” a una richiesta che metterebbe le loro truppe nella stessa posizione di quelle americane in Iraq fra il 2003 e il 2010: come gli uomini della coalizione anglo-americana si trovarono nel mirino contemporaneamente degli islamisti sunniti dell’Esercito islamico, degli sciiti di Moqtada Sadr, dei nostalgici di Saddam Hussein e di al Qaeda in Mesopotamia, così le forze di terra di una coalizione a guida saudita si troverebbero a combattere contro un fronte avversario estremamente vario, composto dai bellicosi houthi, dalle forze armate yemenite ancora fedeli al deposto presidente Saleh, dagli autonomisti/secessionisti del sud, dall’Isis che si è affacciata nello Yemen rivendicando attentati contro moschee zaydite a Sanaa e da al Qaeda nella Penisola arabica (Aqap).
La filiale yemenita dell’organizzazione fondata da Osama Bin Laden ha dimostrato di essere una delle più attive e pericolose del mondo intero, e la discesa dello Yemen agli inferi di una situazione di tipo siriano o iracheno rappresenterebbe per essa una grande occasione di espansione e di rafforzamento. Gli americani si sono dovuti già ritirare dalla base in territorio yemenita dalla quale colpivano Aqap coi droni, e gli alqaedisti hanno occupato la città di al Mukalla nell’est del paese, che è la regione dove da sempre sono più attivi. Nel 2012 l’esercito nazionale aveva ripreso il controllo delle aree più importanti infiltrate da al Qaeda, ma la situazione determinata dall’offensiva houthi e dai bombardamenti sauditi ha riportato in auge i terroristi. Aqap è forse l’unica filiale qaedista capace sia di controllare territori, al modo dell’Isis, sia di organizzare e condurre attentati contro il nemico occidentale. Può vantare un pedigree che comincia con l’attentato suicida contro il cacciatorpediniere Uss Cole ad Aden nel 2000 e contro la petroliera francese Limburg nel 2002, e finisce coi pacchi bomba su aerei cargo americani del 2010 e con l’attentato di Parigi nel gennaio di quest’anno contro la redazione di Charlie Hebdo a opera dei fratelli Kouachi.
La guida dei falchi
Gli americani hanno appoggiato l’interventismo saudita organizzando un blocco navale che ha impedito agli iraniani di fare arrivare aiuti agli houthi. Ma ora, consapevoli dei rischi della situazione, consigliano re Salman di tornare al tavolo del dialogo con tutte le forze yemenite. I segnali che arrivano da Riyadh però non sono incoraggianti: il ministro degli Interni Mohamed bin Nayef, una specie di superpoliziotto, è stato nominato principe della corona, dunque erede al trono; e il 31enne figlio di re Salman, il ministro della Difesa e di molti altri dicasteri Mohammed bin Salman, è ora il secondo in linea di successione dopo bin Nayef. Un’équipe di falchi è alla guida del paese. E mentre qualche protesta per i danni collaterali dei bombardamenti sauditi comincia a levarsi, fa scandalo la totale mancanza di sensibilità della famiglia Saud, che attraverso il principe Alwaleed bin Talal ha fatto sapere che donerà 100 lussuosissime automobili Bentley ai piloti che hanno guidato i cacciabombardieri. Lo facesse Netanyahu coi suoi aviatori o l’avesse fatto a suo tempo G. W. Bush, che putiferio sarebbe scoppiato?
[pubblicita_articolo_piede]
Articoli correlati
15 commenti
I commenti sono chiusi.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!
@Nasrallah
“Tutto il caos scatenato in Eurasia può essere attribuito alla battaglia esistenziale tra eccezionalisti ed integrazionisti, rappresentati rispettivamente dai mondi unipolare e multipolare”
Non solo in Eurasia, ma alla fine anche in Europa propriamente detta : 70 anni di occupazione da parte dei nostri “alleati-e-non-nemici” hanno lasciato un segno profondo cancellando le culture europee e sostituendole con il cosiddetto “american way of life” che dove passa distrugge tutto a cominciare dal senso del sacro.
Le centrali del potere vero possono decidere se far vivere o morire intere nazioni (vedi Grecia, od Ucraina) e le cosiddette democrazie sono sempre più delle farse.
Se l’Impero del Caos anglo-sionista non riesce a scatenare una guerra nucleare modello Sansone, il futuro sarà sempre più dei BRICS e del modello da loro iniziato.
Il gioco a rimpiattino fra multinick prosegue, dribblando ogni volta i fatti per sostituirli o negarli o compensarsene con le dietrologie e in supplemento-pizza copincolla, le sfacciate frasi fatte. Insomma, le culture europee della cui cacellazione il mistificatore islamico si duole sono messe in pericolo proprio da quelle forze “anglo-sioniste” – nota bene come i sauditi e emirati golfisti sono lasciati in disparte, chissà perché – che impongono all’Occidente l’immigrazione con conseguente islamizzazione: perché i filo-islamici ce l’hanno tanto con chi sta trasformando l’Ue in Eurabia? Perchè non si oppongono alla massiccia e crescente presenza islaica nell’Ue che cancella no solo le culture, a gli stessi popoli europei in un melting pot così american? Agli esperti del ramo-Piani, a questo punto, oltre alle meningi, estinte da tempo, secca anche la lingua, oltre a atrofizzarglisi il polpastrello.
Tutto il caos scatenato in Eurasia può essere attribuito alla battaglia esistenziale tra eccezionalisti ed integrazionisti, rappresentati rispettivamente dai mondi unipolare e multipolare. Ultimamente molto è stato scritto sul triangolo emergente su interessi difensivi e industriali tra Russia, Cina e Iran, ma non molto è stato pubblicato sull’alleanza aggressiva tra eccezionalismo statunitense, sionismo e wahhabismo, le tre ideologie dedite a dividere le diverse forze multipolari in Eurasia e perpetuare il dominio unipolare.
Le estremizzazioni ad esse associate sono divenute le più destabilizzanti forze in Eurasia, e l”alleanza blasfema’ tra esse è divenuta il primo istigatore dei conflitti nel supercontinente.
Cambiando nikcname, gli islamofili non cambiano musica e testi copia-conformincolla. Gli interessi di triadi da un lato e dall’altro delle figure solide e sul Piano sono tutt’altro che univoci (la Cina controlla il debito pubblico degli U.S.A.: questo vorrà dire molto, per tacerne del tutto): sulla multipolarità e sulle divisioni ci sarebbe da discutere: ma si nota vistosamente che l’Iran
– di cui il complottista mistificatore che ha fatto da battistrada agli altri diceva che era in affanno petrolifero e perciò, la cricca degli ayatollah guardava con interesse alle riserve petrolifere del Golfo, con lo stesso occhio languido di un Saddam Hussein dei tempi d’oro nero –
– è inserito fra le grandi potenze, cosa che sa molto di wishful thiniking.
Un fatto è sicuro, su un punto che riguarda l’Occidente al di là delle geometrie variabili sugli scenari mondiali: che a difendere l’identità politica, culturale, demografica dell’Europa, sia la virtuosa triade dei benefattori che ci ricattano con tutti i loro mezzi a disposizione, sia quella “diabolica”, non ci pensano nemmeno. Dovremmo fare da soli: ma, carta vince, carta perde, puntare sulla prima, immigrazionista “senza se e senza ma”, così come puntare sulla seconda, idem, con le élite eurocratiche al seguito, nessuno dei multi- o uni-polaristi si preoccupa minimanente della difesa dei popoli europei dall’invasione migratoria che sta portando a Eurabia.
Ma perché, invece di sprecare il tempo e sciupare la mente in alambiccati sofismi su “alla battaglia esistenziale tra eccezionalisti ed integrazionisti, rappresentati rispettivamente dai mondi unipolare e multipolare..” (vacca boia che paroloni !), perché, dicevo, non si scende coi piedi per terra e si ragiona su cose serie, ad esempio cosa possiamo fare noi Occidentali per sostenere l’assedio dei Peshmerga a Mosul, e fare in modo che Mosul diventi una città blindata, in cui nessuno entra e nessuno esce, fino ad indebolire i mercenari schiavisti e, quando saranno lessati a puntino, attaccarli caseggiato per caseggiato costringendoli in aree sempre più ristrette?
I civili non schiavisti, cioè ostaggi e prigionieri, comunque sia soffrono già fare e miseria e sono in stato di schiavitù, dunque avranno una voglia matta di fargliela pagare ai terroristi; quindi se l’assedio stretto mette in difficoltà i terroristi, i loro schiavi e ostaggi non se la passeranno peggio di quanto già non se la passino.
E in più, durante l’assedio avrebbero la possibilità impagabile di fargliela pagare se riuscissero in qualche maniera a comunicare le posizioni e fare sabotaggio.
Se non ci fossero quei poveri civili, si potrebbero anche usare i gas: oggi ci sono delle miscele che in una dozzina di ore mettono fuori uso i filtri delle maschere rendendole inservibili se non si dispone dei ricambi.
Purtroppo non si possono adoperare con i civili dentro.
@Leone
Secondo un’altra fonte vicina al presidente hadi, anche gli Emirati Arabi hanno giocato un ruolo chiave nell’operazione Houthi finanziandoli con un milardo di dollari tramite Hadi e il figlio Ahmad.
Se questo fosse vero significherebbe che gli Stati Uniti hanno preannunciato l’avanzata Houthi e il ruolo che vi avrebbe ricoperto Saleh, gli Emirati Arabi presumibilmente hanno finanziato Saleh per l’operazione e i sauditi hanno personalmente dato il via libera agli Houthi sperando di fomentare uno scontro mortale con la Fratelllanza Musulmana yemenita.
Secondo Abdussalam al-Rubaidi,docente all’università di Sanaa e capo editore di “Inquadrare la rivoluzione in Yemen” dello Yemen Polling Centre (centro di ricerca indipendente), inchieste locali riferiscono di “un’alleanza […] tra gli Houthi, gli Stati Uniti e la guarda repubblicana di saleh” , per contrastare Ansar al-Sharia, il ramo locale di Al-Quaeda. Alcuni politici yemeniti dicono anche che “gli americani hanno dato il via libera agli Houthi per entrare nella capitale allo scopo di indebolire Islah”.
Perchè gli Stati Uniti non hanno fatto nulla per informare il suo regime satellite yemenita riguardo all’incombente offensiva Houthi mentre precipitosamente appoggiavano la reazione militare esagerata dell’arabia saudita per debellare lo spettro di un’espansione iraniana?
E’ la logica del Divide et impera
L’ escalation della crisi in Yemen rischia di evolversi in una guerra “di procura” regionale su larga scala tra sunniti e sciiti.
Sin dal 9/11, in questa regione tutte le nazioni sottoposte all’influenza degli Stati Uniti hanno attraversato una Guerra civile nel momento in cui il loro tessuto sociale veniva irreversibilmente sfaldato: Yemen, Siria, Iraq e Libia.
Ma già questo era previstol da piano Yinon dei primo anni ottanta.
Che si sbudellino tra di loro, se di questo ne hanno fatto lo scopo della loro esistenza !
L’importante è che:
a) i Curdi siano sufficientemente equipaggiati da respingere qualsiasi tentativo di occupazione da parte degli schiavisti daesh e possano creare lo Stato indipendente del Kurdistan, con il centro petrolifero di Kirkuk che è di loro proprietà essendo in Kurdistan, e gli è stato rubato in virtù di accordi internazionali senza tenere nel minimo conto l’etnia Curda.
b) che i daesh siano non dico sconfitti e basta, ma asfaltati, spariscano dalla faccia della Terra, loro e i loro supporters occidentali (i cosidetti foreign rapists and slavers, non meritano l’appellativo di fighters, quello spetta ai leoni del Curdistan),
c) che Cristiani e Yazidi superstiti possano avere la speranza di costruire una nuova vita partecipando alla guerra di liberazione dallo schiavismo assieme agli alleati ed amici Curdi.
L’importante è annientare l’isis IN OGNI MODO, CON QUALUNQUE MEZZO.
Non è neppure il caso di impelagarsi nelle divagazioni, rivelazioni, speculazioni e sospetti, la logica di tutto quello che precede è nelle conclusioni: le nazioni sottoposte all’influenza statunitense sono state inguaiate dagli U.S.A. “nel momento in cui il loro tessuto sociale veniva sfaldato”: che significa? Sfaldato irreversibilmente da chi?
Quale “tessuto sociale” c’era nello Yemen, in guerriglie e guerricciole tribali da quando hanno unito Yemen del Nord e Yemen del Sud? E com’è che l’Iran appoggia gli Houthi già appoggiati dagli U.S.A.?
E poi: quale influenza esercitavano gli U.S.A. sulla Siria? E quando e da chi sarebbe stato sfaldato il tessuto sociale siriano, così che ne hanno approfittato i soliti occidentali e soci pertravolgere quello che non era già sfaldato? Come mai nessuna accusa in tal senso era mossa ai siriani “servi dell’America” dai complottisti? E l’Iraq? ma come, non era compatto, l’Iraq di Saddam Hussein, a forza di repressione delle minoranze etniche e religiose, ricatti, sequestri, torture, gas, tutto il potere ai sunniti e al Baath?
Sta di fatto che queste strampalate ricostruzioni fisiognomiche della realtà trovano il sugello nella solita paranoia condivisa del Piano, rimpallato dai complottisti di lungo corso ai nuovi arrivati in questo blog.
Come riportato da David Hearst nell’ottobre 2014 , l’offensiva Houthi è stata “portata avanti proprio sotto gli occhi di una base Americana in Djibuti” dalla quale venivano manovrati i droni della CIA. “Gli Houthi per di più presidiano l’ambasciata americana a Sanaa.”
Hearst ha rivelato inoltre che gli Houthi sono stati incoraggiati da un pacato assenso dell’Arabia Saudita, sotto l’occhio vigile dell’intelligence americana.
Un anno prima, il capo dell’intelligence saudita principe Bandar aveva incontrato il leader Houthi Saleh Habreh a Londra. I sauditi erano intenzionati a mobilitare gli Houthi contro il partito Islah, il ramo yemenita dei Fratelli Musulmani che si spartiva il potere con il presidente Hadi , così da annullarsi a vicenda nel conflitto.
Ma l’islah ha rifiutato il confronto con gli Houthi e il via libera di Riyadh è fallito , permettendo così alla milizia di marciare indisturbata verso la capitale.
Gli stati uniti sono pienamente coinvolti. Fonti vicine a Hadi riferiscono di essere state informate dagli americani riguardo un incontro a Roma tra ufficiali iraniani e il figlio dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh, per garantire che le forze governative fedeli a Saleh non si sarebbero opposte all’avanzata Houthi.
Tre anni fa Ali Abdullah Saleh era stato sostituito da Hali nelle trattative in cui era appoggiato dai sauditi e dagli americani che gli garantivano l’immunità. intercettazioni audio e un rapporto del Consiglio della sicurezza delle Nazioni Unite provano come Saleh fosse colluso con gli Houthi, tanto da controllare le loro operazioni militari.
Il presidente Hadi però , fuggito poco dopo l’offensiva Houthi, “ha dichiarato di essere stato informato del meeting a Roma solo dopo la presa Houthi di Sanaa”.
Gli Stati Uniti in altre parole sebbene consapevoli dell’imminenza dell’operazione supportata dall’Iran, non hanno riportato all’intelligence queste informazioni se non dopo il successo degli Houthi, per il bene dei propri interessi in Yemen.
In altre parole, riprese dalle fonti più diverse cui i complottisti attingono per spargerle a tastiera dispiegata – occupazione a tempo pieno che non gli lascia il tempo di esaminare criticamente tutte le balle che copincollano per verificare se funzionano insieme o alla spicciolata -, gli U.S.A., l’Arabia Saudita, ecc… sono accusati dai filo-islamici di non impedire all’Iran di tramare contro di essi; anzi, U.S.A., Arabia Saudita ecc…, tramano a favore dell’Iran, però, per intervenire contro l’Iran…
Ora, le trame possono essere tante e tutte intrecciate: e si capisce che si può trattare o tramare con tutti, se è nel proprio interesse: ma appoggiare i propri nemici per farli fuori dopo anziché stroncarli subito, è una trama paraoica che può appassionare solo chi, quando ci dice che gli U.S.A. avrebbero dovuto colpire Houthi e Iran che li appoggia, non spiega perché non si lamentava al momento opportuno dell’inazione occidentale rispetto a Houthi e Iran: mentre è sicuro che, se gli U.S.A e i Paesi del Golfo fossero intervenuti uno o due anni fa, i complottisti avrebbero gridato contro l’aggressione imperialistica occidentale e saudita.
Secondo il complottista islamofilo che interviene qui sempre e solo contro l’Occidente e a favore dell’Islam e dell’islamizzazione dell’Occidente, gli U.S.A., l’Arabia Saudita e i Paesi del Golfo hanno lasciato fare agli Houthi e all’Iran quello che volevano allo scopo di fare dopo quello che, anche se l’avessero fatto prima,
– se, cioè, avessero stroncato subito quello che stava accadendo, senza aspettare che il governo yemenita risolvesse da solo la ribellione fomentata dall’Iran,
– dai complottisti in conto califfale e islamofilo sarebbe stato attaccato come ennesimo complotto della “triade diabolica.”
Insomma, da una capriola all’altra, l’ennesimo saggio ginnico della paranoia come tecnica della comunicazione e ideologia ufficiale anti-occidentale in mancanza di meglio;
– se U.S.A e Arabia Saudita e Paesi del Golfo intervengono per tempo, no, non si fa; se intervengono all’ultimo momento, dovevano pensarci prima e perché non ci hanno pensato e perché i droni non hanno violato prima lo spazio aereo yemenita. Nel frattempo, che i complottisti potrebbero mettersi a pensare o provarci loro prima di emettere parole a vuoto, ai complottisti non viene in mente. E così, dopo aver giurato che l’Iran non sosteneva gli Houthi, ora, con nonchalance, ecco che, senza rendersi conto di smentirsi da un post all’altro, le “forze” Houthi sono “appoggiate” dall’Iran.
“I fatti suggeriscono”, ma bando alla modestia!, proclamano a chiare lettere che, “in modo sempre più palese”, i complottisti hanno un conto da regolare con la realtà dei fatti e con il semplice buonsenso.
Secondo l’alto commissario per I diritti umani delle Nazioni Unite lo Yemen è sul ciglio di un tracollo totale. Gli attacchi aerei dall’Arabia Saudita ,supportata da Washington, Inghilterra e una coalizione senza precedenti degli stati del Golfo,hanno tentato di respingere l’invasione della capitale dello Yemen,Sanaa, da parte dei ribelli Shiiti Houthi.
Non appena le forze Houthi ,appoggiate invece dall’Iran,si sono riversate ad Aden scontrandosi con le truppe Yemenite fedeli al presidente esiliato Abdu Rabu Mansour Hadi, gli Stati Uniti si sono procurati video live ottenuti con droni della sorveglianza americana al fine di aiutare i sauditi nell’individuare gli obiettivi. Il Pentagono è determinato ad incrementare gli aiuti militari per questa operazione a tempo indeterminato fornendo il supporto dell’intelligence, ordigni e azioni di rifornimento aereo.
I fatti suggeriscono tuttavia , in modo sempre più palese, che gli stessi Stati Uniti,tramite gli alleati nel Golfo,avevano dato lo scorso settembre un via libera all’offensiva degli Houthi del nord.
L’Arabia Saudita e il Qatar sono tra i più pericolosi Stati canaglia del pianeta !
le primavere, come la nostra resistenza, portano alla guerra civile. la dittatura spagnola ha portato la democrazia.
“Se quello che l’Arabia Saudita e i suoi alleati arabi hanno fatto in un mese nello Yemen lo avesse fatto Israele a Gaza …”
Israele è il principale alleato dei sauditi assieme agli americani con cui sono state condotte le operazioni militari contro i ribelli houthi. Casadei vatti a fare una cura di fosforo.