
Trattativa Stato-Mafia, rinviati a giudizio i dieci imputati. Il processo si apre il 27 maggio
Rinviati a giudizio i dieci imputati del processo “Trattativa” dal Giudice per l’udienza preliminare Piergiorgio Morosini (autore del libro Attentato alla giustizia in cui ha sposato le tesi sulla presunta trattativa). Si aprirà il 27 maggio davanti alla corte d’assise di Palermo il processo che vede imputati il generale dei carabinieri ed ex comandante del Ros, Mario Mori, gli ufficiali dell’Arma Antonio Subranni (predecessore di Mori al comando del Ros nel 1992) e Giuseppe De Donno, insieme ai boss di Cosa Nostra Totò Riina e Leoluca Bagarella, al medico della mafia Antonino Cinà, al killer della strage di Capaci Giovanni Brusca (che sarebbe per l’accusa uno dei teste chiave), e al figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, Massimo. Con loro imputati anche l’ex senatore del Pdl Marcello Dell’Utri (uno dei presunti terminali della trattativa, a livello politico), e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza (le intercettazioni a Mancino proprio nel corso di quest’inchiesta hanno portato al conflitto con il Quirinale, concluso con la sentenza della Consulta). Imputato, ma giudicato separatamente con rito abbreviato anche l’ex ministro Calogero Mannino. Stralciata nei giorni scorsi anche la posizione di un altro imputato, il boss Bernardo Provenzano.
Tra i teste chiave dell’accusa, oltre a Brusca e allo stesso Ciancimino (che per primo parlò della trattativa e del presunto papello con le offerte di Riina allo Stato, documento mai consegnato o trovato nella versione originale dagli inquirenti), anche l’ex guardasigilli nel 1992 Claudio Martelli.
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LE ACCUSE. Il Gup Morosini, nel pronunciare la decisione, ha irritualmente letto sue considerazioni circa l’indagine, criticandone la conduzione e sottolineando che per molti aspetti è stato necessario svolgere integrazioni probatorie durante l’udienza preliminare, con l’audizione diretta di nuovi testimoni e interrogatori. Accolta però l’ipotesi dell’accusa, sostenuta principalmente dal procuratore aggiunto Nino Di Matteo e, prima della partenza per il Guatemala e la candidatura alle politiche, da Antonio Ingoria, a dare impulso alla trattativa sarebbe stato Calogero Mannino, preoccupato per la sua incolomità nei primi mesi del ’92.
La presunta trattativa sarebbe proseguita all’indomani della strage di Capaci, dove era stato ucciso il giudice Giovanni Falcone, il 23 maggio 1992. Sempre secondo l’accusa, in questa fase sarebbe stata condotta dai carabinieri di Mori che avevano cercato contatti con Cosa nostra tramite i Ciancimino, e avrebbero ottenuto un papello di richieste, tra cui l’abolizione del 41 bis, da parte di Totò Riina. La scoperta dei contatti per la presunta trattativa, secondo l’ipotesi dell’accusa, avrebbe accellerato anche la condanna a morte emessa dalla mafia nei confronti del giudice Paolo Borsellino, ucciso nella strage di via D’Amelio il 19 luglio 1992.
Il testimone Martelli ha raccontato di aver appreso dei contatti tra l’Arma e i mafiosi, dal braccio destro di Falcone Liliana Ferraro (che tuttavia lo ha smentito, ndr.), di aver inizialmente pensato a contatti investigativi presi dal Ros di propria iniziativa, “sorpassando” le competenze che allora aspettavano alla Direzione investigativa antimafia guidata da Gianni De Gennaro (oggi sottosegretario con delega ai servizi segreti del Governo Monti). È proprio da quest’ultimo che in una delle ultime udienze preliminari è arrivata un’ennesima e clamorosa smentita alla tesi della trattativa e alle parole di Martelli, che ha sempre raccontato di essere stato sostituito politicamente dal posto di ministro di Giustizia, per fare spazio al successore Giovanni Conso, che su pressione del presidente Oscar Luigi Scalfaro avrebbe poi revocato il 41 bis per alcuni mafiosi come richiesto nel papello di Riina (nei fatti la revoca non ha riguardato boss di Cosa Nostra, né killer o personaggi di rilievo, ma solo piccoli mafiosi, di seconda o terza fila).
DE GENNARO SMENTISCE. Poche settimane fa Gianni De Gennaro è stato infatti ascoltato dal Gup, nell’aula bunker di Rebibbia dove si è svolto a porte chiuse il processo Trattativa. Della testimonianza dà ora notizia la giornalista Anna Germoni, su panorama.it, ripercorrendo la deposizione di De Gennaro durata oltre quattro ore. Se Martelli aveva dichiarato al Gup e alla commissione parlamentare antimafia di essersi spesso lamentato nel ’92 per l’iniziativa del Ros di Mori, ora De Gennaro ha dichiarato più volte di non aver saputo nulla di queste lamentele.
In particolare, De Gennaro ha anche dichiarato di aver incontrato Paolo Borsellino sino al 16 luglio 1992, ma che il giudice non gli parlò mai né di trattativa Stato-mafia, né in generale di trattative, né di carabinieri o servitori infedeli. Quest’ultimo passaggio, data l’autorevolezza investigativa di De Gennaro anche nel 1992, è di particolare importanza, perché l’accusa ha sempre sostenuto che Borsellino negli ultimi giorni della sua vita avesse cercato di denunciare la trattativa, e per questo fu ucciso: con De Gennaro, amico oltre che capo della Dia, avrebbe certamente dovuto parlare dei suoi dubbi.
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