Good Bye, Lenin!
Universitari russi contro la zombificazione propagandistica di Putin
Sembra di essere tornati nella Germania Est degli anni ’50, quando i libri di Orwell – autore inviso al regime – venivano dimenticati «casualmente» nelle latrine dei treni, a disposizione di chi, una volta letti, volesse coraggiosamente ripetere il gesto.
E invece stiamo parlando della Russia attuale, di come a Mosca alcuni studenti dell’Università di discipline umanistiche e dell’Università pedagogica, in segno di protesta contro l’invasione dell’Ucraina e per sensibilizzare i concittadini, hanno lasciato copie di 1984 nei vagoni della metro Kol’cevaja (la linea circolare che interseca le altre), accompagnandole da fogli con citazioni tratte dalla Costituzione.
Niente di nuovo sul fronte occidentale
Allo stesso modo nel vestibolo della stazione Kievskaja – anch’essa sulla circolare – hanno lasciato diverse copie di Niente di nuovo sul fronte occidentale di Erich Maria Remarque, con dei fogli che riproducevano i testi delle norme sulla responsabilità di chi esegue ordini illegali, sugli interventi militari e sul diritto al servizio civile alternativo.
Non a caso è stata scelta questa stazione, che porta il nome della capitale ucraina e che è decorata con mosaici sulla storia dei rapporti russo-ucraini. Fra l’altro, nei giorni scorsi qualcuno vi ha deposto dei fiori, poi rimossi dagli agenti che ora sorvegliano il vestibolo e fermano eventuali «manifestanti».
Come accennato nel nostro blog precedente, dall’avvio della guerra in Russia è stata rafforzata la pressione propagandistica su scuole, università, istituti: da un lato per favorire la rilettura nazionalista della storia, dall’altro per fare in modo che i giovani si astengano dal prendere posizioni non in linea con i diktat governativi.
«Abbiamo un regime totalitario»
In alcuni casi sono gli insegnanti ad esporsi e a rischiare non solo il posto ma anche ammende e l’arresto, come nel caso di Irina Gen, insegnante di inglese in una scuola media di Penza, vittima di delazione dopo che le sue dichiarazioni registrate durante un dibattito in classe sono state consegnate alla polizia che ha aperto un’indagine. «Abbiamo un regime totalitario – ha detto l’insegnante, – qualsiasi dissenso è considerato un reato di opinione. Finiremo tutti dentro per 15 anni. (…) Certo che è sbagliato, voi non avete niente a che fare con quel che accade, sono d’accordo. Ma siamo un paese canaglia, siamo come la Corea del Nord… La comunità internazionale si chiede come ci si possa comportare in questo modo nel mondo civilizzato».
Le azioni degli universitari
Ma è soprattutto nelle università che cova l’insofferenza.
Ad esempio, gli studenti dell’Istituto di fisica e tecnologia di Mosca (Mift) hanno annunciato una serie di incontri informali per ripercorrere la storia e le tematiche del movimento pacifista. Il primo di essi, tenutosi ad un mese esatto dall’inizio della guerra, è stato dedicato alla figura di Andrej Sacharov, che fu professore proprio al Mift. E come non ricordare le sue parole profetiche con cui nell’89, appena eletto deputato, mise in guardia dalla concentrazione del potere nelle mani di una sola persona?
Dopo l’incontro su Sacharov, gli studenti del Mift già pensano a quello successivo, dedicato non per niente al gruppetto di amici della Rosa Bianca, la resistenza giovanile nella Germania nazista.
Accanto a queste iniziative, si aggiungono i piccoli gesti che servono a far breccia nell’asfissia generale e che in una situazione come questa diventano gesti eroici: chi appende bandiere gialloblu, chi diffonde volantini scritti a mano, chi scende in piazza per picchetti solitari, chi lancia iniziative come #Rector_reject_Signature, una lettera di appello ai rettori perché non firmino il documento di sostegno alla guerra voluto dallo Stato.
Come in piazza Majakovskij
Nei giorni scorsi sono state proposte altre misure per contrastare la propaganda governativa: «Si tratta di attività che rappresentano un metodo per ricordare che l’università non è un luogo di zombificazione, ma uno spazio di pensiero critico», osservano gli studenti. Per questo suggeriscono di scrivere esposti al rettorato e alle autorità scolastiche per chiedere la sospensione o la revisione di corsi sul «Mondo russo» o sulle fake news, che sono stati abborracciati in fretta e furia e «non soddisfano gli standard accademici». Nel caso, boicottare queste lezioni e invitare i compagni di studio a «partecipare ad uno sciopero formativo». Infine, «usare questa opportunità per parlare e rompere il silenzio sulla guerra», se possibile evitando di riferirsi ai media ma raccontando come vivono amici e parenti in Ucraina o i coscritti al fronte, perché «questo è più difficile da liquidare come fake».
Gesti apparentemente ingenui, come quelli dei loro «nonni» che leggevano poesie alternative alla cultura ufficiale in piazza Majakovskij durante l’epoca sovietica: anche loro erano sparuti gruppetti la cui voce veniva soffocata dal frastuono mediatico delle spartachiadi – mentre oggi è soffocata dalle adunate allo stadio di Lužniki.
Ma, come allora, contribuiscono a salvare la dignità del popolo russo.
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