Da quando il cardinal Ruini presentandolo ne ha tessuto le lodi, Il Concilio ecumenico Vaticano II è diventato un caso editoriale. Eppure non è certo un libro di facilissima lettura. Dal punto di vista formale non è altro che una lunga serie di recensioni e note a pubblicazioni di vario genere – libri, articoli, interventi sparsi – con a tema la storia, appunto, del Concilio Vaticano II. Ma dal punto di vista sostanziale è un delitto di lesa maestà. Monsignor Agostino Marchetto — diplomatico della Santa Sede, esperto di storia del diritto canonico – non la manda certo a dire. Scopo dichiarato dell’opera è «contribuire a giungere finalmente a una storia del Vaticano II che vinca i condizionamenti gravi posti finora da una visione ideologica, che si impone monopolisticamente sul mercato delle pubblicazioni». E i rappresentanti della ‘visione ideologica’ sono chiamati per nome e cognome: sono Giuseppe Alberigo e la sua monumentale storia del Concilio in 5 volumi pubblicata da Il Mulino. Ad essi Marchetto muove un’accusa fondamentale: la pretesa di imporre, arbitrariamente, criteri di interpretazione differenti da quelli usati per gli altri Concili e il resto del magistero ecclesiastico. Eccoli: «Il Concilio avvenimento come canone ermeneutico; l’intenzione di Giovanni XXIII; la natura pastorale del sinodo; l”aggiornamento’ come finalità del Vaticano II; la pratica del compromesso e le ricerca dell’unanimità». Bazzecole, come si vede. Tradotto in parole povere, significa che la vera dottrina del Concilio non è quello che ha effettivamente detto – viziato appunto da «la pratica del compromesso e la ricerca dell’unanimità» -, bensì l”intenzione’ che Papa Roncalli aveva nel convocarlo e la sua natura peculiare di ‘avvenimento’ (misteriosa parola chiave). Naturalmente – c’è bisogno di dirlo? – il compito di interpretare l”autentico messaggio’ del Concilio non può che toccare all’illuminato professor Alberigo e ai suoi dotti seguaci (tra cui il presidente della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi o quell’Alberto Melloni che si è segnalato pochi mesi fa per uno sgangherato attacco a Giovanni XXIII basato su documenti falsati), sono loro che devono spiegare alla Chiesa che cosa ‘in realtà’ voleva dire. Applicando un «metodo di parzialità grave: l’esegesi del non pubblicato, piuttosto che di ciò che si è detto».
NON SOLO ROBA DA ERUDITI
Non pago del giudizio sull’impostazione generale, Marchetto mostra le sue ragioni e la sua competenza braccando gli avversari pagina per pagina, non solo mettendo in fila tutte le parzialità di interpretazione, ma bacchettando ogni inesattezza. Come, a puro titolo di esempio, laddove Alberigo cerca di accreditare la tesi dossettiana secondo cui Paolo VI avrebbe approvato che vi fossero voti impegnativi del Concilio per le Commissioni su questioni gravissime (diaconato, sacralità episcopale), mentre «è certo invece che il Papa fece distruggere le schede preparate per chiedere il parere sulle famose questioni». Casi simili si trovano ad ogni piè sospinto.
Non si tratta di curiosità da eruditi. C’è in gioco una partita decisiva. L’opera di Alberigo e soci è una parte non secondaria dello sforzo costante di quell’universo che comprende, a vario titolo, Dossetti, la ‘scuola di Bologna’, Romano Prodi e cattocomunisti vari di accreditarsi come l’unico, autentico interprete del Concilio. Che oggi – all’indomani della batosta del referendum – il presidente della Cei additi il libro di Marchetto come salutare antidoto è un segno di respiro e di libertà per tutti.