Trump ha promesso di aiutare i cristiani iracheni, ma non ha ancora fatto nulla

Di Redazione
07 Giugno 2018
L'arcivescovo di Erbil, Bashar Warda, richiama gli Stati Uniti agli impegni presi: «L'appoggio politico che ci hanno dato è fondamentale, ma non sono arrivati aiuti. Siamo molto delusi».
epa04389743 An Iraqi Christians female refugee forced to flee Islamic State militants in Mosul, sits outside her tent in the Bahrka Refugee camp in Erbil, northern Iraq, 07 September 2014. Fighters from the Islamic State (IS) made swift military gains across Iraq prompting an ongoing international and regional humanitarian and military response, as thousands of people from various religious groups fled areas coming under IS control to the mainly Kurdish north of Iraq. EPA/MOHAMED MESSARA

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Parole, parole, parole. Parafrasando Mina è questo l’atteggiamento che l’amministrazione di Donald Trump sta assumendo verso i cristiani perseguitati e cacciati dalle loro case dallo Stato islamico in Iraq. Alle grandi promesse fatte in ottobre dal vicepresidente Mike Pence, infatti, non sono seguiti i fatti: «Siamo molto delusi, per me è sorprendente notare quanto Stati Uniti e Occidente accettino senza problemi di ignorare i bisogni esistenziali della nostra gente», dichiara al National Catholic Register monsignor Bashar Warda, arcivescovo di Erbil, capitale del Kurdistan iracheno.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”] LE PROMESSE. A ottobre Pence promise che gli Stati Uniti avrebbero smesso di finanziare le iniziative «inefficaci» delle Nazioni Unite per «aiutare i cristiani del Medio Oriente direttamente». Washington ha in effetti stanziato 35 milioni di dollari che i funzionari di Usaid avrebbero dovuto assegnare a progetti coordinati dalla Chiesa irachena secondo il meccanismo denominato Baa. Quelle risorse, però, non hanno mai lasciato le casse americane.
«Noi siamo consapevoli di quante persone nel governo americano siano contrarie agli impegni assunti dal vicepresidente», spiega monsignor Warda. «Sappiamo quanto sia difficile politicamente dire che i cristiani iracheni avranno una piccola priorità sugli altri. I nostri sacerdoti e la nostra gente però hanno creduto a quelle parole e ora sono delusi».

POCHI AIUTI. Se da una parte gli Stati Uniti «hanno inviato a tutti gli attori internazionali che operano nella regione un segnale importantissimo, che vale forse più di ogni aiuto economico», dall’altra «l’annuncio ha dato l’impressione che gli Stati Uniti fossero davvero pronti a finanziarci, spingendo così altri importanti donatori a destinare le loro risorse altrove», prosegue l’arcivescovo di Erbil. Ad aiutare i cristiani iracheni restano Aiuto alla Chiesa che soffre, i Cavalieri di Colombo e il governo dell’Ungheria, «che ci stanno dando un grande sostegno e ringraziamo Dio per questo. Ma tutti gli altri si sono impegnati in altri progetti».

«LE NOSTRE CASE AI MUSULMANI». Il vicepresidente americano Pence ha comunque garantito che «i cristiani iracheni resteranno una priorità degli Stati Uniti. Spero che continueranno ad affermarlo anche pubblicamente». L’altro aiuto che la Chiesa irachena aveva chiesto agli Stati Uniti era di impedire l’occupazione dei villaggi cristiani: «Purtroppo per ora anche su questo punto non è cambiato niente. A Batnaya si è insediato l’esercito iracheno, temiamo che occupino tutto e che le case dei cristiani vengano date ai musulmani di Mosul. Ovviamente siamo solidali con tutti coloro che sono rimasti senza abitazione, ma cosa dobbiamo fare dei cristiani che non sono considerati da nessun piano di nessun organismo?».

Foto Ansa

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