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Tutte le ragioni per dire “no” al passaporto vaccinale

Il passaporto vaccinale è incostituzionale e poco utile. Inoltre, distrugge la solidarietà intergenerazionale pretesa dai giovani fino ad ora

Rodolfo Casadei
12/03/2021 - 3:00
Interni
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Rendering passaporto vaccinale

Ho viaggiato per anni con un certificato internazionale di vaccinazione che doveva dimostrare che ero immunizzato contro la febbre gialla quando entravo in certi paesi africani. E non appena sarà il mio turno usufruirò volentieri di un qualche vaccino – meglio sarebbe se potessi scegliere io quale – che mi offra qualche forma di protezione contro il Covid. Ma l’idea di un passaporto vaccinale – o, come lo ha chiamato Ursula von der Leyen, un “pass verde digitale” – che attesti l’inoculazione contro il Covid e faccia da salvacondotto per viaggi e occasioni di socialità in Italia e in Europa la trovo decisamente sbagliata in termini di profilassi sanitaria, ingiusta e discriminatoria, sintomo di un modo di pensare politicamente pericoloso.

Due mondi paralleli

Com’è noto, allo stato attuale delle cose chi si vaccina è sostanzialmente protetto contro sintomi severi della malattia, ma non è sterilizzato: può fare da vettore dell’infezione presso altre persone che non sono vaccinate perché non è ancora arrivato il loro turno o perché non possono vaccinarsi per motivi di salute. Con ciò è compromessa la ratio stessa di un passaporto vaccinale, cioè l’attestazione che il titolare del medesimo non rappresenta un pericolo per la salute altrui. Questa contraddizione intrinseca potrebbe essere superata solo separando radicalmente i vaccinati dai non vaccinati – cosa che non si è stati capaci di fare con l’infezione in quanto tale, costringendo sani e infettati a subire le stesse forme di confinamento -, creando due mondi paralleli: quello dei vaccinati che potrebbero riprendere la vita sociale di prima, e quello dei non ancora vaccinati che continuerebbero a subire molte limitazioni alle loro libertà.

Tradotta in realtà la politica dell’apartheid vaccinale creerebbe scenari grotteschi: aeroporti, stazioni ferroviarie e discoteche affollati di anziani e personale sanitario, con ballerine di lap dance ultrasessantenni, hostess e steward in età da pensione, facchini dai capelli bianchi che spingono stremati i carrelli dei bagagli. L’aperitivo sui Navigli trasformato in una festa della terza età come se ne tengono tante nei centri sociali del Comune. Mentre i giovani e i bambini resterebbero chiusi in casa, al massimo a passeggio nei parchi con la mascherina, o seduti ben distanziati sulle panchine, come facevano fino a poco prima i loro nonni.

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Il passaporto dei vaccinati reso funzionale attraverso pratiche di apartheid sanitario metterebbe definitivamente in crisi la solidarietà intergenerazionale che i governi hanno preteso dalle giovani generazioni: i ragazzi hanno rinunciato a ogni forma di socialità – dalla scuola in presenza alle feste alla pratica sportiva – per proteggere genitori e nonni da una malattia che molto raramente a loro causava gravi problemi; adesso si ritroverebbero a fare gli spettatori del ritorno alla convivialità e alla mobilità di adulti e anziani, mentre a loro resterebbe inibito ogni tipo di partecipazione, come calciatori squalificati che guardano il match dalla tribuna.

Il pass per vaccinati contro il Covid sconterebbe una lunga serie di aleatorietà e contraddizioni: non vi sarebbe certezza sulla durata della sua validità, perché ancora non si sa per quanto tempo un vaccinato resti immunizzato, e probabilmente l’immunità varia secondo i diversi tipi di vaccino erogati; non potrebbe essere rilasciato alle persone che legittimamente rifiutano il vaccino perché controindicato per le loro condizioni di salute (malattie immunitarie, allergie, problemi cardiovascolari, ecc.) o perché non sicuro (è il caso delle donne incinte e di quelle che allattano); non potrebbe essere rilasciato ai bambini, per i quali i vaccini esistenti non sono adatti; si rivelerebbe inutile in presenza di varianti del virus che non rispondono al vaccino che è stato somministrato; ecc.

«Il vaccino non è obbligatorio»

Di fronte a tutto questo nasce il sospetto che il cosiddetto passaporto vaccinale abbia scopi diversi da quelli dichiarati. Il primo che viene in mente è l’imposizione surrettizia dell’obbligo vaccinale. Tale obbligo richiederebbe l’approvazione di un provvedimento di legge ex novo, dal momento che la Costituzione italiana prevede, come la maggior parte delle costituzioni europee, che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» (art. 32). L’esito dell’iter parlamentare di un progetto di legge di tale tenore non sarebbe per niente scontato, come dimostra il fatto che il Consiglio d’Europa, formato da rappresentanti di 47 paesi del continente, ha recentemente approvato una risoluzione che impegna gli Stati a «garantire che i cittadini siano informati che la vaccinazione NON è obbligatoria e che nessuno è politicamente, socialmente o altrimenti sotto pressione per vaccinarsi, se non lo desidera» e a «garantire che nessuno sia discriminato per il fatto di non essersi fatto vaccinare, a motivo di possibili rischi per la salute o perché non lo desiderava».

Tutti questi ostacoli possono essere aggirati con una disposizione amministrativa che istituirebbe quello che di fatto sarebbe un lasciapassare per tornare a lavorare e più in generale a vivere. L’effetto sarebbe molto simile a quello di un obbligo vaccinale. Ma sarebbe anche uno di quei casi in cui il diavolo fa le pentole ma non i coperchi: il provvedimento produrrebbe una polarizzazione sociale e ideologica all’interno della società fra vaccinati e non vaccinati, fra bravi cittadini e reprobi, fra chi griderebbe alla discriminazione e chi esorterebbe a discriminare gli “irresponsabili”; darebbe la stura a migliaia di ricorsi amministrativi e liti giudiziarie; e probabilmente non gioverebbe alla causa del contenimento dell’infezione, perché diffonderebbe la falsa sicurezza nei detentori del passaporto verde che avendo fatto il loro dovere ora sono perfettamente liberi, mentre in realtà possono ancora infettare.

Il passaporto è un errore

Il passaporto vaccinale non è una garanzia per nessuno: non lo è per i non vaccinati, che possono essere ancora infettati dai vaccinati, e non lo è per i secondi, che evidentemente non hanno nulla da temere da chi non si è ancora vaccinato. Sarebbe invece utile un registro nazionale delle persone vaccinate, che permettesse di sapere a quali fasce d’età, categorie professionali, territori, ecc. appartengono i vaccinati. Ciò aiuterebbe a proporzionare gli interventi successivi, che si tratti di incrementare le inoculazioni in una certa area o gruppo di popolazione o di studiare l’effetto protettivo della vaccinazione. Ma per quanto riguarda l’evocato passaporto vaccinale/pass verde digitale, ha ragione Frédéric Julliard che sulla Tribune de Gèneve ha scritto: «Se il vaccino protegge efficacemente, quelli che l’hanno ricevuto non dovranno temere di trovarsi vicino a persone non vaccinate. Si potranno dunque riaprire le attività a tutta la popolazione, senza passaporto. Se il vaccino protegge solo parzialmente, un passaporto vaccinale infonderà un sentimento di falsa sicurezza. In entrambi i casi, il beneficio atteso resterà limitato. E non giustifica che si getti alle ortiche la solidarietà fra le generazioni e l’uguaglianza di tutti».

@RodolfoCasadei

Foto di wuestenigel, licenza CC BY 2.0

Tags: Covid-19epidemiaPandemiapassaporto vaccinalevaccino
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