Con gli studenti alla mostra “Recycling beauty”. Un trono in attesa del Re

Di Carlo Simone
20 Febbraio 2023
Ho accompagnato i miei alunni alla Fondazione Prada, dove è allestita una mostra che racconta la misteriosa "attesa" del mondo pagano. Piena di capolavori (e sedie vuote)
Foto Facebook Fondazione Prada
Foto Facebook Fondazione Prada

Conto gli studenti. Ci siamo tutti. Nonostante lo sciopero dei mezzi, maledizione dei venerdì milanesi, siamo riusciti a raggiungere questi remoti lidi oltre lo scalo di Porta Romana. È ora di pranzo e non ho mangiato per arrivare prima, ritirare i biglietti d’ingresso, non perdere tempo. I discenti sventolano sotto al mio naso panini incellofanati e bibite del McDonald’s.

Fondazione Prada non è un luogo accogliente. È un luogo troppo figo per essere accogliente. All’ingresso un cartello invita a camminare su uno stretto tappeto e non sulla pavimentazione circostante, figa, tutta in legno, troppo figa per essere calpestata da cinquanta paia di suole adolescenziali. Gli altri visitatori che arrivano sembrano in procinto di recarsi a una sfilata di moda, non in un museo. Sento parlare francese. Perfino le signorine della biglietteria, con la loro manifesta cortesia, paiono squadrarmi dall’alto in basso. È il limbo radical chic che non ci meritiamo ma che vivaddio è sorto a riqualificare un brutto quartiere e a organizzare mostre belle, altre meno. Qui, che mica è un museo statale, sotto i 26 anni si entra gratis, gli altri pagano – compresi i prof.. Chino umilmente il capo. Ho fame.

A chi porta i doni il buon puttino?

La mostra è Recycling beauty. L’ho già vista con mia moglie, due mesi fa, ma ora che son qui con tre colleghi e due classi è tutta un’altra storia. Coi ragazzi non si può restare alla superficie, al friccico estetico, specie con questi zotici dello scientifico, futuri ingegneri, mica fricchettoni del classico. Occorrono occhi che sappiano scendere in profondità. Altrimenti, fra il primo tepore primaverile, la stagione degli amori e il McDonald’s, c’è poca speranza che la gita (#uscitadidattica) lasci il segno.

Idea. Cominciamo dal fondo. L’ultimissima cosa esposta: mi aveva colpito già la prima volta. La custode magnanimamente acconsente a farci infrangere le regole: entriamo dall’uscita. Ecco, sparsi nella stanza, i frammenti di un fregio istoriato.

Cosa vedete? Dei bambini. Guardate meglio: sono bambini un po’ strani. Hanno le ali! Si chiamano putti. Se vi dico Cupido come ve lo immaginate? Perfetto. Ma cosa fanno? Portano delle cose. Ma cosa? Quello mi sembra… un arco. Un arco?! Non sei mai stato su una spiaggia? Sì. Ah. È vero. È una conchiglia? Perfetto. A chi la porta, quella conchiglia, il buon puttino? E quell’altro, il suo amico, a chi porta il tridente? E quello, la lorica? E quell’altro, la saetta? Sono tutti in fila, anzi in processione, recando questi attributi che dovrebbero suggerirci i legittimi proprietari – Nettuno, Marte, Giove, Saturno… -, in direzione di alcuni troni. Troni grandi. Magnifici. Drappeggiati. Vuoti.

Il trono c’è, ma è vuoto

Qui mi prende un attimo di commozione. Qualche artista, nel I secolo dopo Cristo, s’è messo a scolpire questi fregi – i Troni di Ravenna, qui riuniti per la prima volta dopo un esodo in giro per l’Europa – e ha rappresentato delle sedie vuote. Tutto è pronto in attesa del padrone di casa: ci sono i putti, i loro doni, le decorazioni… Manca solo Lui. Arriverà? Come sa chi frequenta i palcoscenici, non c’è oggetto più misterioso di una sedia vuota. Chi la occuperà? Che volto avrà l’uomo misterioso? Che volto ha il Mistero? E come sederà lì? Stravaccato? Come un tiranno, o come un papà a tavola? Che ci farà con quel tridente? Cos’ha a che fare con quella conchiglia?

Silenzio. Tutto tace. I ragazzi sono stranamente poco loquaci. Anche i putti, pure un po’ inciampanti, non proferiscono parola. Allora mentre noi siamo senza parole, mi tornano alla mente quelle degli antichi. Di Platone, che paragonava l’esistenza a un mare misterioso che non si può attraversare con le nostre umane zattere; occorrerebbe l’arrivo di Qualcuno dall’altra sponda per prenderci. Di Virgilio, che a Enea fa chiedere alla madre, la dea Venere: Crudele, perché ti mostri sempre soltanto sotto false sembianze, perché non posso stringerti la mano? Di Cecilio, il pagano dell’Ottavio di Minucio Felice, che amaramente constata che sono secoli che i nostri migliori filosofi s’interrogano sulla divinità e non ne vengono a capo. Ora basta. Arrendiamoci. Siamo condannati all’incertezza. Il trono c’è, ma resta vuoto.

L’enorme Costantino

Adesso entriamo dalla parte giusta. Ragazzi, chi è quello? Madò, che roba. Sì, anche tu un giorno ne avrai una, con la tua faccia, di statua colossale. Te lo auguro. Ora però fai un passo indietro, prima che ci caccino. Non t’appoggiare. 12 metri di imperatore Costantino! La prima volta nella storia che viene proposta una ricostruzione in scala 1:1. Roba da far girare la testa. Brava, Fondazione Prada.

Allora ce ne stiamo là sotto, sempre più piccoli mano a mano che lo guardiamo. Ha gli occhi sognanti, troppo grandi, persi in un altrove; non sembra essere con noi. Sta già per tre quarti di là, nella casa di quel Dio che – come che sia – ebbe il merito di proporre a tutto l’impero. Proprio qui, a Milano, nel 313 d.C.. Un’ipotesi di risposta all’interrogativo straziante di quelle sedie vuote, che già aveva cominciato a illuminare le tenebre del mondo quando quell’anonimo scultore le aveva ricavate dalla pietra; ma lui non lo sapeva ancora.

Nani sulle spalle dei giganti

Noi, ragazzi, siamo partiti dal fondo della mostra. Ora andiamo a vedere la parte principale. (Prima di procedere, però – che ganci, Fondazione Prada! -, una sbirciata ammirata alla Tazza Farnese, roba da far girare la testa pure ai barbari; come attesta il disegno che ne è stato fatto, proveniente dalla mano di un Mongolo. Gente che dove passava, non cresceva più l’erba. Ma la bellezza fermò la mano devastatrice, e la fece diventare mano di pittore).

Nel salone principale ci aspettano capolavori del mondo antico che i posteri – uomini del Medioevo e del Rinascimento – hanno preso e riutilizzato, cambiandogli senso, attribuendogliene uno nuovo, con l’utilitaristica figliolanza che un bambino ha verso i genitori. Che poi siamo proprio noi nei confronti del mondo classico. Diceva Bernardo di Chartres: siamo nani sulle spalle dei giganti. Diceva Dante: da Dio mi ci accompagna Virgilio.

Addirittura è esposta un’imponente latrina in marmo rosso di epoca adrianea che nel Medioevo divenne trono del papa (per restare in tema di sedie)! Meraviglioso. (I ragazzi subito l’hanno beccata: Quello è un cesso! Pensate quanto amore avevano i medievali per Roma, scambiare un cesso per un trono…).

Day after. I ragazzi contenti, dicono. Io commosso. Tu? Hai tempo solo fino al 27 febbraio. Ma non calpestare il pavimento di legno. E vestiti carino.

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.