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Tutti gli errori delle Dat

Convegno a Milano sulle Disposizioni anticipate di trattamento. Presidente Fnomceo: «Di questa legge non c'era bisogno»

Rodolfo Casadei
10/04/2018 - 10:37
Società
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I medici non sono contenti per niente della legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento (Dat), né hanno ragione di esserlo i malati. Questo è stato il leit-motiv di tutti gli interventi al convegno “La responsabilità professionale e la relazione medico paziente dopo la legge sulle DAT” organizzato dall’associazione Medicina e Persona presso l’Università degli Studi di Milano. Coordinati da Felice Achilli, presidente di Medicina e Persona, e introdotti da Lorenza Violini, ordinario di Diritto costituzionale, hanno trattato l’argomento Filippo Anelli da pochi mesi Presidente Nazionale della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (Fnomceo), Claudio Galoppi componente del Consiglio Superiore Magistratura, Emanuele Catena, Direttore dell’unità di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale Luigi Sacco e Marco Maltoni, Direttore dell’unità Cure Palliative dell’Usl Romagna.
RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE. Non si è parlato soltanto né soprattutto di fine vita, ma piuttosto dell’impostazione antropologica sbagliata che sta dietro alla legge sulle Dat e che da tempo condiziona la professione medica oltre a molte altre attività professionali fondate sul rapporto fiduciario fra le parti. È l’impostazione che riduce il rapporto medico-paziente a un contratto, che non riconosce la sua natura di rapporto fra persone, «dimensione che il contesto odierno tende ad espellere», ha sottolineato Achilli. La nuova legge influisce pesantemente sulla libertà del medico oltre che sul suo rapporto col paziente, come ha sottolineato Anelli: «Dal punto di vista di noi medici, di questa legge non c’era bisogno, perché molti dei contenuti qualificanti della legge si trovano già nel nostro codice deontologico e la nuova legge li ha semplicemente mutuati. Ha indebolito invece alcuni capisaldi della professione. Il nostro codice deontologico, ribadisce, infatti che l’esercizio professionale del medico è fondato sui principi di libertà, indipendenza, autonomia e responsabilità.
ESEGUIRE LE DISPOSIZIONI. Invece il medico non potrà esercitare l’obiezione di coscienza nei confronti delle disposizioni, e questo va contro il principio di libertà. Il consenso informato, attorno a cui ruota buona parte della legge, c’era già nel codice deontologico: ora sarà burocratizzato e irrigidito. Mentre manca una definizione del rapporto medico-paziente, di cui il consenso informato è soltanto uno strumento. Il rapporto fiduciario rischia di essere burocratizzato per la presenza delle Disposizioni anticipate di trattamento. Il medico diventa un tecnico che esegue disposizioni. Ma il medico è un presidio della salute non perché è un tecnico, ma perché è un professionista consapevole del valore del rapporto medico-paziente».
INFORMAZIONI. Pessimista sulle conseguenze dell’applicazione della legge il magistrato Galoppi: «Quella sulle Dat è una legge che rivoluziona il rapporto medico-paziente e che darà luogo a un contenzioso rilevante. È una legge-manifesto che anche nelle norme positive contiene affermazioni generiche che pretendono di essere legislazione di dettaglio. Uno dei punti più deboli alla base della legge sta nell’articolo 4, che stabilisce che ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminazione e “dopo aver acquisito adeguate informazioni mediche” può attraverso le Disposizioni Anticipate di Trattamento, esprimere le proprie volontà in tema di fine vita. Ma chi stabilisce se l’informazione è stata adeguata? Il fatto che un paziente presenti una Dat è sufficiente a concludere che c’è stata adeguata informazione? Se penso che il malato non è stato adeguatamente informato posso rifiutare le sue Dat? Su questo punto dovrebbero intervenire gli Ordini medici, eventualmente creare dei protocolli che definiscano i criteri per ritenere adeguata l’informazione fornita al paziente prima della redazione delle Dat. Perché la lettera della legge attuale gli impone semplicemente di prendere atto ed eseguire la volontà del malato espressa nelle Dat».
RIVOLUZIONE CULTURALE. Le Dat possono esser disattese, secondo la legge, solo in tre casi: se sono palesemente incongrue, se non corrispondono alle condizioni cliniche attuali del paziente, se sono praticabili terapie non prevedibili al momento della sottoscrizione della Dat. Quest’ultimo punto è di difficile interpretazione, darà certamente origine a molto contenzioso». «La nuova legge», ha proseguito Galoppi, «cambia molto il ruolo del medico, che diventa titolare di un lungo elenco di obblighi dentro a un rapporto contrattuale col malato sbilanciato dalla parte di quest’ultimo. Lui decide, il medico è tenuto ad eseguire. Siamo di fronte a una vera rivoluzione culturale, che implica la soggettivizzazione della decisione intorno alla cura. Il medico è esonerato da responsabilità civili e penali solo se rispetta la volontà espressa dal paziente. Questo, in concreto, porterà a una crescita della medicina difensiva: il medico sarà tentato di massimizzare rischi e conseguenze negative degli interventi, così che il malato dichiari di non desiderarli. Crescerà perciò anche la solitudine del paziente nella malattia: il paziente si ritroverà più solo nelle sue decisioni, venendo meno il rapporto personale positivo col medico dentro al quale maturavano le decisioni».
OBIEZIONE DI COSCIENZA. Anelli è tornato sulla questione del mancato riconoscimento dell’obiezione di coscienza del medico: «Questa legge mette in crisi il principio della beneficialità, cardine dell’etica medica, secondo cui il medico deve agire per prevenire e per curare le malattie. Nessuno di noi vuole curare un paziente contro la sua volontà, ma non vogliamo nemmeno che a un medico sia imposto di effettuare un trattamento che in coscienza non si sente di fare. D’altra parte come è stato giustamente evidenziato i medici si assumeranno sempre meno rischi per evitare conseguenze legali, non si azzarderanno più a derogare dalle linee guida nel tentativo di salvare il paziente, per timore di avere problemi legali. Il medico diventerà sempre più un tecnico e sempre meno un professionista».
SOLITUDINE ANTROPOLOGICA. «La riduzione contrattualistica che ha colpito anche la professione medica nasce dalla solitudine antropologica che domina la cultura odierna», è intervenuto Achilli. «Se relativizziamo il principio di beneficialità, in nome del diritto di autodeterminazione del paziente, e la sostanza del rapporto diventa la pretesa di una prestazione perfetta, si crea una situazione insostenibile. Nessun medico più si azzarderà a uscire dalle linee guida. La riduzione contrattualistica nega la relazione personale medico-paziente che è essenziale per fare bene il nostro lavoro».
MEDICINA DIFENSIVA. Ancora più deciso il medico rianimatore Catena: «Trovo mortificante che si sia passati dalle Dichiarazioni anticipate di trattamento alle Disposizioni anticipate di trattamento: il medico non è più qualcuno che cura, ma un mero esecutore di disposizioni. Eppure io non riesco a pensare a Dat che non siano il frutto del dialogo fra medico e paziente, che non siano il risultato di una relazione di cura. Con la normativa approvata si rischia di incoraggiare la desistenza terapeutica in casi dove l’intervento terapeutico potrebbe dare esito positivo. Si è fatto credere alla gente che il problema oggi è l’accanimento terapeutico, mentre il vero problema è la medicina difensiva, che ha già numeri tremendi e che avrà un’ulteriore espansione grazie a questa legge. Sembra che la gente debba essere protetta da medici che vogliono curarli a tutti i costi, mentre la tendenza prevalente va esattamente nella direzione opposta. Le Dat non risolveranno problemi, li complicheranno, perché in tante situazioni non è possibile oggettivare dove sono i limiti di una terapia. Le Dat accentueranno la solitudine del malato di fronte alla patologia e la estenderanno al medico».
CONSENSO INFORMATO. Marco Maltoni, pioniere delle cure palliative in Italia, ha spunti ironici: «Per migliorare la legge sulle Dat è sufficiente invertire la prima frase del secondo paragrafo del primo articolo della legge, là dove si legge che “È promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato”. No: è il consenso informato che si basa sulla relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico. È sbagliato pensare che nella malattia si incontrano il medico, specialista della malattia, e il malato, specialista di se stesso. Solo il coinvolgimento e il rapporto medico-paziente-famiglia del malato rendono possibile un’esperienza di cura».
DJ FABO. Il magistrato Galoppi ha attirato l’attenzione sulle potenziali conseguenze della legge sulle Dat all’indomani dell’ordinanza della Corte di Assise di Milano che ha sollevato questione di legittimità costituzionale riguardo all’articolo del Codice penale che punisce l’aiuto al suicidio in riferimento al processo contro Marco Cappato che ha facilitato il suicidio assistito di Dj Fabo in Svizzera. Evitando di condannare o assolvere Cappato, la Corte ha messo il caso nelle mani della Consulta suggerendo che, anche alla luce delle disposizioni della legge sul Biotestamento (altro nome della legge sulle Dat), almeno la parte dell’art. 580 che punisce l’agevolazione del suicidio dovrebbe essere dichiarata incostituzionale perché violerebbe i princìpi di libertà contenuti negli articoli 3 e 13 della Costituzione. I giudici milanesi ritengono insomma che in forza del combinato disposto degli articoli 3, 13 e 117 della Costituzione il suicidio costituisca esercizio di una libertà dell’individuo, e che con la legge sulle Dat «nel caso di malattia» il legislatore ha espressamente riconosciuto «il diritto a decidere di lasciarsi morire a tutti i soggetti capaci». Eccepisce Galoppi: «Se il principio di libertà degli articoli 3 e 13 della Costituzione implica l’autodeterminazione, e se la legge sulle Dat legittima l’autodeterminazione del malato, bisognerebbe osservare che però non riconosce lo stesso diritto di auotodeterminazione ai medici, che devono solo eseguire le disposizioni dei pazienti e non hanno diritto all’obiezione di coscienza. Si può concludere che la legge sul Biotestamento è parzialmente liberticida. In secondo luogo, l’interpretazione del principio di libertà come autodeterminazione che arriva fino al suicidio contraddice il principio della vita come bene indisponibile, esposto negli articoli 579 e 580 del codice penale e 5 del codice civile. Dal principio della vita bene indisponibile discende che il diritto alla vita non è diritto “sulla” vita: è, appunto, solo diritto alla vita». Decisamente la Corte costituzionale avrà il suo daffare.

@RodolfoCasadei


Foto Ansa

Tags: biotestamentodatdj faboMarco Cappato
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