Un Papa che parla come un uomo non la dà vinta a un archetipo di umanità sorda al Mistero

La contestazione del Papa alla Sapienza ha avuto per effetto la manifestazione di Roma: una manifestazione per la libertà, sia pure di una persona particolare come il Papa. Benedetto voleva parlare alla Sapienza da professore. è quello che fece anche a Ratisbona, pensando di contare sull’immunità del discorso magistrale universitario. Ma l’accademia non tutela più il Papa, che esprime la pienezza della Chiesa cattolica di fronte al mondo. Anche il discorso non fatto alla Sapienza è un discorso da professore: non invoca tesi che il consenso accademico non possa accettare. Fa riferimento a John Rawls per rivendicare il diritto delle tradizioni “non pubbliche” ad esprimersi egualmente nello spazio civile in quanto minoranze che portano argomenti ragionevoli. E a Jurgen Habermas, che chiede, come premesse per il dibattito pubblico, di accettare l’eguaglianza delle parti e proporre conclusioni ragionevoli.
Questo non è certamente parlare da Papa, che deve rivendicare da Cristo il suo diritto di parola nel mondo che tanti cristiani testimoniano fino al martirio. In ambedue i casi, Ratisbona e Roma, si era richiamato alla libertà e al consenso dell’accademia, ma al Papa romano questo non è stato possibile. Il suo ruolo gli ha attirato reazioni religiose e politiche, ad indicare l’integrale storicità del successore di Pietro che, proprio nella contestazione del mondo, riceve il riconoscimento che egli parla a nome di Cristo e non a titolo personale. Ciò sembrerebbe contraddire il fatto che il suo essere teologo universitario tedesco dà un fascino particolare al suo modo di esporre il Papato oggi, così come la Chiesa lo vive. Ma non è questa la ragione per cui egli affascina oggi credenti e non credenti, in modo assai diverso dal grande comunicatore che fu Giovanni Paolo II.
Benedetto vuole uscire dall’ansia per la presenza in temi sociali e politici che ha distinto gli ultimi pontificati. Lo si potrebbe definire un mistagogo, colui che vuole condurre i cristiani al Mistero della vita divina in loro. Di fatto, la sua attenzione non è mostrare ciò che determina la prassi della Chiesa nel sociale, anche se sa che questa è l’espressione della carità come ha indicato nella prima enciclica, ma è rivolta al Mistero cristiano: la vita eterna. La vita eterna è la partecipazione alla vita trinitaria, mediante il Logos, il Verbo, in cui, come dice il prologo giovanneo, «tutto quello che è stato creato è in Lui vita». Nel Verbo il mondo esiste in Dio prima che il mondo sia. è “un prima” non temporale ma essenziale, che esprime l’immanenza della creazione al Verbo divino.
Sono i nuovi “segni dei tempi” richiesti dal Concilio come criterio per la guida della Chiesa. Essi ora indicano Dio come il tema dominante di questo tempo, in cui l’uomo è cresciuto fino a diventare forma del suo mondo che trasforma, ma senza conoscere il significato della sua azione in esso. Per questo il Papa si scontra con l’autosufficienza delle scienze naturali e le tecnologie che ne provengono quando pretendono di essere il cammino dell’uomo divenuto archetipo di se stesso, mentre non sanno dove vanno e quello che veramente fanno. Non hanno cioè nessuna coscienza della ricaduta nella realtà del loro stesso procedere. Non è il Papa che apre il conflitto, egli vuole introdurre i cristiani alla divinizzazione nel Verbo incarnato e alla vita nella Trinità. Vuole far crescere la dimensione contemplativa del Mistero rispetto a quello della prassi divenuta circolo assorbente di tutte le attività umane senza autocoscienza dell’uomo e senza contemplazione di Dio. Ma è appunto per questo, perché è un mistagogo, che vuole introdurre i cristiani a partecipare al Mistero, che egli viene visto come la differenza che esiste tra la realtà e la scienza, tra l’uomo e la tecnica. Così il Papa è espressione dell’uomo in se stesso, di fronte ai nuovi poteri che l’uomo produce e di cui il Papa, per il fatto che predica il Mistero divino, diviene testimone dell’umanità dell’uomo e della libertà.
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