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Aspettando James Webb, un galattico telescopio da gente di mare e figli delle stelle

Il 22 dicembre 2021 dalla Guyana Francese decollerà un razzo con un carico che cambierà per sempre la nostra conoscenza del cosmo. Un mezzo cento volte più potente di Hubble per mostrarci l'Universo gattonare

Paolo Galati
07/12/2021 - 6:25
Società
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Il 22 dicembre 2021 dalla Guyana Francese decollerà un razzo Ariane 5 con un carico che forse cambierà per sempre la nostra conoscenza dell’Universo e di tutto ciò che lo costituisce. Dopo un paio di settimane di viaggio e altrettante di dispiegamento, il più potente telescopio spaziale mai costruito, il James Webb, si posizionerà in un’orbita stabile detta “lagrangiana”: orbita così chiamata in onore del cittadino torinese che nel XVII secolo avrebbe vinto senza alcuno sforzo le Atp Finals della matematica.

Partiamo da un presupposto fondamentale noto a tutti: chiunque abbia progettato la razza umana ha pensato bene di farla piuttosto limitata. A prescindere da ciò che i fisici chiamino “luce”, che sappiamo essere composta da onde di diversa lunghezza e frequenza, noi siamo stati pensati e ideati con occhi limitati che – va detto – comunque vanno benissimo per le cose che contano. Le onde “visibili” infatti sono solo una piccolissima frazione della totalità delle onde. Anche se limitata questa banda del visibile non è poi così male visto che ci permette di apprezzare i tramonti, il mare, le donne, i paesaggi, le montagne. Per semplificare, è come se fossimo in un treno con oltre 100 finestrini ma tutti i passeggeri potessero ammirare il paesaggio guardando solo attraverso un unico finestrino e gli altri fossero tutti oscurati. Siamo fatti così.

Gente di mare che guarda lo spazio

Questo vuol dire che l’Universo non si svela nel visibile. Che detta così sembra una frase da stato di WhatsApp ma noi siamo gente di mare e lo sappiamo bene cosa vuol dire: è come aprire gli occhi sott’acqua. Il fondale marino svela il suo spettacolo solo quando ci si immerge con la maschera. Questa cecità strutturale non ha fermato l’uomo che fin dai tempi di Galileo ha costruito tantissimi telescopi per raccogliere letteralmente quante più onde elettromagnetiche possibile; costruendo “secchi” via via sempre più grandi oppure sensibili solo a certe lunghezze d’onda: onde radio, raggi gamma e raggi X, ma anche onde gravitazionali, raggi UV (satellitari soprattutto), infrarosso e tantissime altre ancora.

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E non solo. Osservare il cielo dalla Terra è come guidare con un parabrezza appannato: gran parte delle informazioni astronomiche sono attenuate, filtrate o addirittura rimosse dall’atmosfera. Con l’esigenza di “spannare” il parabrezza terrestre, negli anni 80 gli scienziati della Nasa e dell’Esa progettarono il primo telescopio spaziale: lanciato il 24 aprile del 1990, il telescopio Hubble è stato il primo amore dell’osservazione spaziale, il telescopio della gente.

Da Hubble, padre e Ulisse, a James Webb

Siamo tutti figli delle stelle, ma è il telescopio Hubble che poi ha fatto da papà. Senza il telescopio Hubble non avremmo mai calcolato con grande precisione l’età dell’Universo, la distanza delle galassie, la velocità di espansione; Hubble è stato l’Ulisse che ha oltrepassato le colonne d’Ercole dell’astronomia: ha fotografato stelle giganti, oggetti complessi e sconosciuti, ammassi stellari; ha osservato l’esplosione di una supernova, ha identificato la presenza di buchi neri all’interno delle galassie, ha portato l’universo nelle case e nei libri di scuola facendoci viaggiare nel tempo.

Ma allora, visto che sarà 100 volte più potente e sei volte più grande del telescopio Hubble, cosa dobbiamo aspettarci dal nuovissimo James Webb Telescope (JWT)? In orbita a 1,5 milioni di km, 5 volte più distante della luna, progettato e rimodificato, il progetto JWT ha impegnato più di 3.000 persone per quasi 25 anni: spesso cambiando in corsa perché l’evoluzione scientifica si muove a una velocità incredibile. Su tutti pensate agli esopianeti, diventati quasi un’ossessione per la comunità scientifica. Il JWT avrà in dotazione strumenti e tecnologia di ultimissima generazione in grado di analizzare le atmosfere degli esopianeti con lo scopo di identificare eventuali molecole come l’acqua, il metano o la CO2: primo indizio sulle condizioni e abitabilità. Si stima che nella nostra galassia ci siano almeno 300 milioni di pianeti potenzialmente abitabili! E poi non sarà un telescopio dalla tipica forma a rotolo di carta Scottex. Tutt’altro

Vedremo quando l’Universo gattonava

Sembrerà piuttosto un fantastico fiore con petali di Berillio placcati d’oro di oltre sei metri di diametro, il più grande specchio primario che sia mai stato costruito: composto da 18 parti esagonali sarà esposto al freddo cosmico e dovrà essere tenuto a una temperatura di -230°C! Trovandosi non troppo distante dal sole e dalla terra, sarà opportuno schermarlo da fonti di calore. A questo serviranno 5 “teli” sovrapposti che faranno da paravento: grandi come un campo da tennis si dovranno dispiegare in automatico come le vele di una nave. Non solo: anche i petali di berillio si dovranno allineare molto lentamente; operazione che richiederà mesi prima del funzionamento completo. Nel razzo Ariane 5 non c’è modo di farci stare il telescopio ed è per questo che è stato impacchettato meglio di un qualsiasi mobile Ikea: una volta raggiunta l’orbita si aprirà come se fosse un origami. Va detto però che alla Nasa dicono di essersi esercitati aprendo e chiudendo il bugiardino di un farmaco. Anche perché questo telescopio non è stato progettato per essere riparato in un secondo momento: tutto deve andare come previsto!

Sta per cambiare il modo con cui abbiamo visto l’universo finora. Con una vita operativa di circa 10 anni capiremo come si evolvono le galassie, come nascono le stelle e i sistemi planetari all’interno delle nubi molecolari; scopriremo migliaia di esopianeti e regioni sconosciute dell’Universo. Immaginate di non avere neanche una foto del periodo che va da quando siete nati fino al primo anno di età. Mancherebbe un pezzo fondamentale dell’evoluzione e crescita di ciascuno di noi. Il James Webb ci porterà tra i 100 e i 200 milioni di anni dopo il Big Bang: quando ancora l’Universo gattonava in una danza di galassie primordiali e giovani strutture stellari.

Ancora una volta il limite umano diventa una spinta per entrare sempre di più nell’ignoto e per noi, che siamo gente di mare e figli delle stelle, ci voleva proprio un telescopio così.

Foto Ansa

Tags: scienza
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