
«Verboten», gridano i cartelli. Ma non sanno fermare il tarlo che rode i ricchi villeggianti
Verboten. Amtsverbot. Verboten. Come passi la frontiera ed entri in Svizzera i prati sono più verdi, e l’asfalto sotto le ruote si fa perfettamente liscio. Ma, ovunque ti volti, la stessa parola. Fermarsi, parcheggiare, camminare sull’erba, tutto «Verboten». A Saint Moritz non esiste un solo metro quadro di suolo che non sia piantonato da paletti e catene, un angolo di asfalto non occhiutamente protetto dal suo legittimo proprietario con quel minaccioso teutonico altolà: «Verboten». Passeggi allora, ben attento a non valicare sbadatamente il marciapiedi che ti è concesso. Pochi bambini, tutti rigorosamente biondi. Molti cani, tutti rigorosamente di razza. Moltissimi ottantenni, soli o con la badante accanto, camminano adagio. Nel tremito parkinsoniano del polso quando caricano il peso sul bastone da passeggio, gli Audemars Piguet d’oro massiccio luccicano al sole. Troppi dollari in banca, e troppi pochi anni ancora per spenderli, sembra la inconfessata tristezza di Saint Moritz, tra l’incredibile azzurro del cielo e del lago.
E ossessivamente: «Verboten». Verboten giocare sull’erba, è scritto in quattro lingue davanti ai prati infiniti di Celerina. Solo i levrieri e dalmata si avventurano col loro trotto altero da purosangue su quel velluto verde. Tuttavia, non c’è una sola cacca di cane a Saint Moritz. Ogni cestino dei rifiuti offre gratuitamente gli appositi sacchetti, di un delicato color rosa fragola.
Qualsiasi forma di sporcizia o di disordine è stata sradicata. Lungo le siepi le foglioline si allineano rigorosamente diritte, e pari. Non una sola gramigna nelle aiuole. Solo la vegetazione selezionata sopravvive alle cure di alacri giardinieri, implacabili coi soffioni, e le margherite di campo. Vista, a Celerina, davanti a una villa, una panca di legno assicurata al muro con catena e lucchetto. Voglia di bussare alla porta, per capire che cosa porta un uomo a una così totale sfiducia nel prossimo. E benchè ci sia il sole e il lago sia così bello, il viandante mediterraneo si accorge che non sta troppo bene, a Saint Moritz. Nel rigore maniacale, nel Verboten totale fiuta un’ansia insana di costruire un mondo perfetto, salvato dalla precisione, dalla solerzia, dal sacro rispetto della legittima proprietà. Adorazione dell’Ordine, ma trascuratezza del Bello: il parallelepipedo grigio della Coop si staglia sul lungolago, minaccioso e brutto come un carcere di massima sicurezza.
Saint Moritz, il mondo più a posto che si possa immaginare. Impensabili il caos, la sporcizia, il rumore delle città normali. E tuttavia qualcosa non funziona. La pulita, ricca, ben amministrata Svizzera ha un tasso di suicidi fra i più alti d’Europa. E come trema il polso di quel vecchio signore elegante quando appoggia il bastone, come sembrano inutili i gioielli di sua moglie, su quel collo rugoso. Mille aiuole superbamente curate, e la scrupolosa osservanza dei regolamenti cantonali, non bastano.
«Verboten», gridano i cartelli, ma non sanno fermare il tarlo che rode anche i fortunati villeggianti di questa splendida valle. Il paradiso, è fasullo. A sera, i vecchi ricchi vanno a giocare al casinò, come inseguendo un brivido di salvifico imprevisto, in un mondo desolatamente perfetto.
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