
Una donna è una donna. Non un certificato

«Starmer, prendi nota – gioisce Suzanne Moore sul Telegraph –. Sappiamo cos’è una donna e non è un uomo che sventola un certificato».
A Starmer e ai suoi compagni di partito, che per anni hanno ripetuto che le donne possono avere il pene, gli uomini la cervice e che i bambini non nascono con un sesso biologico, bisognerebbe anche chiedere: era davvero necessario arrivare fino alla Corte Suprema per stabilire che cos’è una donna?
Così come ai 388 colleghi del Guardian – tra redattori ed editorialisti – che cinque anni fa pretesero il licenziamento di Moore e la messa al bando dei suoi articoli «transfobici»: sostenere che il sesso biologico esiste è ancora considerato un reato d’opinione?
La donna secondo la legge: vince la biologia
Martedì scorso i giudici inglesi, all’unanimità, hanno stabilito che nel Equality Act del 2010 il termine “sesso” si riferisce al sesso biologico, reale e binario, non a quello dichiarato tramite un Gender Recognition Certificate (GRC). Tradotto: non importa quanti moduli si compilino, quante pillole si assumano o quanta chirurgia si subisca – la biologia non è negoziabile.
Lo era, a quanto pare, solo nella testa di alcuni funzionari scozzesi (in particolare quella dell’ex premier Nicola Sturgeon), convinti che bastasse un certificato per avere accesso alle protezioni riservate al sesso acquisito. Una convinzione formalizzata nella legge sulla rappresentanza di genere nei consigli pubblici votata a Edimburgo nel 2018, in base alla quale anche i transgender nati maschi potevano rientrare nelle cosiddette “quote rosa”.
Cos’è una donna? Lo decide la Corte Suprema
La domanda “Cos’è una donna?” è dunque approdata al più alto tribunale del Regno Unito, dopo che il gruppo femminista For Women Scotland ha contestato l’interpretazione del governo scozzese: se fosse stata accolta, avrebbe creato un precedente per tutti gli spazi riservati alle donne. Un pezzo di carta da cinque sterline avrebbe garantito a un uomo l’accesso a rifugi, spogliatoi, reparti ospedalieri e persino carceri femminili (qualcuno ricorda lo scandalo di Isla Bryson, nata Adam Graham, condannata per lo stupro di due donne e trasferita in una prigione per sole donne?).
Un manipolo di attiviste, sostenute e finanziate da J.K. Rowling, con l’aiuto di LGB Alliance, Sex Matters e The Lesbian Project, ha sfidato quindi un sistema che per anni ha reagito con ostracismo, epiteti e licenziamenti. La premier le ha definite “bigotte”, “misogine”, “razziste”, mentre Amnesty, media e social hanno alzato roghi morali. Fino alla sentenza.
«L’era in cui ci dicevano che alcune donne hanno il pene è finita. Alleluia!»
«Ancora una volta i tribunali hanno detto ciò che la politica non ha avuto il coraggio di dire», commenta Moore. Facile immaginare il sollievo di Keir Starmer (la leader Tory Kemi Badenoch ha chiosato: «L’era in cui ci dicevano che alcune donne hanno il pene è finita. Alleluia!»). «È una vittoria luminosa, e una lezione per tutti».
Una lezione anche per la BBC, che ha commentato con l’ipocrita “non ci sono vincitori”. Il giudice Patrick Hodge ha ammonito dal leggere la sentenza come un trionfo di una parte sull’altra, ricordando che essa «non toglie protezione alle persone trans». Ma è difficile non chiamarla vittoria per chi, per difendere la realtà, ha perso carriera, lavoro e voce.
Una donna cancellata: il prezzo del dissenso
Per anni si è cercato di cancellare la parola “donna” per sostituirla con “menstruator”, “persone con la cervice”, “portatori di vagina”. Si è data la caccia alle “streghe” che credevano nel sesso biologico come la Rowling, si è bandite dalle università le “TERF” come Kathleen Stock o Julie Bindel.
Difficile non pensare a Sandie Peggie, infermiera scozzese, che rischia il licenziamento per essersi opposta alla presenza di un collega alto un metro e ottanta, privo di GRC, nello spogliatoio femminile. Un medico che si dichiara “donna biologica” e afferma che il sesso è “un concetto nebuloso”. O a Jennifer Melle, indagata per misgendering dopo aver chiamato “Mr.” un paziente alto due metri, ammanettato e scortato da due agenti.
L’ostracismo contro Bindel e le altre
Julie Bindel ha ricordato tutto questo sul Mail: anni di emarginazione, minacce, contestazioni, fino alla nota aggressione subita all’Università di Edimburgo – la stessa che lei vorrebbe veder «metaforicamente rasa al suolo».
Ora si tratta di prendere sul serio la sentenza. «I giornali devono tornare a riportare il sesso degli autori di reati», scrive Bindel, «perché troppi uomini sono stati definiti “donne” dopo aver compiuto abusi». «La polizia e i magistrati devono smettere di registrare solo l’identità di genere degli arrestati», «i datori di lavoro devono essere formati sull’Equality Act», «e ci devono essere riconoscimenti e scuse per tutte noi che abbiamo perso il lavoro, pagato processi, subito gaslighting, censura, insulti». Non è una vittoria contro le persone trans, ma contro un’ideologia che pretendeva di ridefinire la realtà per decreto. Ora la battaglia si sposta sul terreno del Servizio Sanitario Nazionale, della polizia, delle federazioni sportive e delle scuole. Perché la sentenza non venga ignorata.
Ora la politica deve parlare
Ed è tempo che anche la politica torni a parlare chiaro. «La storica sentenza della Corte Suprema è l’occasione perfetta per il partito laburista di prendere lentamente le distanze dalla scena del crimine», ha scritto Spiked. I giornali prevedono un’ondata di revisioni normative, cause legali, richieste di risarcimento. Ma la questione non è chiusa. Perché quando oggi una ministra dice che «abbiamo sempre sostenuto gli spazi riservati in base al sesso biologico», ma ieri dichiarava che le donne trans con il pene avevano diritto ai bagni femminili; e quando un primo ministro afferma che «il 99,9% delle donne non ha il pene», il problema non è solo l’ideologia.
«Certo – conclude Spiked – ci sono più ideologi gender nel Labour che in qualsiasi altra area della vita pubblica britannica. Ma la vera domanda è: perché i leader li hanno ascoltati? […] L’acquisizione trans del partito laburista mostra quanto i tecnocrati siano vulnerabili alle mode […] e quanto i nostri governanti abbiano smarrito una visione del mondo. Senza ideologia, senza orizzonte, si aggrappano al transgenderismo, alla teoria critica della razza, all’allarmismo climatico, per dare un senso – o almeno una parvenza di scopo – a un potere altrimenti vuoto». Non si tratta soltanto di resistere all’ultima follia. Ma di prepararsi alla prossima.
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