Vittoria di Chevron sulla mega truffa giudiziaria ambientalista. La sentenza: «Cose che si vedono solo a Hollywood»
Pubblichiamo stralci dell’introduzione alla motivazione di quasi 500 pagine firmata il 4 marzo scorso da Lewis Kaplan, giudice distrettuale del distretto meridionale di New York, sul caso “Chevron vs Donziger e altri”.
Questo caso è straordinario. I fatti sono molti e complessi. Comprendono cose che normalmente si vedono solo a Hollywood – email codificate tra Donziger e i suoi colleghi che descrivono i loro rapporti privati e le macchinazioni con i giudici e con un esperto nominato dalla corte; i loro pagamenti attraverso un conto segreto a un esperto che si presumeva essere neutrale; un avvocato che invita una troupe cinematografica a innumerevoli meeting strategici privati e perfino a incontri ex parte con i giudici; un giudice ecuadoriano che dichiara di aver scritto la sentenza multimiliardaria e che però era talmente inesperto e a disagio con le cause civili da farsi abbozzare i giudizi da altri (un ex giudice precedentemente rimosso dalla magistratura); un dattilografo diciottenne che pare aver fatto ricerche internet sulla legge americana, inglese e francese per conto del giudice di cui sopra, il quale conosceva solo lo spagnolo; e molto altro. La massa di prove è voluminosa.
Gli elementi transnazionali del caso lo rendono delicato e impegnativo. Tuttavia la Corte ha avuto il beneficio di un lungo processo. Ha ascoltato 31 testimoni di persona e considerato le deposizioni di altri 37. Ha vagliato migliaia di elementi documentali. Ha raggiunto le proprie conclusioni.
(…) In considerazione di tutte le prove (…) la Corte ritiene che Donziger inizialmente si sia coinvolto in questa controversia con il desiderio di migliorare le condizioni dell’area in cui vivono i suoi assistiti. Certo, mentre faceva il bene per gli altri ha anche perseguito un beneficio personale, ma non c’era nulla di male in questo. In ogni caso, alla fine lui e gli avvocati ecuadoriani che guidava hanno corrotto il caso Lago Agrio.
Hanno prodotto prove fraudolente. Hanno costretto un giudice prima a fare ricorso a un “esperto globale” nominato dalla corte per stilare la valutazione generale dei danni, poi a designare per quell’importante ruolo un uomo scelto da Donzinger e pagato per essere a totale disposizione dei querelanti ecuadoriani. Inoltre hanno pagato una società di consulenza del Colorado per scrivere segretamente, tutto o quasi, il rapporto dell’esperto globale, hanno fraudolentemente presentato il rapporto come frutto del lavoro dell’esperto nominato dalla corte, che si presumeva essere imparziale, e hanno detto mezze verità o peggio alle corti degli Stati Uniti nel tentativo di impedire la denuncia di tutto ciò e altri atti illeciti. Infine, il team dei querelanti ha scritto di proprio pugno la sentenza della corte di Lago Agrio e ha promesso 500 mila dollari al giudice ecuadoriano per convincerlo a deliberare in loro favore e a sottoscrivere il loro verdetto. Se mai c’è stato un caso in cui si debba assicurare equa riparazione a una sentenza ottenuta con la frode, il caso è questo.
La riparazione
Gli imputati cercano di scansare da sé la responsabilità dei loro atti sottolineando che il caso Lago Agrio ha avuto luogo in Ecuador e invocando il principio di cortesia internazionale. (…) Ma la cortesia non prescrive la cieca acquiescenza all’ingiustizia, men che meno l’acquiescenza entro i confini della nostra nazione.
(…) Chevron non cerca, e questa Corte non concede, una ingiunzione volta a impedire i tentativi di far valere la sentenza di Lago Agrio ovunque nel mondo. Quello che fa questa Corte è vietare a Donziger e ai due rappresentanti dei querelanti di Lago Agrio che sono soggetti alla giurisdizione di questa Corte, di trarre profitto in qualunque modo dalla gigantesca truffa realizzata. Che è una cosa ben diversa. Per la verità, il legale dei rappresentanti dei querelanti di Lago Agrio recentemente ha ammesso che gli imputati «non avrebbero problemi» rispetto alla «riparazione richiesta [da Chevron], ovvero la diffida, per la persona che ha pagato la tangente, dal trarne beneficio», assumendo così che il giudice sia stato corrotto.
(…) Donziger è intelligente, pieno di risorse, un maestro nelle relazioni pubbliche e con i media. Fin dai primi giorni una massiccia campagna di pubbliche relazioni e di comunicazione ha fatto parte della sua strategia, e continua a farne parte. Tra i suoi obiettivi c’era quello di spostare l’attenzione dalla truffa nei confronti di Chevron e della corte di Lago Agrio al danno ambientale denunciato da Donziger e dai querelanti ecuadoriani. (…) Ma non ci si deve lasciar distrarre.
Questa Corte assume che l’inquinamento nell’Oriente ci sia. Sulla base di questa assunzione, Texaco e forse perfino Chevron – sebbene essa non abbia mai effettuato trivellazioni in Ecuador – potrebbero doversi addossare qualche responsabilità, e in ogni caso un miglioramento delle condizioni per i residenti dell’Oriente è tanto desiderabile quanto atteso. Ma lo sforzo degli imputati di spostare l’attenzione sull’Oriente, per quanto sia comprensibile come tattica, è inutile in questo caso.
La questione qui non è cosa sia accaduto nell’Oriente oltre vent’anni fa e chi sia oggi da ritenere responsabile del male compiuto allora. La questione è invece chiarire se la deliberazione di un tribunale sia stata ottenuta attraverso la corruzione, a prescindere che la causa fosse giusta o meno. Un imputato innocente non è autorizzato a sottoporre prove false, cooptare e pagare un perito del tribunale o corrompere un giudice o una giuria più di quanto non lo sia un imputato colpevole. Così, anche se Donziger e i suoi assistiti si battevano per una giusta causa – e la Corte non si esprime su questo –, non erano autorizzati a corrompere il processo.
Nessuna scusante “Robin Hood”
Non si serve la giustizia infliggendo un’ingiustizia. I fini non giustificano i mezzi. Non esiste alcuna scusante “Robin Hood” per una condotta illegale. E le giustificazioni degli imputati, secondo i quali “così vanno le cose in Ecuador” – invero un bell’insulto al popolo dell’Ecuador –, non li aiuteranno. Gli atti illeciti di Donziger e del suo team sarebbero in contrasto con le leggi di qualunque nazione che aspiri allo Stato di diritto, compreso l’Ecuador – e loro lo sapevano. Un membro del team legale ecuadoriano, in un momento di franchezza dettata dal panico, ha ammesso che se fossero venute alla luce le prove documentali anche solo di una parte di quello che avevano fatto, «oltre a distruggere il procedimento, tutti noi avvocati potremmo finire in galera».
È ora di affrontare i fatti.
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