Un amore folle: Siobhán Nash-Marshall, in memoriam
Pubblichiamo l’articolo che David Deavel ha scritto in memoria di Siobhán Nash-Marshall, recentemente scomparsa, per il sito The Imaginative Conservative. Qui di seguito una introduzione di Luca Montecchi, che ha anche curato la traduzione al testo di Deavel. I titoletti che compaiono nel testo sono opera della redazione di Tempi.
***
Born on the Fourth of July non è solo il titolo della nota pellicola pacifista di Oliver Stone: è davvero la data di nascita (1965) dell’amica americana Siobhán Nash-Marshall morta l’11 dicembre 2024. Quello che presentiamo è il ricordo della grande amica pubblicato il 20 dicembre scorso sulla rivista on line The Imaginative Conservative a firma di David Deavel. Siobhán Nash-Marshall, cattedra di Metafisica al Manhattanville College, NYC, genio teoretico assoluto ed energia allo stato puro, è spirata nel suo appartamento di una torre newyorkese, dalla cui finestra vedeva il suo fiume Hudson, a due passi dal Palazzo delle Nazioni Unite. Non ha retto a un tumore difficile e diffuso, che se l’è portata via in un anno. L’articolo qui offerto è il ritratto di lei scritto da un collega e amico di vecchia data, che ne ha visto e seguito la maturazione e l’intera carriera accademica non da lontano, bensì per intima frequentazione e affinità. Lo proponiamo perché chi lo ha tradotto conferma la viva veridicità del racconto.
Pur avendo io conosciuto Siobhán da non più di cinque-sei anni, con lei è stato immediato, quasi istantaneo, l’accendersi, in lei e in chi l’ha incontrata, di un affetto travolgente, più che amicale, radicato e comunicato nella verità di Cristo e nella passione di vita per la Sua vittoria nel mondo. Una filosofa vera, “amante di sophìa”, della Sapienza di Dio – che indagava con mente prodigiosa pari al cuore –, una donna intera che, senza mai cedere a sentimenti dolciastri, sapeva riconoscere nei compagni di strada più che degli amici: dei fratelli accomunati dal medesimo destino di eterna beatitudine, l’agognata “felicità del Bene” dell’amato Aristotele e del venerato Tommaso d’Aquino – che lei devotamente chiamava “il mio Principe”. Un’accademica dalla facondia e dalla penna folgoranti non meno che stringenti, e che sapeva argomentare con gli accademici di mezzo mondo veri e presunti, far ragionare e consigliare politici e prelati di lungo corso a Washington come a Monaco o in Vaticano, ingaggiare battaglie culturali sui media più diversi per far udire la voce dei cristiani dimenticati di Siria e d’Armenia (e narrarne le storie), costruire scuole e organizzazioni benefiche, educare studenti universitari e adolescenti delle high schools e dei nostri licei, di norma comunicando davvero nelle loro lingue (parecchie). Una persona che si trovava a suo agio, e metteva a suo agio, con chiunque avesse un cuore semplice e aperto, non importa se illetterato o non titolato, facendo il pane, lavorando il legno, suonando Bach al pianoforte, cantando canzoni, pregando il Rosario, cucinando o bevendo un whiskey, meglio se doppio. E parlando delle cose più profonde, elevate, sottili, o insieme quotidiane, materiali, tecniche, sempre e soltanto per affermare la gloria di Cristo nella carne e nella realtà tutta.
La sua mancanza è struggente, ma la sua energia e il suo giudizio non sono spenti: ci incalza a penetrare, anzi, a lasciarci prendere dentro il Mistero quaggiù, e a spenderci senza riserve per Dio, ora. Siobhán ci sta già preparando la strada al Cielo.
Luca Montecchi
***
Un amore folle: Siobhán Nash-Marshall, in memoriam
di David Deavel, 19 dicembre 2024
Filosofa di professione, la mia amica Siobhán Nash-Marshall lo era senz’altro. Ma il suo amore per la sapienza comprendeva il desiderio di cambiare il mondo e d’interpretarlo. Cercava di farlo costantemente secondo quella sapienza che per gli uomini è stoltezza.
Forse perché era figlia di diplomatici e aveva imparato i loro metodi fin da piccola, ma la defunta filosofa, scrittrice e benefattrice Siobhán Nash-Marshall ha sempre avuto un’aura di mistero, anzi di romanticismo, che l’avvolgeva. Le comunicazioni con lei parevano sempre cospiratorie, perché in larga parte lo erano. Di solito messaggi brevi e criptici oppure telefonate in cui annunciava o pianificava qualcosa, e in cui chiedeva cooperazione, assistenza o sostegno silenzioso e preghiere. Se lei si trovava nello stesso edificio, era anche meglio. Mia moglie Cathy, che ha insegnato nel Dipartimento di filosofia con lei alla University of St. Thomas in Minnesota, ricorda la tendenza di Siobhán a comparire all’improvviso sulla porta del suo ufficio, afferrare un avambraccio e poi chinarsi a raccontare l’ultimo piano col suo tono roco, da sigaretta e caffè. Come ha detto molte volte a me e a mia moglie, «non mettete nulla per iscritto se non è necessario». Le comunicazioni con lei negli ultimi anni avvenivano, opportunamente, di solito tramite l’applicazione sicura Signal.
In linea col tema del mistero, non so parlarvi del suo passato come vorrei, perché anche su questo c’era un alone di segretezza. Era nominalmente nativa di Filadelfia, ma la miglior descrizione del luogo in cui è cresciuta sarebbe Manhattan e l’Europa tutta. Anche una settimana dopo la sua morte, non vi sono necrologi ordinari che dicano quando è nata e nemmeno il giorno esatto in cui è deceduta. Senza dubbio ne sarebbe contenta. Guardando un curriculum vitae aggiornato, ho notato che non ha incluso le date dei suoi titoli di studio, anche se da alcuni dettagli professionali ho potuto dedurre che a metà degli anni Ottanta era alla New York University come studentessa universitaria di Studi medievali e rinascimentali. Questo la faceva – di sicuro mi avrebbe interrotto mentre lo dicevo – «di una certa età».
Come interpreti questa riga di testo?
Questo computo stimato dell’età corrisponde ai miei ricordi di quando la incontrai alla fine degli anni Novanta alla Fordham University, che aveva già passato i trent’anni. A differenza di molti studenti “anziani”, però, non solo non era di quelle persone che, per buone o cattive ragioni, ci mettono un decennio a scrivere una tesi di dottorato. No, aveva studiato in Europa, ottenendo la licenza in filosofia dall’antica Università di Padova, frequentando all’Università di Monaco di Baviera le lezioni del filosofo italiano Giovanni Sala SJ, e completando il primo dottorato in filosofia, con specializzazione in epistemologia, all’Università Cattolica di Milano. Allora era a Fordham a studiare metafisica con gli ultimi grandi studiosi gesuiti Norris Clark e Joseph Koterski.
Quando arrivai alla Fordham, lei era già una leggenda per i brillanti risultati all’esame pluridisciplinare sostenuto. Aveva inserito citazioni originali a memoria in più lingue. Dato che conosceva non solo le lingue accademiche consuete, come il greco, il latino, il francese e il tedesco, ma anche lo spagnolo, l’italiano e l’armeno, la sua performance poteva essere interpretata come una sfida al malcapitato accademico che volesse mettere alla prova i suoi temi d’esame. Tutto ciò che doveva fare era scegliere una citazione e domandare: “Come interpreti questa riga di testo?” (ma chi l’ha conosciuta può testimoniare che non si vantava affatto di questa sua abilità linguistica: diceva di aver imparato le lingue da bambina, prima che «vi fosse da lavorarci su»). Il lettore non sarà sorpreso del fatto che per ogni sezione dell’esame le fu assegnato il massimo dei voti.
Quando arrivai nel 1998, stava già ultimando la sua tesi di laurea, che sarebbe stata pubblicata nel 2000 col titolo La partecipazione e il Bene: indagine sulla metafisica boeziana. Spesso potevi trovarla in piedi sul retro dell’ufficio della segretaria del Dipartimento di filosofia della Fordham, Maria Terzulli, che conversava ad alta voce in italiano mentre soffiava il fumo di sigaretta fuori dalla finestra; il che offriva un alibi plausibile per negare, caso mai uno avesse loro chiesto se stessero violando il divieto di fumare al chiuso. Mia moglie ricorda che una volta, entrando nella “Collins Hall”, dov’erano ubicati i Dipartimenti di filosofia e teologia, incontrò Siobhán in calzamaglia e un frustino in mano. Mi spiegò che era andata a cavallo per Central Park per scaricare l’energia nervosa in vista della difesa della sua tesi di laurea.
Non solo “controversie”
Ricordo di averla conosciuta come una persona reale, non una mera leggenda accademica, e di averla incontrata solo nel 1999, quando pubblicò un libro di successo su Giovanna d’Arco. Amava raccontare la storia di un intervistatore radiofonico che le chiese come fosse arrivata a interessarsi all’attrice Joan Van Ark, famosa per aver vinto un “Emmy” per una parte nella soap serale Knots Landing. Quell’anno insegnava alla sua alma mater, la laicissima NYU, e stava organizzando per la primavera una conferenza su argomenti riguardanti Tommaso d’Aquino.
Più sentivo parlare della conferenza di Siobhán, intitolata Gradi di verità: attuali controversie che circondano Tommaso d’Aquino, più ne restavo colpito. Il mio rispetto non era dovuto soltanto alla sua formazione accademica e alle sue pubblicazioni (o al fatto che avesse generosamente invitato i colleghi laureati in filosofia a intervenire come relatori). Era dovuto alla sua audacia. Data l’indole dei filosofi, specie dei tomisti, “attuali controversie” potrebbe indicare semplicemente il tipo di argomenti tecnici dinnanzi ai quali le persone comuni (ma pure gli accademici di altri settori) si limiterebbero a farfugliare: “ah be’” per passare a un altro drink. Ecco: la relazione tra l’essere e l’essenza, sempre enunciata in latino come esse ed essentia; che cosa intendeva San Tommaso in qualche oscura frase della Summa Theologica; quanto fosse davvero platonico il Doctor Angelicus, ecc. Tutte domande reali, naturalmente, e tali magari da scatenare una rissa al bar, a seconda di quanto whisky si è consumato. Ma non “controversie” nel senso ordinario del termine. C’era molto di quello, ma Siobhán puntava a qualcosa di più vicino a casa.
Gioielli e metal detector
Sapevo che Siobhán aveva invitato J. Budziszewski, un serio filosofo cristiano della University of Texas, a tenere un discorso sulla legge naturale. Dato che la legge naturale era ed è tuttora considerata una bizzarra idea cattolica (a Cicerone, chi glielo dice?), il fatto che Budziszewski non fosse allora cattolico (dopo d’allora è entrato nella piena comunione) costituiva una discreta copertura. Ma da studente l’avevo sentito parlare al Calvin College (ora University [nel Michigan, N.d.T.]) e sapevo che non aveva timore di affrontare i temi dei rapporti omosessuali e persino la moralità della contraccezione. Diciamo questo: quando l’evento ebbe luogo, mia moglie riferì che un consistente numero di persone non si aspettava che un oratore chiamato a un evento ufficiale in un’istituzione accademica come la NYU trasgredisse così apertamente i sacri dogmi della rivoluzione sessuale. Era il 1999, quando ancora si poteva organizzare in un’università laica un incontro del genere dai toni vivaci ma pur sempre civili.
Nel 2000, Siobhán e Cathy furono chiamate alla University of St. Thomas del Minnesota. Inizialmente assunte con contratto quinquennale, piacquero al Dipartimento tanto da meritarsi, a metà del periodo, di avviare l’iter al ruolo di titolari di cattedra. Cathy e io ci siamo sposati nel 2001 e abbiamo avuto modo di conoscere bene Siobhán e di osservarla sul lavoro. Era un’insegnante molto seguita, e ciò aveva in parte a che fare con la sua immagine pubblica. Sempre euro-cosmopolita, non ha mai variato i suoi capi d’abbigliamento: camicetta di seta, gonna svasata, tacco medio, collana con crocifisso e gioielli sobri ed eleganti. Siobhán viaggiava spesso, e una volta Cathy le chiese se non fosse una seccatura togliersi tutti quei gioielli all’aeroporto. «Le cose di valore», spiegò, «non fanno mai scattare i metal detector». Se indossava pantaloni, spesso erano di pelle, sempre chic in stile Manhattan. Non ha mai ceduto alle esigenze dell’inverno del Minnesota, se non per indossare un cappello di pelliccia con le falde per le orecchie. E se sapeva come si guida (altro mistero), si muoveva comunque nelle Città Gemelle [= Minneapolis e Saint-Paul, capitale del Minnesota, N.d.T.] come si sarebbe mossa in qualunque civilissima città: in taxi.
Molto di cui parlare
Non voglio dire che fosse merito delle sole “mirabili energie” che non poteva evitare di emanare. Non mi stupisce si sia guadagnata le buone valutazioni degli studenti. Scorrendo i commenti degli ultimi anni al Manhattanville College su www.ratemyprofessor.com/, vedo quello che di certo avrei visto nelle valutazioni dei suoi primi studenti. «Pazza» e «divertente» sono parole che compaiono ripetutamente. Ma c’è uno studente che riesce a cogliere l’essenza della sua popolarità a lezione: «Davvero la migliore insegnante di sempre. Ti fa pensare! Come dovrebbe fare un vero insegnante».
Faceva pensare tutti quelli che le stavano intorno. Abbiamo trascorso molto tempo con lei, andando spesso nel suo appartamento nel centro di St. Paul con altri amici per dibattiti animati, la sua cucina italiana, tanto vino e musica. Era sempre generosa con le famiglie, anche se a volte un po’ malinconica e triste. Credo che ciò fosse dovuto al fatto che era stata fidanzata mentre si stava laureando; il fidanzato era morto in un incidente in moto. Se l’arredamento del suo appartamento era scarno, l’unico grande fiore all’occhiello era un pianoforte a coda, che lei suonava via via che la serata si protraeva, spesso tra sigarette e discussioni.
C’era sempre molto di cui parlare. Tanto per cominciare, era sempre intenta a scrivere o a correggere qualche testo. La sua prima tesi di laurea a Milano sulla recettività dell’intelletto nel pensiero di Bernard Lonergan sarà pubblicata nel 2002 nell’originale italiano. Un altro libro destinato al pubblico, intitolato Che cosa occorre per esser liberi: la religione e le radici della democrazia, uscì nel 2003. Oltre a pubblicare libri e articoli accademici, organizzava conferenze sul genocidio armeno e sulla situazione attuale del popolo armeno. Questo tema le stava a cuore per via della sua madrina, la scrittrice e docente italo-armena Antonia Arslan, di cui ha tradotto vari articoli e almeno un libro. In verità, Siobhán era una superstar.
Quando le fu negata la cattedra
Proprio per questo lasciò tutti di stucco la volta che le fu negata la cattedra. Aveva capito di essere stata respinta dalla commissione che decideva la promozione e la cattedra. Fece ricorso, la commissione fece marcia indietro e rinviò il parere al Presidente dell’Università [= Rettore negli USA, N.d.T.]. Il Presidente le negò la cattedra e si rifiutò di darne la ragione. Non essendo una persona che si ritira da una battaglia, Siobhán fece causa all’Università. E tuttavia la perse, quando il Tribunale sentenziò che le decisioni dei comitati di livello inferiore sono soltanto consultive e che il Presidente ha tanto l’ultima parola quanto la prerogativa di non motivare il rifiuto della cattedra. Per un accademico il rifiuto della cattedra è spesso un colpo mortale alla carriera. Non mi sorprende che lei l’avesse presa molto male. Nel periodo che seguì al primo rifiuto della cattedra, chiamava per dire quanto le rincresceva. Mi chiedeva in tono mesto se pensavo lei avesse un buon curriculum. Le rispondevo che il suo curriculum era migliore di quello della gran parte dei docenti universitari che erano lì da molto più tempo. Ero allibito tanto quanto lei. Perché le veniva negata la cattedra? Le uniche persone che so essere informate non hanno voluto rispondere. Sospetto sia stato a causa della baldanza dimostrata nel promuovere una versione di ciò che era un’università cattolica molto più nettamente delineata di quella che l’amministrazione voleva sentire. Lo fece sia nelle commissioni che in pubblico. I demoni dell’ideologia woke e delle DEI [= Diversity, Equity and Inclusion initiatives, N.d.T.], benché non avessero ancora del tutto colonizzato l’America degli anni 2000, venivano già coltivati nelle università, anche in quelle ufficialmente cattoliche e cristiane.
A un certo punto, prima della decisione sulla cattedra, l’arcivescovo Michael Miller, allora Segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica in Vaticano, aveva lodato certi suoi commenti sulla natura dell’educazione cattolica ad alcuni amministratori dell’Università. Ho sempre sospettato che l’appoggio avuto da mons. Miller abbia segnato il destino di lei. Era una persona di valore troppo elevato per dire cose che non collimavano con la direzione che stavano prendendo le cosiddette “normali” istituzioni cattoliche. Al Centro femminile del campus piaceva parlare di quanto le donne fossero trattate ingiustamente; eppure, fra gli associati a quell’istituzione nessuno emise un bisbiglio su questa decisione. Com’è noto, giocare la carta della donna non fa gioco se la donna in questione non pronuncia le formule di devozione richieste liberal e di sinistra. Siobhán non l’ha mai fatto.
Per quanto scoraggiata al momento della defenestrazione, si riprese subito. Ben presto (2007) fu chiamata alla “Cattedra Mary T. Clark di filosofia cristiana” al Manhattanville College, posizione mantenuta fino alla morte. Ha continuato a scrivere e a curare opere sia accademiche sia divulgative. Il suo libro più importante è quello uscito nel 2018, I peccati dei padri: negazionismo turco e genocidio armeno, una ricostruzione del genocidio armeno come esito sintomatico del progetto filosofico moderno che sottomette la realtà e la verità a ideali astratti.
Le sue creature
Ella ha visto il fenomeno della sottomissione della verità alle esigenze del potere attuarsi su vasta scala nel mondo apparentemente libero durante il disastro del Covid-19. Molti dei suoi contributi usciti su The Imaginative Conservative trattavano di questo fenomeno. Il suo ultimo libro completo, un romanzo breve [all’inglese “novella”, N.d.T.] ispirato al Covid, dal titolo George, era una rappresentazione immaginativa del mondo di mezze verità e di menzogne, e di che razza di conversione ci voglia per rifiutarle.
E tuttavia Siobhán non si accontentava di scrivere. Sulla lapide di Karl Marx sono incise le famose parole delle sue Tesi su Feuerbach: «I filosofi hanno solo interpretato il mondo, in varie maniere; si tratta invece di cambiarlo». Siobhán credeva che interpretare correttamente il mondo fosse la chiave per cambiarlo in meglio. Ma di certo credeva di cambiarlo davvero. Negli ultimi anni ha fondato due diverse organizzazioni non–profit.
La Christians In Need Foundation (CINF) è stata la prima. Fondata nel 2014, è stata concepita per aiutare i cristiani del Vicino e del Medio Oriente. Da principio, la speranza era di portare negli Stati Uniti studenti dall’Armenia e dalla Siria perché ricevessero una formazione professionale e poi facessero ritorno in patria. Ma l’idea non funzionò; allora la Fondazione ha deciso di mandare persone dall’Occidente a insegnare e lavorare in quelle terre. Sono stati sviluppati programmi linguistici, d’istruzione generale e professionali. Alla fine, l’organizzazione benefica si è concentrata sulla Repubblica dell’Artsakh, una enclave dell’Azerbaigian che da sempre è la patria di una popolazione armena e che ottenne l’indipendenza nel 1991. L’offensiva azera dell’autunno 2023 ha messo fine all’indipendenza e in pericolo l’intera popolazione. Siobhán ha parlato della situazione in una lunga intervista del settembre 2023.
L’altra organizzazione da lei fondata è il Marshall Institute for Ethical Thought and Activity, avviato nel 2020. Questo è stato il progetto di cui Siobhán era più entusiasta nelle conversazioni avute con lei al principio dell’anno. Nel 2016 aveva cominciato con un Ethics Bowl [torneo competitivo di dibattito su problemi di etica, N.d.T.] al Manhattanville College, in cui gli studenti potevano discutere di questioni contemporanee con calma, logica e coerenza, a differenza dell’attuale iterazione del “dibattito” nella maggior parte delle scuole superiori. Entro il 2020, decise di creare il Marshall Institute per gestire questi eventi e offrire laboratori di etica, logica e scrittura agli studenti delle scuole superiori. Sebbene il Covid-19 abbia costretto a condurre questi eventi on line, l’Ethics Bowl è tornato in presenza ed è venuto crescendo in misura costante. Oggi più di 250 studenti dell’area di New York City si riuniscono ogni anno al Manhattanville College per discutere di argomenti scottanti in una modalità intellettuale avvincente.
Una donna d’assalto
Siobhán non ha smesso di seguire tutte queste attività malgrado fosse affetta da tumori multipli. Nelle conversazioni che ho avuto con lei all’inizio di quest’anno, parlava del suo desiderio di lavorare per Cristo e per la Chiesa nel modo più efficace possibile. Non si accontentava di starsene in disparte; voleva abbattere le porte dell’inferno, che sapeva non avrebbero resistito all’assalto della Chiesa. Era una donna la cui cifra era principalmente “assalto”.
Una delle poche menzioni della sua morte giunte finora proviene dal mensile italiano Tempi. Il direttore Emanuele Boffi la descrive come una «collaboratrice tuttofare», il cui contributo non si limitava agli articoli per quella rivista, «ma era sempre un vulcano di iniziative, suggerimenti, idee». Boffi racconta che le sue idee erano «folli», come quella volta che «ci telefonò per convincerci a inviare, a bordo di una mongolfiera, cibo agli abitanti dell’Artsakh rimasti isolati a causa del blocco turco del corridoio di Lachin». Non si trattava di un’operazione segreta. L’idea di Siobhán era dipingere un’enorme croce rossa sul lato della mongolfiera. Al telefono «appassionatamente» gridò: «Voglio vedere se osano sparare alla croce!».
Questa è la Siobhán Nash-Marshall che conoscevo. Questa è la Siobhán Nash-Marshall che i suoi amici amavano, ammiravano, e a volte trovavano frustrante e perfino esasperante. Se c’è qualcosa di più misterioso dei dettagli della sua vita, è certamente il misterioso amore a Cristo che pulsava in lei e la rendeva disposta ad andare dove gli altri non osavano andare, a combattere quando gli altri volevano semplicemente ottenere una tregua, e a tentare quando ogni speranza sembrava perduta.
Filosofa di professione, lo era. Ma il suo amore per la sapienza comprendeva anche il desiderio di cambiare il mondo, oltre che d’interpretarlo. Tentò di farlo tenacemente conforme a quella sapienza che per gli uomini è stoltezza.
Aveva un amore folle.
Articoli correlati
1 commento
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!
Non conoscevo questa filosofa, ma l’articolo descrive un personaggio veramente affascinante, tutto da scoprire. Grazie!