
Su Fanpage: «Il presidente americano ha annunciato altri 800 milioni di dollari in aiuti militari destinati all’Ucraina. Poi ha attaccato: “Putin non vincerà mai e gli Stati Uniti non rinunceranno mai a combattere contro i tiranni”».
Vincere o superare una grave crisi internazionale? Porsi questo dilemma significa tradire la resistenza ucraina?
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Su Leggo: «Sfortunatamente la Russia ha rifiutato la proposta di una tregua per la Pasqua (ortodossa, ndr)». Lo scrive su Telegram il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, pubblicando un nuovo video rivolto al suo popolo. «Questo dimostra quanto i leader di questo Stato – sottolinea – tengano in considerazione la fede cristiana e una delle feste più importanti e gioiose. Manteniamo comunque la nostra speranza. La speranza per la pace e che la vita vinca la morte».
Zelensky ha diritto di difendere il suo popolo in tutti i modi che sceglie, però le tregue che servono a una parte per rifornirsi di armi non sono proprio possibili.
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Sul Post si scrive: «Giovedì il presidente russo Vladimir Putin ha rivendicato la vittoria nella battaglia per la conquista di Mariupol, città portuale nel sud-est del paese sotto assedio da quasi due mesi. La mattina stessa tuttavia Putin aveva ordinato al proprio esercito di fermare l’assalto all’acciaieria Azovstal, dove da giorni sono asserragliati i soldati ucraini e circa mille civili, indicando di circondare l’area, bloccare ogni via di fuga e proporre “a tutti quelli che non avevano deposto le armi di farlo”. A Mariupol la resistenza ucraina è ormai ridotta solo all’acciaieria Azovstal».
Contare di scoprire la verità nella nebbia della guerra, è un’impresa disperata.
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Sul sito del Tgcom si scrive: «”La guerra di Putin arranca, nonostante le violenze e la durezza degli scontri nel Donbass. In queste condizioni è bene che il canale negoziale resti aperto. Ma per un negoziato vero bisognerebbe arrivare a un cessate il fuoco. E oggi prevedere se e quando Putin deciderà di sospendere la guerra e aprire un negoziato è difficile da prevedere”. Lo dice Benedetto Della Vedova, sottosegretario agli Affari Esteri, a Tgcom24».
Qualsiasi voce che chiede oltre alla guerra la trattativa, è benedetta.
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Su Strisciarossa Paolo Soldini scrive: «Il problema non è solo il decadimento del dibattito pubblico, la possibilità che si chiudano tutte le opportunità per il necessario approfondimento di una realtà geopolitica che è indubitabilmente complessa e non semplificabile con lo schema – vero, verissimo – secondo il quale c’è un aggressore e ci sono degli aggrediti. La liquidazione, prima ancora che si cominci a discuterne, di una questione etica di grandissimo spessore come la liceità della guerra e, eventualmente, a quali condizioni. Il problema è anche, forse soprattutto, il clima che si va creando: una contrapposizione radicale di opposte chiusure che spacca come una faglia culture, comunità politiche, perfino le famiglie e le amicizie. La storia ci insegna che la radicalizzazione sui problemi che riguardano guerra e pace, nazionalità e diritti dei popoli hanno portato in passato a fanatismi, dittature, lotte fratricide e guerre. Non è il caso, forse, di abbandonarsi a considerazioni tanto cupe. Ma il pericolo di una deriva c’è e va considerato. Dovremmo tutti, come si dice nel linguaggio familiare, “darci una calmata”, imparare a discutere assumendo ogni tanto la posizione dell’interlocutore, usare più “se” e più “ma”, diffidare delle assolutezze verbali che hanno la stessa radice degli atti estremi e degli eroismi il cui unico orizzonte è il suicidio. Se crediamo che il primo passo verso la pace sia la de-escalation, cominciamo a scendere intanto noi gli scalini del nostro dibattito pubblico».
Siamo in guerra e dunque bisogna tacere perché il nemico ti ascolta? O stiamo vivendo una grave crisi internazionale che potrebbe portarci a situazioni ancora più tragiche, e dunque una vera discussione è indispensabile per prendere le scelte necessarie?
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Su Tpi Almerico Bartoli scrive: «Il dibattito sull’invio di armi pesanti all’Ucraina sta solcando una spaccatura sempre più profonda dentro il governo del cancelliere Olaf Scholz. Gli stessi membri della sua coalizione hanno rotto i ranghi dichiarando in pubblico che la Germania “deve fare di più,” sollevando dubbi circa la capacità del neo cancelliere di guidare il Paese e indirizzare l’Europa in una delle crisi di sicurezza più gravi dalla Seconda guerra mondiale».
Ma in Germania il problema è che Scholz (fino a ieri descritto anche dai media “con elemetto” come un grande leader) è un codardo, o ci sono anche questioni politiche e sociali da prendere in considerazione? Discutere dei dilemmi di fronte a noi o tacere perché il nemico ti ascolta? That is the question.
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Su Huffington Post Italia Giuliano Da Empoli intervistato da Federica Fantozzi dice: «Un pezzo della sinistra spera che vinca Le Pen per poi ricostruire sulle macerie».
Domenica 24 aprile quasi sicuramente Emmanuel Macron batterà una Marine Le Pen che non è stata capace di presentarsi con una vera proposta di governo. Ma qualche mese dopo la Francia avrà un parlamento in cui lepeniani e melanchonisti avranno un peso decisivo sulle scelte di politica estera, come si comprende già oggi dalle pur cautissime aperture macroniane a Vladimir Putin.
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Su Affari italiani si scrive: «Si è concluso dopo un’ora l’incontro tra Matteo Salvini e il primo ministro ungherese Viktor Orban. Il colloquio è avvenuto all’Accademia d’Ungheria a Roma. Per la Lega è stata un’occasione per fare il punto della situazione internazionale anche alla luce della crisi Ucraina e dopo l’incontro tra Orban e il Santo Padre».
Vabbé! Orban è il diavolo, Salvini un cretino e Francesco un pacifista scriteriato. La discussione pubblica deve e può seguire solo questo binario?
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Su Open si scrive: «Beppe Grillo, a Roma per la consueta visita ai parlamentari del Movimento 5 Stelle, dice di essere arrivato “per aiutare Giuseppe Conte sui temi”. Ma, scrive oggi Il Fatto Quotidiano, il fondatore del movimento parla di guerra e si dice contrario all’invio di armi all’Ucraina, sconfessando così di fatto il governo Draghi ma anche la linea M5s. “Del resto siamo nati nel giorno di San Francesco”, dice a Luca De Carolis uno dei grillini che lo ha visto facendo riferimento al 4 ottobre».
Ah, non va dimenticato, a proposito, che Grillo è stato decisivo nel difendere Luigi Di Maio, il nostro ministro degli Esteri, dagli attacchi di “Giuseppi”.
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Su Dagospia si riprende una notizia dall’Ansa: «Il consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan, e il presidente degli Stati federati della Micronesia, David Panuelo, hanno espresso in un incontro “la comune preoccupazione per la firma da parte della Repubblica popolare cinese e delle Isole Salomone di un accordo bilaterale di sicurezza”. Lo rende noto la Casa Bianca. Nel faccia a faccia, Sullivan ha “ribadito il solido impegno Usa verso la sicurezza e la prosperità degli Stati liberamente associati” e ha discusso “questioni di interesse comune nella regione delle isole pacifiche”».
Le isole Salomone hanno solo poche centinaia di migliaia di abitanti e non possono essere paragonate a nazioni di ben altre dimensioni, ma le questioni della “sicurezza” tra diversi Stati riguardano solo l’Oceano pacifico meridionale?
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Su Dagospia si riprende un articolo Guido Santevecchi sul sito del Corriere nel quale si scrive: «La ricetta cinese? Xi dice che la Cina vorrebbe proporre «un’iniziativa globale con al centro il principio dell’indivisibilità della sicurezza, che si opponga alla costruzione di sistemi di sicurezza nazionali sulla base dell’insicurezza di altri Paesi».
Personalmente ho molti dubbi su Pechino anche quando “porta doni”, però questa loro richiesta è del tutto sbagliata?
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