Il trans è l’eroe del nuovo millennio
L’onorevole Zan odia le donne, così come le odiano (fatta eccezione per molti casi di ignoranza o di semplice opportunistico conformismo) i personaggi della politica e dello spettacolo che hanno postato foto mostrando il palmo della mano recante la scritta Ddl Zan.
Il direttore de L’Espresso Marco Damilano e il grafico che ha realizzato la copertina del numero 21 di quel settimanale odiano le donne. Elliot Page, già Ellen Page, protagonista nel 2007 del film Juno, odia le donne.
Femminilità ininfluente
Che cosa hanno in comune tutti costoro, per poterli accusare così apertamente di odio nei confronti delle donne? Hanno in comune il disprezzo per il corpo della donna. Giudicano il corpo femminile privo di importanza nella sua femminilità.
Nel testo del ddl Zan si legge che
«Per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrisponde al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione».
Cioè non è necessario un corpo femminile per potersi dichiarare donna e pretendere che tutti gli appartenenti alla società ti considerino tale; e se c’è qualcuno che obietta alla tua appropriazione dell’identità di donna senza nessun riguardo per il corpo femminile, la legge difenderà la tua pretesa condannando l’obiettore al carcere e all’ammenda pecuniaria per “discriminazione”.
La copertina dell’Espresso
Damilano e L’Espresso odiano la differenza femminile in nome di una mistificatoria diversità rappresentata da una figura che abbina attributi sessuali secondari maschili come la pelosità e l’assenza di seno col ventre gonfio di una gravidanza in stato avanzato.
Ovviamente in questa immagine le femministe ci hanno visto la rappresentazione iconica e quindi la trionfale conferma di quella che a loro parere è la molla psicologica che ha dato vita al sistema di dominazione del maschio sulla femmina che va sotto il nome di “patriarcato”: l’invidia maschile per la gravidanza.
Il trans Ellen/Elliot
Invidia che personalmente lascio a Damilano e a tutti quelli che hanno applaudito la sua copertina: il mio primo sentimento di uomo di fronte all’evidenza di una gravidanza non è l’invidia, ma una sollecitudine protettiva, quella stessa sollecitudine protettiva che agli ufficiali della fregata Birkenhead (1852) e del transatlantico Titanic (1912) fece impartire l’ordine «prima le donne e i bambini» al momento di calare le scialuppe di salvataggio in occasione dei rispettivi naufragi.
In ogni caso, nell’icona androgina spiattellata sulla copertina del n. 21 dell’Espresso c’è molto di più dell’invidia maschile o del gusto per il bizzarro: c’è l’idea del corpo macchina, c’è l’idea che il corpo è solo un insieme di organi che si possono comporre e scomporre come i mattoncini di un Lego.
Il corpo non è integrato alla personalità (anima, spirito, psiche, scegliete voi), ma giustapposto come un vestiario i cui singoli capi si possono togliere e sostituire con altri. Per questo il trans – che incarna questa idea della sostituibilità – è l’eroe del nuovo millennio, e sempre meno persone sono scioccate dall’orrore misogino di chi, come Ellen/Elliot Page, si estirpa i seni come si estirperebbero dei tumori, per apparire simile a un maschio.
La maternità è volgare
Perché tanto odio per le donne, che spinge ad umiliarle in questi modi? Aiuta a capirlo quello che scrive la femminista ecologista Marianne Durano:
«Per discreditare l’idea di natura femminile, si considera la capacità naturale della donna di aspettare dei figli come un’attività puramente biologica e tecnica. Ciò significa definire la maternità come qualcosa di inessenziale, per rifiutargli in seguito qualunque valore. Si parte dal principio che la maternità è volgare e priva di importanza, per affermare in seguito che essa non permette di definire la femminilità».
L’avvento del transumanesimo
La donna deve essere umiliata dall’ideologia dell’identità di genere che il ddl Zan impone come legge dello Stato e dalla glorificazione della transessualità, la gravidanza deve essere svalutata mettendo l’utero sullo stesso piano di altri caratteri sessuali come possono essere la pelosità maschile e la presenza/assenza di mammelle, perché la donna rappresenta l’ultimo argine alla tecnologizzazione integrale della vita umana.
La donna e il suo grembo sono l’ultimo ostacolo alla produzione di esseri umani in provetta, perfettamente ingegnerizzati. Sono l’ultima barriera all’avvento del transumanesimo.
Ripugnanza per la procreazione
E sbaglia Marina Terragni – al termine di un intervento (apparso su Avvenire) per il resto magistrale, dove viene pienamente dimostrato che il ddl Zan comporta la cancellazione della differenza sessuale e la creazione di un individuo perfettamente neutro funzionale alla logica consumista – a sostenere che il transumanesimo è l’ultimo prodotto della mentalità patriarcale.
L’odio per il corpo della donna è in realtà parte di un più antico e radicato odio per il corpo umano come tale, sia maschile che femminile. Non siamo di fronte al ritorno del patriarcato, ma dello gnosticismo, che nella carne ha sempre visto il male contrapposto al bene che è lo spirito (che i genderisti e i transumanisti sostituiscono con la mente).
La ripugnanza per la procreazione carnale, che presuppone l’unione sessuale fra uomo e donna e la gravidanza di quest’ultima, è caratteristica che trapassa identica dallo gnosticismo antico al pensiero tecnocratico contemporaneo.
Intellettuali genderisti
Nel trasferimento della fertilità umana dal grembo materno all’utero artificiale non viene umiliata solo la donna, ma anche l’uomo: anch’egli viene privato della potenzialità caratteristica della penetrazione, cioè la potenzialità fecondatrice del suo sperma.
La procreazione extracorporea priva definitivamente di significato il connubio sessuale, riducendolo a pratica ricreativa, che nulla ha più a che fare col potere divino del dare vita a nuovi esseri umani. Quel potere passa agli alambicchi, e ai tecnici e agli scienziati che li maneggiano.
Ovvio che questi personaggi odino le donne, nella cui carne gravidanza, parto e nascita sono avvenimenti, e non il risultato dell’attuazione di un progetto ingegneristico; ovvio che i fautori dell’identità di genere come Alessandro Zan e Judith Butler odino le donne, perché la loro gravidanza non è “performativa”, non è una pratica sessuale o un’identità di genere che si manifesta attraverso comportamenti, ma una condizione che si sviluppa senza che il soggetto ponga sue azioni, indipendentemente dalla volontà.
La volontà può soltanto mettervi fine, con l’aborto, ma non può riprenderla come tale dal punto in cui si trovava al momento dell’interruzione. La donna incinta non è mai completamente padrona di quello che accade al suo corpo, e ciò rimanda l’umanità tutta alla sua condizione di dipendenza, di non totale padronanza della realtà. E questa è la più insopportabile di tutte le cose per i tecnocrati e per i loro intellettuali organici genderisti.
Foto Ansa
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