Verso il destino

Di Marina Corradi
12 Febbraio 2004
E' morto Nuto Revelli.

E’ morto Nuto Revelli. Ufficiale degli alpini in Russia, poi partigiano, finita la guerra andò girando le cascine delle campagne italiane cercando un tesoro nascosto: lettere. Le lettere dei soldati dal fronte, in particolare da quello russo. Domandava, ha scritto nella prefazione de L’ultimo fronte, con pudore alle madri. Erano sempre le madri, le «gelose custodi del tesoro», soprattutto se quel figlio non era più tornato. Pacchi e pacchi di lettere ingiallite, riportate da Revelli nei suoi libri, tali e quali anche gli errori di ortografia, con un religioso rispetto della quinta elementare di quei contadini mandati al massacro, carne da cannone in una terra gelida e lontana. La neve e la fame, i pidocchi e la nostalgia di casa, la mamma e la moglie, il tabacco che manca, l’ansia per i campi e la stalla abbandonati. E, soprattutto, Dio e i santi, e le campane che non suonano nelle immense distese ghiacciate. è l’esilio di un popolo cristiano quello restituito, tale e quale, dal laico Revelli.
Sentite: steppa del Don, novembre 1942, Bartolomeo Demaria, classe 1918, contadino di Castelletto di Busca, terza elementare: «A’ già nevicato e cie un freddo da morire tante matine il freddo si trova 30 sotto zero si dorme sotto terra due metri e abbiamo anche na stuffa per scaldarci pare tutto la nostra che avevamo prima mi pare sempre di vedere padre che mette legna dentro e mamma che fa la polenta, cualche volta sto a pensare a quei tempi mi viene voglia di piangere al punto che mi trovo adesso ma adesso si vive qui come le bestie non si sente più la campana a suonare si sente solo più il rombo del cannone e mitragli e reoplani che bombardano ma stiamo sempre alla grazia del nostro signore, si dice sempre il rosario tutte le sere».
12 ottobre 1942, fronte russo. Enrico Tomatis, classe 1921, contadino, da Morozzo, quarta elementare: «Caro papà, voi siete già ai lavori di semina invece in questi paesi ce ancora molto grano da taliare e ce ne ancora dell’anno scorso da battere, credi che fa venire la rabia a vedere molta roba andare alla malora… Ma sì, imbottiglia il vino e fallo venire buono e quando verrò a casa lo assaggeremo e se è buono prenderemo una bella sborgnia io e te». Enrico Tomatis è uno dei 6.500 dispersi in Russia. L’avventura di poveri cristiani mandati a morire senza nemmeno capire perché. Il pensiero ai figli, pudiche tenerezze per la moglie, l’apprensione per il grano che certo, laggiù a casa, dove c’è un benedetto sole, sta già crescendo. La speranza in Cristo, che comunque deve esserci, anche in quel livido deserto.
Fronte russo, 16 maggio 1942. «Ciau sempre, coraggio. Si marcia sempre verso il destino». Severino Giordano, classe 1929, da Vinadio, contadino. Anche lui non è tornato.

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