Veneziani: «Basta pornocrazia, si ritorni alla politica»

Di Carlo Candiani
29 Settembre 2011
Marcello Veneziani (Il Giornale) spiega a Radio Tempi che cosa ha mandato in crisi la politica e come può risorgere: «Oggi invece c’è solo un referendum permanente, non solo sul Berlusconi politico, ma su quello privato. E questo non vale solo per l'antiberlusconismo. Bisogna partecipare, aggregarsi e rianimare così una politica spenta»

«Basta pornocrazia, si ritorni alla politica», è l’invito che Marcello Veneziani, filosofo e saggista, ha lanciato dalle pagine del Giornale, di cui è autorevole commentatore. Quelle di Veneziani sono riflessioni che colgono il nocciolo della questione della situazione politica: la crisi del rapporto tra il popolo e le istituzioni. «Ho scritto di antipolitica come nostalgia perché si avverte un bisogno di ritornare alla politica – spiega Veneziani a Radio Tempi –. Da tanto tempo ruotiamo intorno a dei surrogati, a questioni che hanno valenza personale, a lotte di natura privata, a problemi che riguardano il moralismo applicato alla politica e quindi “la pornocrazia”, elemento dirimente della nostra democrazia».

Lei scrive: “I leader passano, il popolo resta”. La politica della cosiddetta “Seconda Repubblica” però si basa sull’elezione diretta del premier, del sindaco, del governatore di Regione. Il leader è un limite o un valore aggiunto?
Io credo molto alla trasformazione della politica come principio di responsabilità, credo molto all’elezione diretta dei leader: ma quando la politica si avvita intorno ai casi personali e resta solo l’accanimento “ad personam”, allora scatta qualcosa di perverso, un meccanismo aberrante che fa degenerare tutta la categoria. Bisogna richiedere che il leader diventi punto di arrivo e non di partenza: insomma, non si possono giudicare le posizioni politiche di una persona sulla base dell’odio o meno che si nutre a livello personale nei suoi confronti.

Che cos’è che conta allora?
Il programma, la storia, la capacità di essere sintesi tra i cittadini e i movimenti.

Che cos’è oggi l’azione politica?
E’ partita, dopo il crollo dei vecchi partiti, con buone intenzioni. Oggi invece c’è solo un referendum permanente, non solo sul Berlusconi politico, ma su quello privato. E questo vale non solo per il fenomeno dell’antiberlusconismo, ma anche per quelli che ritengono che la battaglia del centrodestra debba esaurirsi nella difesa quasi personale di Berlusconi. Bisogna andare al di là degli schemi precostituiti.

Lei scrive anche che “l’etica della sfera pubblica (l’azione politica) non deve essere giudicata dalla moralità della vita privata”, quella che Lei chiama “pornocrazia”.
Io  credo si debba distinguere tra la ricaduta pubblica di alcune scelte private e la vita privata, che resta legata alla propria dimensione personale e che riguarda la propria coscienza. Etica vuol dire “costume” e ha un’implicazione con la vita pubblica, la morale invece è un rapporto interpersonale, che non passa dalla piazza. Oggi invece siamo alla perversione di queste categorie. Nel mio articolo spiego che se una persona ha una vita privata discutibile, per esempio dal punto di vista sessuale, è un fatto moralmente disdicevole ma politicamente ininfluente. Se invece una persona viene eletta a una carica pubblica per motivi sessuali, quello è sicuramente una caduta di stile e soprattutto di etica.

Lei conclude la sua riflessione, richiamando all’abc della passione politica, ma contemporaneamente vede un vuoto che non si può colmare.
E’ un paradosso: la politica nasce per rispondere a una mancanza, è una richiesta di cose che attualmente non ci sono. Oggi si chiede ai politici di far rinascere la politica stessa come rapporto corretto tra cittadini e istituzioni. Bisogna accettare la sfida, però con realismo: effettivamente non si vedono in giro grandi segnali di vitalità.

Come si rinnova una politica spenta?
Innanzitutto partecipando, considerando la propria cittadinanza attiva, intervenendo sui blog, nei giornali, attraverso il voto, attraverso forme di aggregazione, fondazioni, club, movimenti, dando vivacità all’interno degli stessi partiti: non c’è una strada canonica dentro cui bisogna muoversi, l’importante è che ci sia questa intenzione finale, quella di rianimare una politica spenta.

Lei è stato per qualche tempo consigliere di amministrazione della Rai, ha avuto anche responsabilità di spazi televisivi di approfondimento. Come giudica l’attuale stagione dei “talk” politici?
Ho l’impressione che ci sia un format che si ripeta all’infinito. Per esempio La7 è partita con programmi originali, che oggi però si moltiplicano senza cambiare le tematiche. Il discorso è trasferibile anche alle altre reti che replicano all’infinito il dibattito politico. Credo sia necessario inventare nuovi format, nuove forme di partecipazione, con soggetti diversi e non i soliti che fanno “il giro delle sette chiese”. Si sperimenta poco in Italia, vale “il canone Santoro”, “il canone Vespa” e su questi generi si insegue sempre il concorrente.

Ascolta l’intervista integrale
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