

Nel volto di Manoppello i tratti inconfondibili di Cristo
«In quel tempo che molta gente va per vedere quella imagine benedetta, la quale Gesù Cristo lasciò a noi per esempio della sua bellissima figura» (Dante, Vita Nuova)
«Gli uomini hanno perduto un volto, un volto irrecuperabile e tutti vorrebbero essere quel pellegrino che a Roma vede il sudario della Veronica e mormora: “Gesù Cristo, Dio mio, Dio vero, così era dunque la tua faccia?”» (Borges, L’Artefice)
La memoria di un’immagine acheropita è evocata da due racconti significativi: in Oriente, quello del Mandylion, un panno sul quale Gesù avrebbe impresso la sua immagine rispondendo al desiderio di Abgar re di Edessa; in Occidente, quello del velo con cui Veronica avrebbe asciugato il volto di Gesù sulla via del Calvario. Fonti letterarie e storiche ricordano poi un altro ritratto su stoffa, più antico di questi, che riceve il nome dalla città della Cappadocia in cui apparve: Kamoulianai, Camulia. L’immagine, portata a Costantinopoli nel 574, seguirà Giustiniano come labaro nelle campagne d’Africa e Persia e a esso saranno attribuite molte delle vittorie imperiali. Infine, il Volto Santo di Manoppello conservato in un santuario alle pendici della Majella (Abruzzo), un ritratto di Cristo, su velo quasi trasparente, che non sembra riconducibile ad alcuna tecnica di pittura su tessuto (nella foto a destra).
«Questi sono i quattro acheropiti di Cristo di cui si tratterà nella mostra, tutti su stoffa e tutti che – secondo le fonti – rappresentano il solo volto di Gesù vivo, con gli occhi aperti. Altra caratteristica comune è la misteriosa apparizione, con relativo periodo di grande fama che ne certifica l’esistenza, e la successiva misteriosa scomparsa che rende invece molto complessa e controversa la ricostruzione storica».
Tre di questi veli sono considerati perduti: la Camulia in una data imprecisata prima delle lotte iconoclaste. Il Mandylion durante il sacco di Costantinopoli del 1204, avvenuto per mano degli stessi cristiani che avrebbero dovuto dirigersi in Terra Santa per la quarta crociata. Della Veronica romana si hanno le prime tracce nel 1206, quando papa Innocenzo III istituì una processione con un ritratto del Salvatore che il popolo chiamava Veronica. Ad essa è attribuita anche la prima indulgenza legata a una immagine; forse anche per questo è diventata la più importante reliquia della cristianità per quattro secoli, la cui visione era termine e coronamento dei pellegrinaggi a Roma. La fama di questo Volto inizia a sbiadire dopo il sacco di Roma del 1527 (anche se un’immagine illeggibile è ancora conservata in San Pietro). «Della Veronica romana si hanno moltissime tracce, Petrarca e Dante ne parlano nei loro capolavori: “Qual è colui che forse di Croazia viene a veder la Veronica nostra, che per l’antica fame non sen sazia, ma dice nel pensier, fin che si mostra: ‘Signor mio Iesù Cristo, Dio verace, or fu sì fatta la sembianza vostra?’” (Dante, Divina Commedia). E se in molti credevano nell’originalità di quel Volto Sacro, non mancavano quelli che invece lo contestavano, come un cavaliere danese che confessò a santa Brigida che quello non era il vero sudario della Veronica e che era follia venerare quel velo. “A queste parole santa Brigida si pose in orazione, nella quale le apparve il suo Celeste Sposo, e le disse: ‘Che ti ha detto quel superbo vantatore? Che questo non è veramente il mio Sudario? Or ti assicuro, che siccome avvicinandosi la mia dolorosa passione versai dal mio corpo sudore di sangue, così è vero che in quel velo si contengono i sudori della mia fronte impressi per la futura consolazione degli uomini’” (Santa Brigida, Rivelazioni).
L’ipotesi rivoluzionaria
Dopo secoli di silenzio e misteri legati alla reliquia romana, nel 1999 il padre gesuita Heinrich Pfeiffer azzarda un’ipotesi rivoluzionaria, ripresa da tutti gli organi di informazione italiani e internazionali: «È in Abruzzo, nella chiesa monastero dei frati cappuccini di Manoppello, dimenticata da quattrocento anni, la Veronica, il velo con impresso il volto di Gesù», racconta un servizio del Tg1. È questo il solo velo che possediamo, giunto nella cittadina abruzzese agli inizi del 1500 e visitato da Benedetto XVI all’inizio del suo Pontificato (1 settembre 2006).
«L’idea della mostra è nata proprio quando ho scoperto questo Volto, nel 2010. Io sono una disegnatrice, in quel periodo stavo illustrando un Vangelo per ragazzi e avevo il problema di come raffigurare il Signore. Quando mi sono imbattuta nel Volto di Manoppello sono rimasta stupefatta. Nessuna fotografia rende la consolante bellezza di quel viso che rispetta ogni caratteristica dei volti di Cristo, ma resta imparagonabile a qualsiasi ritratto. Porta i segni della Passione: il naso disassato, le labbra gonfie e insanguinate, il segno del colpo sulla guancia. Incontrando il suo sguardo si sperimenta cosa significa che Dio si fa specchio dell’uomo, assumendo su di sé tutti i suoi peccati; mentre l’uomo, nell’incontro, riguadagna la vita. È stata una sorpresa scoprire l’importanza che ha avuto il Volto di Cristo nella Chiesa, e che ciò che muoveva i pellegrini verso Roma era proprio il desiderio di vederlo, di contemplarlo. E una volta tornati a casa ne facevano una copia per farlo conoscere e poi venerare a tutta la popolazione, di generazione in generazione. Nella mostra abbiamo desiderato far conoscere questa storia e il movimento di tutta l’Europa verso il Volto di Cristo. Ne abbiamo trovato traccia perfino in Finlandia. Ci siamo concentrati non tanto sul particolare momento in cui Dio ci ha donato la reliquia, quanto sul perché ci è stato fatto questo dono. Le risposte sono tante e Gesù le ha seminate nel corso del tempo. Ma una più di tutte ha riacceso la mia speranza, quella data a santa Brigida: “Ho lasciato questo velo per la futura consolazione degli uomini”. È una storia affascinante, complicata; sembra quasi un giallo, i romanzi di Dan Brown in confronto non sono niente. La Camulia persa prima delle lotte iconoclaste, il Mandylion trafugato da Costantinopoli durante lo scisma, la Veronica dispersa durante il sacco di Roma e di cui per secoli non si è più saputo nulla. Fino ai giorni nostri, fino al Volto ritrovato di Manoppello, proprio in un momento dove sembra che l’Europa abbia perso l’amore per Cristo. Ma se Gesù è riuscito a farsi amare già una volta, e le tracce del Volto Santo in tutto il mondo lo dimostrano, perché non dovrebbe riuscirci ancora? Questo ritrovamento non può che essere per noi un segno di speranza».
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Wow, siete riusciti a non nominare mai l’unica “icona acheropita” probabilmente vera e legittima… Vediamo se indovinate. 🙂
Comunque, quello di Manoppello è davvero un Volto dolcissimo.
Quale sarebbe? Sono curioso di saperlo dato che ho visto la mostra quest’estate e mi ha molto colpito… sembra che metti in dubbio la ricerca fatta.
Ho letto molto anche sul Volto Santo e la mia voleva solo essere una battuta. L’idea che mi sono fatto, magari sbagliata, è che in realtà quello di Manoppello sia un telo con un’impressione molto vaga di volto data da sangue e sudore, su cui nei secoli, per mantenerne ed accrescerne la visibilità, vari artisti hanno sovrapposto delicati disegni, dei quali oggi non persiste una traccia chimica.
Le caratteristiche di asimmetria ed i segni della Passione presenti sul Volto sono perfettamente sovrapponibili a quelli del telo a cui alludevo nel precedente post, che ovviamente è la Sindone. Citare il Mandylion perso a Costantinopoli nel 1204 senza dire che secondo molti studiosi era null’altro che il telo sindonico ripiegato otto volte su se stesso (tetradiplon) poi ricomparso ed esposto nella sua interezza nella Savoia francese, suona quantomeno incompleto.
Non citare la Sindone non sminuisce l’importanza e la bellezza del Volto Santo di Manoppello!
L’articolo non parla della Sindone perché la ricerca si riferisce al telo usato dalla Veronica, per questo non capivo a quale icona acheropita ti stavi riferendo.
Che ci sia un collegamento tra il Mandylion e la Sindone mi pare molto strano perché la Sindone ha gli occhi chiusi mentre qui gli occhi sono aperti, anzi lo sguardo ha delle caratteristica molto particolari…
Comunque, quello che mi ha stupito della mostra è la suggestiva ricostruzione che farebbe combaciare il velo di Manoppello a quello della Veronica, con un percorso storico e iconografico molto interessante, come la questione dei denti, gli occhi che guardano o non guardano il fedele, il bianco e nero a seconda se lo si guarda da un lato o dall’altro, il fatto che è necessario osservarlo con una certa angolazione…
Mi ha anche stupito il fatto che di questo velo non se ne parli, anche se Benedetto XVI è andato ad “adorarlo”…
ciao
Grazie per il tuo intervento, Carlo. Purtroppo non ho avuto modo di visitare la mostra, che sembra(va) molto interessante. Dall’idea che mi sono fatto nella complicata storia delle immagini acheropite di Gesù, il collegamento Mandylion -> Sindone è tutt’altro che da escludere.
Banalmente, per citare solo una fonte non specialistica, su wikipedia alla voce “Mandylion” trovi il paragrafo “La Sindone di Torino”, che recita tra l’altro: “il giornalista Ian Wilson aveva avanzato l’ipotesi che il Mandylion fosse la Sindone di Torino; questa ipotesi è tuttora seguita dalla maggioranza degli studiosi che ritengono che la Sindone sia autentica, in quanto essa spiegherebbe l’assenza di documenti storici che si riferiscano alla Sindone nei secoli precedenti”.
E ancora: “Coerentemente con questa teoria, alcune antiche raffigurazioni del Mandylion mostrano un reliquiario le cui dimensioni corrispondono a quelle della Sindone piegata in otto (circa 110×55 cm), con un’apertura circolare al centro attraverso la quale si vede il volto di Gesù, mentre tutto il resto dell’immagine rimane nascosto” […] “Inoltre, gli Atti di Taddeo, un testo del VI secolo che riferisce la leggenda secondo cui il Mandylion sarebbe stato usato da Gesù per asciugarsi il volto, si riferiscono ad esso con la singolare espressione ràkos tetràdiplon, cioè “piegato quattro volte doppio”.
Un Crociato presente al sacco di Costantinopoli del 1204, Robert de Clary, scrive: “C’era un altro dei monasteri che si chiamava Mia Signora Santa Maria di Blakerne, dove la sindone, dove Nostro Signore fu avvolto, si trovava, che ciascun venerdì si drizzava tutta dritta, così che vi si poteva ben vedere la figura di Nostro Signore. E nessuno sa, né greco né francese, che cosa a questa sindone accadde quando la città fu presa”.
Se a questo aggiungi gli errori marchiani che fanno della datazione sindonica al Carbonio 14 una vera e propria bufala, allora il filo condutto che va dal Mandylion alla Sindone si fa più interessante!
questo è il sito della mostra: http://ilvoltoritrovato.com/