
Il calvario del Sud Sudan e la visita di Francesco

Nessuno sa quante persone siano state uccise nel corso dei due interminabili conflitti che hanno portato all’indipendenza del Sud Sudan nel 2011, nessuno sa esattamente quante siano le vite perdute a causa della guerra civile scoppiata nel dicembre 2013 che continua a mietere vittime nonostante il cessate il fuoco e gli accordi di pace fra le parti conclusi nel settembre 2018. Per recuperare e conservare la memoria dei milioni di persone che hanno perso la vita in oltre mezzo secolo di conflitti e con ciò creare le premesse culturali per una pace duratura, nel 2014 è nata a Juba, capitale del paese, l’organizzazione “Remembering the ones we lost”, che potendo contare su pochi mezzi a disposizione raccoglie i nomi, i luoghi e le date che riguardano le vittime delle guerre che hanno interessato l’attuale Sud Sudan, dal 1955 fino ad oggi.
Il calvario del Sud Sudan
La prima guerra civile sudanese, combattuta fra il 1955 e il 1972, avrebbe causato da 500 mila a un milione di morti; ancora più aleatorio il bilancio della seconda guerra civile sudanese, scoppiata nel 1983 ed esaurita nel 2005 con gli accordi che avrebbero portato alla secessione e indipendenza del Sud Sudan: il numero delle vittime oscilla fra un milione e due milioni e mezzo, comprensivo di chi ha perso la vita per carestie ed epidemie riconducibili direttamente alla guerra. L’ultimo atto del calvario sudsudanese, prodotto delle rivalità di potere fra esponenti delle principali etnie del paese, avrebbe visto l’assassinio di 190 mila persone e la morte di altre 193 mila a causa della mancanza di cibo e medicine fra i milioni di sfollati della guerra nel periodo compreso fra il 15 dicembre 2013 e l’aprile 2018, secondo uno studio condotto da ricercatori della London School of Hygiene and Tropical Medicine, finora l’unico sull’argomento.
Nei suoi otto anni di esistenza Remembering the ones we lost (Rowl) ha raccolto con pazienza certosina i nomi di 20.889 vittime di tutte le regioni del paese, di tutte le età e di ognuno dei tre periodi di conflitto, ma soprattutto quelli della non ancora spenta guerra civile sudsudanese. «Una frazione di tutte le vittime effettive», riconosce l’organizzazione, ma il risultato di uno sforzo conoscitivo che non intende esaurirsi:«Il nostro lavoro rimane quello di garantire che le vittime non rimangano senza nome e ignote alla storia».
La violenza diffusa in tutto il Sud Sudan
Alla vigilia della storica visita di papa Francesco (la prima di un papa in Sud Sudan) l’associazione ha diffuso un comunicato di benvenuto: «Remembering the Ones We Lost (Rowl) dà il benvenuto al Papa a Juba. Desideriamo esprimere la nostra gratitudine per il continuo sostegno del Papa al popolo del Sud Sudan e per la sua leadership nel perseguimento di una pace vera e duratura. Rowl documenta i nomi degli uccisi e delle altre vittime per cause legate ai conflitti a partire dal 1955 in un memoriale pubblico online perché siano riconosciute la perdita e la sofferenza collettive dei sudsudanesi. Rowl crede che il Sud Sudan possa porre fine all’uso della forza contro e tra i suoi cittadini. La conservazione della memoria è una parte importante della cultura sud-sudanese e Rowl chiede che le perdite legate al conflitto siano riconosciute pubblicamente e periodicamente perché la cultura dell’uso della violenza possa essere lasciata alle nostre spalle».
La raccolta di testimonianze da parte di Rowl dimostra che la violenza continua a essere diffusa in molte aree del paese nonostante il cessate il fuoco e l’accordo di pace: all’associazione sono pervenute le generalità di 2.730 persone che hanno per la vita nel corso del 2022 in Sud Sudan a causa della violenza politica, concentrate essenzialmente nelle regioni di Upper Nile e Jonglei. Nel 2021 le vittime censite da Rowl erano state 3.722, nel 2020 erano state 4.292 e 2.060 nel 2019. «I nomi inviati al sito web da parenti in vita e attraverso i media, da noi verificati, indicano che la perdita di vite umane è ai massimi storici in tempi di “pace”», commenta il direttore Daud Gideon.
«Dare una possibilità alla pace»
Nel dicembre scorso Rowl ha proposto al governo e al parlamento sudsudanesi di istituire il 15 dicembre come “giornata del ricordo” di tutte le vittime delle guerre che hanno afflitto l’attuale Sud Sudan. La motivazione della richiesta è spiegata nel comunicato di benvenuto a papa Francesco: «Crediamo che il dolore non riconosciuto e non affrontato sia la causa del protrarsi dei problemi rappresentati da continue ingiustizie, corruzione, tribalismo, sfiducia fra le parti, e in particolare dallo stallo nell’attuazione dell’Accordo rivitalizzato (sic) per la risoluzione del conflitto nella Repubblica del Sud Sudan. Esortiamo il governo ad ascoltare le parole e le preghiere del Papa e a dare una possibilità alla pace, all’umiltà, alla fiducia, al perdono e all’amore per i propri nemici, perché ci sia un futuro migliore per il Sud Sudan».
I dati finora raccolti riguardano per il 97 per cento persone uccise durante episodi di violenza o decedute per cause legate direttamente ai conflitti, e per il 3 per cento persone scomparse o rapite da gruppi combattenti senza che si siano più avuto notizie di loro. Circa l’ 86 per cento dei morti e degli scomparsi sono maschi, il 14 per cento femmine. La grande maggioranza delle vittime è stata uccisa con armi da fuoco (91 per cento). I restanti casi comprendono decessi a seguito di torture, persone arse vive all’interno di capanne o case, uccisioni con armi da taglio.
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