Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Dei 250 mila turchi residenti in Olanda o titolari di doppia nazionalità che la settimana scorsa, fra mercoledì 5 aprile e domenica 9 aprile, avevano facoltà di recarsi a votare nei seggi all’estero per il referendum costituzionale del loro paese (che si è svolto in Turchia il giorno di Pasqua e ha visto la vittoria del “sì”, ndr), ce n’era uno, anzi una sulla quale si poteva scommettere a occhi chiusi che non si sarebbe presa la briga di recarsi alle urne: Ebru Umar, editorialista dell’edizione olandese di Metro e collaboratrice di settimanali femminili e femministi. «Prima di tutto si sa già quale sarà il risultato. Poi a me della Turchia e della mia nazionalità turca non importa proprio nulla. E infine non posso presentarmi nel bel mezzo della comunità turca, a fare la coda per il seggio: la mia incolumità fisica sarebbe in pericolo».
Figlia di immigrati turchi arrivati in Olanda nel 1970, Ebru Umar dice di non voler avere nulla a che fare con la Turchia («a chi mi chiede di commentare la politica turca rispondo: “Fottetevi”»), ma è finita nei guai per i suoi tweet (è fanatica di questo social media, da quando è iscritta ha twittato oltre 200 mila volte) su Erdogan e su altro riconducibile direttamente alla Turchia. Una volta ha definito Erdogan e Atatürk “dittatori”, un’altra ha concluso il testo con l’hashtag #fuckyouerdogan. Il problema è che in quel momento si trovava in Turchia nella sua casa di vacanze al mare a Kusadasi: è stata svegliata a mezzanotte, arrestata e portata alla locale stazione di polizia. Alle tre di notte è stata trasferita in un altro commissariato e la mattina portata davanti a una corte, che le ha vietato di lasciare il paese. Solo dopo diciassette giorni e grazie all’intervento delle massime autorità olandesi è potuta tornare in Olanda, mentre in Turchia restava aperto il caso contro di lei.
Erede di Theo van Gogh
Altri se ne sarebbero aggiunti nel tempo, basati su altri suoi tweet urticanti, che gli investigatori turchi sono andati a ripescare. In uno si derideva il ramadan, in un altro del 2011 stava scritto «Mohamed è gay, il successo è garantito». Ebru nega che il riferimento fosse al profeta dell’islam, ma il problema è che da lei ci si aspetta di tutto, se non altro per un motivo biografico: ha ereditato la colonna che su Metro scriveva Theo van Gogh, l’irriverente regista, sceneggiatore e produttore televisivo che il 2 novembre 2004 fu ucciso per strada ad Amsterdam dall’olandese-marocchino Mohammed Bouyeri. La sua colpa era quella di aver girato il documentario Submission, dove si vedevano sure del Corano tatuate con l’henné sul corpo di donne nude velate che raccontavano abusi subiti in nome della religione. Fu Van Gogh a incoraggiare Ebru al giornalismo, facendola scrivere sul suo sito internet “Il fumatore sano”.
«In Olanda avevo scritto un commento molto duro a quello che il consolato turco aveva fatto», racconta la giornalista. «In un comunicato avevano invitato tutti i residenti turchi a denunciare casi di connazionali che insultavano il presidente o diffamavano l’identità turca. “Chi lo fa va processato per alto tradimento dalla giustizia olandese, e le nostre autorità devono convocare l’ambasciatore turco”, avevo scritto io. Poi l’arresto, surreale: il commissario mi parlava amichevolmente di come sarebbe stato bello quando i cittadini turchi avrebbero avuto diritto alla libera circolazione in Europa e lui avrebbe potuto visitare Venezia. E mi hanno lasciato usare il cellulare, così ho mandato decine di tweet e chiamato primo ministro e vice primo ministro olandese. Ma il momento peggiore è stato quando mi hanno telefonato da Amsterdam: la casa che avevo là era stata svaligiata, e sul muro avevano scritto in olandese la parola “puttana”. Era chiaramente un’intimidazione».
Ebru è il caso più lampante che una figlia di immigrati turchi può essere più olandese degli olandesi, affiliata alla varietà atea, islamofoba e simpatizzante del Partito per la libertà di Geert Wilders (non fa mistero di avere votato per lui e di essere rimasta delusa del risultato elettorale). Una formula che riassume il suo pensiero è «la religione è arretratezza, gli immigrati fanno del vittimismo e i valori dell’individualismo olandese devono essere difesi».
«Di che ingiustizie parlano?»
«Il mio caso è particolare – racconta – perché i miei genitori sono persone colte e qualificate, sono entrambi medici e hanno lavorato fin dall’inizio nel sistema sanitario olandese. Sono nata e ho vissuto in un quartiere benestante, non in un ghetto di immigrati, gli unici turchi eravamo noi. Ma con questo non concedo nessuna giustificazione ai miei connazionali. A quelli che l’11 marzo protestavano per strada a Rotterdam vorrei dire: “Come fate a non rendervi conto che questo paese è infinitamente migliore di quello da cui venite, che qui siete liberi e tutto funziona a meraviglia? E invece voi odiate l’Olanda e adorate Erdogan!”».
Secondo la giornalista «non è vero che i turchi all’estero sono costretti alla doppia nazionalità. Anzitutto quando un figlio di turchi nasce all’estero, i genitori possono decidere di non registrarlo al consolato, e allora non ha nazionalità turca. Io ho la doppia nazionalità, mia sorella no perché non è stata registrata. Poi è sempre possibile chiedere di rinunciare alla nazionalità turca, molti maschi lo fanno per evitare seccature col servizio militare. Il problema è che la Turchia può respingere la tua domanda».
Ebru è preoccupata dell’ascesa del partito Denk, creato da due olandesi-turchi fuoriusciti del partito laburista, che ha ricevuto oltre 200 mila voti e conquistato tre seggi (richieste di intervista al leader Tunahan Kuzu da parte di Tempi non hanno avuto risposta). «Fanno con gli immigrati quello che Wilders ha fatto con gli olandesi autoctoni: sottolineano le ingiustizie e le discriminazioni che subiscono da parte degli “altri”. Avvelenano la mente della gente dicendo loro: “Siete cittadini di seconda classe”. Sono bravi a mettere gli uni contro gli altri. Ma la loro propaganda è falsa: di che discriminazioni parlano? In questo paese la speaker del Parlamento è marocchina, il sindaco di Rotterdam pure. E allora, di che cosa parliamo?».
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