«Se al tramonto senti il canto del piapoco, fatalmente tornerai all’Orinoco». E lei ci è tornato? «Trentasette volte. La prima fu nel 1968. Con una falca ho risalito il corso del fiume Orinoco per oltre 900 chilometri, inoltrandomi nella foresta fino a raggiungere una regione mai esplorata prima. Qui sono venuto in contatto con otto comunità di indios Yanomami, quattro delle quali non avevano mai conosciuto l’uomo bianco. Sono un popolo di cacciatori-raccoglitori che praticano ancor oggi l’endocannibalismo rituale. Vivendo con loro ho imparato anche alcune espressioni della loro lingua». Siamo sul Rio Ocamo, un affluente dell’Orinoco. In Amazzonia. A raccontare è Willy Fassio, fondatore e presidente di Tucano Viaggi Ricerca, l’azienda torinese che organizza tour dall’Africa all’Antartide, dal Sudamerica al Tibet ormai da 30 anni. Di tutti i suoi viaggi Fassio ha perso il conto. Ma non la bussola. Infatti quando questo instancabile viaggiatore inizia a raccontare della storia di Tucano Viaggi Ricerca, che è poi quella della propria passione per il viaggio inteso come scoperta, «non solo come spostamento da un luogo all’altro, ma come una possibilità unica, rivolta a chi non ha fretta, a viaggiatori speciali e agli amanti del bello», è difficile stargli dietro, inesorabilmente avvinti, quasi increduli.
Eppure quello di cui ci sta parlando è successo davvero. Le prove ci sono. Se foto non ne mostra, Fassio fa molto di più: esibisce una testimonianza inequivocabile giunta sin qui, negli uffici del Tucano, dall’Orinoco: «Un bonghito, una canoa lunga cinque metri che gli indios hanno scavato col fuoco e che sono riuscito a portare a casa, qui a Torino, durante un viaggio lunghissimo e a tratti rocambolesco». Magari in nave? «A dire il vero la traversata via mare l’ho fatta la prima volta che sono andato in Sud America perché volevo rendermi conto delle distanze reali. Ho impiegato 17 giorni. Diciamo che volevo anche io scoprire l’America». Tucano dunque come quel “piapoco”, e Viaggi Ricerca perché ogni spostamento è un’occasione di conoscenza. Mentre parla Fassio ha lo sguardo penetrante che si muove come alla ricerca del fermo immagine, del ricordo che il suo racconto sta facendo rivivere. Ma non chiamatelo avventuriero. «Sono piuttosto un uomo curioso» precisa, colpito nel vivo, «che vuole conoscere il mondo. Per davvero. Già da ragazzino si può dire che non stavo mai fermo. Ero appassionato di speleologia. Scendevo nelle grotte, mi dedicavo alle arrampicate, mi piaceva il paracadutismo e ho preso il brevetto di pilota civile». Di famiglia modesta, orfano di padre, il giovane Fassio riesce a raggiungere angoli del pianeta lontani e ancora sconosciuti, fino a quando inizia a desiderare di far vedere anche ad altri quei luoghi. «Noi oggi possiamo vedere cose e fare incontri che trent’anni fa ci erano preclusi». È dall’esigenza di allargare lo sguardo che Fassio inizia a lavorare per costruire quello che diventerà Tucano Viaggi Ricerca, oggi in continua crescita. Il 2007 ha infatti riscontrato un aumento di passeggeri del 26 per cento e di fatturato del 33 per cento, una tendenza confermata anche dall’andamento delle partenze di fine anno. Il numero di clienti stimato per il 2007 è infatti pari a 4.500 unità. «Se uno ama il mondo non può che desiderare di farlo conoscere». Per questo Fassio ha iniziato a proporre itinerari in paesi esotici a gruppi ristretti di persone e il guadagno lo reinveste in altri viaggi in terre a lui sconosciute che studia per proporre nuovi itinerari.
«Ho rinunciato al Camel Trophy»
Dopo l’America Latina è la volta dell’Africa con il Sahel e l’immenso Sahara, quindi parte del continente asiatico. «In questo modo accumulo una certa esperienza e il mondo turistico inizia a interessarsi a me. Comincio così a organizzare viaggi per conto di terzi e alla fine mi metto in proprio. Intanto Giancarlo Ligabue, un mecenate di Venezia appassionato di paleontologia e archeologia, legge sulla rivista Atlante un mio articolo sull’Amazzonia e mi chiama per organizzare spedizioni in luoghi dove in quel momento si concentravano i suoi interessi scientifici. È la volta della misteriosa Timbuctu e della Patagonia. Poi mi contatta la Società RJ Reynolds Tobacco, proprietaria del marchio Camel, per ideare percorsi ad hoc nelle difficilissime condizioni ambientali che avrebbero dovuto ospitare le selezioni dei piloti italiani del Camel Trophy (una delle più dure competizioni di fuoristrada nel mondo, ndr), tra le savane e le foreste dell’Africa e in Amazzonia». Se tutto questo contribuiva a far guadagnare visibilità al marchio «ha fatto sì però che venissimo identificati sostanzialmente come un operatore di viaggi-avventura. Ma la parola avventura fa pensare a qualcosa di estemporaneo e anche un po’ incosciente. Per questo ho rinunciato all’organizzazione del Camel Trophy. Per potere diffondere un altro concetto di viaggio, più aderente ai contenuti culturali. Ma per continuare a far crescere l’azienda ho dovuto darle una dimensione meno spontanea e più professionale. Vale a dire che oggi sono relegato per la maggior parte del tempo dietro questa scrivania e sono costretto a viaggiare di meno». Il prezzo da pagare per essere un imprenditore a 360 gradi. «Che non tradisce però la sua originaria vocazione. Perché rimango convinto che la più grande conquista dell’uomo sia stata l’essersi alzato da terra». In che senso? «Ma sì, quando ha imparato a camminare eretto. È stato allora che per la prima volta ha alzato lo sguardo. E si è stupito della bellezza che lo circondava».
Non c’è posto per gli snob
Se il viaggio è un’opportunità da proporre su grande scala, il pubblico che si rivolge a Tucano Viaggi Ricerca è però, in un certo senso, d’élite. A conti fatti, pochi se lo possono permettere. «A parte che 10 giorni a Portofino costano ormai quasi come andare in Patagonia, l’importante è che le persone che si affidano a Tucano non abbiano un approccio snobistico. Come invece talvolta purtroppo accade. Il problema è che spesso si ha la presunzione di capire in poco tempo tutto quello che si vede. Questo è il rischio che si incorre quando i luoghi che diventano accessibili lo diventano in modo dozzinale. Noi cerchiamo di ovviare a questo problema come possiamo. Anzitutto preparando i nostri ospiti in modo adeguato, fornendo loro tutte le informazioni sul paese che stanno andando a conoscere, perché siamo convinti che sia necessaria una componente culturale per sostenere le esperienze che proponiamo al di là dei confini a cui siamo abituati. È per questo che forniamo cataloghi completi e aggiornatissimi. Belli come dei libri». Per mete sempre più lontane.
«Ho viaggiato anche in Europa, perché è la mia terra e prima di partire per un lungo viaggio è bene conoscere le proprie origini e la propria tradizione. Rimango tuttavia attratto dalle realtà poco addomesticate, dove l’imprevisto è dietro l’angolo. Come è successo a una coppia di sposini a cui avevo organizzato il viaggio di nozze in Madagascar, quando il paese era ancora privo di molte infrastrutture, molti anni fa e che hanno passato la prima notte sull’auto del taxista locale perché, calato il buio, non c’erano luci sulla strada e i fari dell’auto non funzionavano». Tutto il contrario di quello che ci si può aspettare da una vacanza accomodante in un villaggio turistico. «Dopo un viaggio in Africa ebbi la malaugurata idea di trascorrere qualche giorno in un villaggio turistico sul mare… sono fuggito: “Vi pago i giorni che non faccio ma lasciatemi andare!”, ho detto allo staff che non mi mollava più. Per me si è trattato di un’esperienza troppo slegata dalla realtà locale. Straniante». E mentre ricorda, tra il divertito e lo sgomento, l’esperienza nel villaggio-bunker, siamo certi che sta già pensando al suo prossimo viaggio.