Il futuro incerto del Sudafrica al voto
Per la prima volta dal 1994, l’African National Congress (ANC), il partito di Nelson Mandela oggi guidato dal presidente Cyril Ramaphosa, potrebbe perdere la maggioranza assoluta dei seggi (201 su 400) in Parlamento dopo le elezioni di ieri (i risultati ufficiali definitivi non arriveranno prima del fine settimana). Questo almeno ci dicono gli analisti del sito pluripremiato Daily Maverick e, per quanto possano essere affidabili, i sondaggi, che collocano l’ANC a un livello minimo del 36 per cento, mentre l’Alleanza Democratica, l’ex partito liberale bianco anti-apartheid, potrebbe raccogliere il 32 per cento dei consensi nonostante la sua reputazione di formazione politica caucasica la faccia percepire ancora come “troppo bianca”.
Il Sudafrica è un Paese in crisi
Oltre a eleggere il nuovo Parlamento, 27,6 milioni di sudafricani hanno scelto anche i parlamentini in ciascuna delle nove province della nazione africana. Quelle di oggi arrivano trent’anni dopo le storiche prime elezioni, democratiche e multirazziali del Sudafrica, che portarono alla presidenza Nelson Mandela. Il problema è che l’appeal dell’ANC sta diminuendo rapidamente.
L’African National Congress ha tentato di sfruttare la necessità di trasformazione percepita dalla popolazione sudafricana, ma finora non è stata in grado di raggiungere il suo obiettivo. Cyril Ramaphosa ha fatto costantemente riferimento alla lotta storica dell’ANC in campagna elettorale e, non a caso, il luogo scelto per il suo comizio conclusivo prima del voto di oggi è stato Vilakazi Street, a Soweto, dove Mandela risiedeva prima della sua prigionia nel 1964, la cui abitazione è stata trasformata in un museo ed è oggi meta di turisti da ogni parte del mondo.
Nel 2018, dopo la rimozione dalla presidenza di Jacob Zuma a causa di numerosi scandali di corruzione, Cyril Ramaphosa ha preso il suo posto. Questo ex sindacalista diventato in seguito un ricco uomo d’affari, non appena arrivato alla presidenza si era impegnato a rilanciare l’economia ma, dopo sei anni, il suo bilancio è fallimentare.
Poco lavoro e poca acqua, la popolazione è scontenta
Un terzo della forza lavoro del Sudafrica è infatti disoccupata e 18,4 milioni di persone ricevono sussidi per poter sopravvivere. Solo sette milioni di cittadini pagano le tasse, e la rete idraulica del Paese oggi perde almeno il 40 per cento di acqua disponibile con conseguente scarsità, soprattutto nelle zone più povere.
Contemporaneamente è cresciuto molto il malcontento nei confronti della classe politica corrotta. Certo, dopo trent’anni di democrazia oggi il Sudafrica è un paese diverso e migliore. La segregazione (apartheid) e l’oppressione contro i neri sono state abolite e il sistema democratico ha resistito, ma l’entusiasmo del 1994 è svanito e si è diffuso un profondo senso di delusione e stanchezza che ricorda quanto accadde in Brasile nel 2013, con le proteste contro la corruzione e gli sprechi di Mondiali di calcio e Olimpiadi che portarono alla fine politica dell’ex presidente Dilma Rousseff.
Da dove nasce la crisi del Sudafrica
Per capire il perché della delusione di molti sudafricani poveri e di colore basta andare in un’altra zona storica di Soweto, il quartiere di Kliptown dove, il 26 giugno 1955, fu adottata la Carta della Libertà, il testo fondatore dell’African National Congress. Di fronte al piccolo memoriale, dall’altra parte di una linea ferroviaria dismessa, migliaia di persone abbandonate a se stesse vivono in una miserabile baraccopoli, un labirinto di strade strette e dissestate fiancheggiate da capanne in lamiera.
Trent’anni fa tutte le aspirazioni di crescita e le speranze della popolazione erano concentrate a Johannesburg, la città più ricca dell’Africa. Una metropoli che fungeva da motore economico del Sudafrica. Oggi Johannesburg rappresenta invece tutto ciò che è rimasto di incompiuto, soprattutto a causa di una criminalità sempre più diffusa e di strutture fatiscenti, occupate dai più poveri. Per non dire dei blackout frequenti che costringono scuole, ospedali, ristoranti e aziende a usare generatori per portare avanti le loro attività.
Le accuse all’African National Congress
I partiti di opposizione accusano l’African National Congress di essere il principale responsabile di questo degrado. E non solo l’Alleanza Democratica “bianca”, ma anche il leader del partito marxista-leninista Combattenti per la Libertà Economica, Julius Malema, che da un lato fa sognare molti con promesse populiste, ma dall’altro spaventa per il suo radicalismo. E soprattutto il partito uMkhonto we Sizwe, il cui target elettorale principale è la etnia Zulu e che è stato fondato dall’ex presidente Zuma con l’esplicita intenzione di strappare voti proprio all’African National Congress di Ramaphosa, contro il quale continua a nutrire un profondo rancore per avere orchestrato la sua caduta.
Oggi in lizza ci sono decine di partiti politici e candidati che pur ottenendo solo una piccola frazione del totale dei voti potrebbero però presto ritrovarsi nella posizione di kingmakers in quanto decisivi per negoziare un’alleanza con l’ANC. Sempre se l’African National Congress manterrà la sua posizione di maggior partito in Parlamento dopo lo spoglio, che si prevede teso.
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