Pronti, via, Starmer blocca la legge che difende la libertà di parola nei college
Senza interpellare i deputati e senza nemmeno convocare una conferenza stampa per spiegare la sua decisione, con un comunicato sul sito del Parlamento il ministro dell’Educazione del nuovo governo laburista del Regno Unito Bridget Phillipson ha stabilito che la legge per la protezione della libertà di espressione nei college, l’Higher Education (Freedom of Speech) Act approvato dal precedente governo conservatore, non entrerà in vigore, come previsto, il 1° agosto e che il governo valuta l’opportunità di abrogarla.
Esultano i sindacati degli studenti, particolarmente attivi nel “deplatforming” dei relatori sgraditi al pensiero woke, le facoltà universitarie che avrebbero potuto essere portate in tribunale e multate se non avessero difeso la libertà di parola di studenti, docenti e conferenzieri, alcune associazioni ebraiche convinte che la legge approvata dai tories avrebbe consentito ai negazionisti dell’Olocausto di diffondere fra gli studenti le loro teorie; protestano indignati i docenti che negli ultimi anni hanno vissuto l’incubo di essere emarginati all’interno delle università di appartenenza per le loro motivate posizioni controcorrente, gli esponenti del Partito Conservatore che avevano promosso la legislazione e alcune delle più importanti testate giornalistiche britanniche, come il Daily Telegraph, il Times e il Daily Mail.
Perché il governo Starmer ha bloccato la legge
«Per troppo tempo le università sono state un campo di battaglia politico e sono state trattate con disprezzo piuttosto che come un bene comune», ha detto la Phillipson in difesa della sua decisione. «Il governo è impegnato a difendere la libertà di parola e la libertà accademica, ma l’Higher Education (Freedom of Speech) Act introdotto l’anno scorso non è adatto allo scopo e rischia di imporre gravi oneri alle nostre università di livello mondiale».
Il ministro ha sostenuto che la legge avrebbe impedito alle università di bloccare personalità sulfuree come il negazionista David Irving o il no vax Andrew Wakefield o l’attivista di estrema destra Tommy Robinson, e quindi «potrebbe esporre gli studenti a danni e a spaventosi discorsi d’odio nei campus. È per questo che ho rapidamente ordinato che questa legislazione venisse bloccata, in modo che possiamo prendere una posizione sui prossimi passi da intraprendere e proteggere al meglio gli interessi di tutti».
Le dà ragione Saranya Thambirajah, vicepresidente per la liberazione e l’uguaglianza della National Union of Students, che ha commentato: «Molti di noi temevano davvero l’impatto che questa legge avrebbe avuto, contribuendo a dividere ulteriormente i nostri campus e a mettere ulteriormente a rischio le comunità studentesche marginali. Il governo ha inviato un messaggio chiaro: non giocherà a fare politica né con la libertà di parola né con l’incitamento all’odio».
Favorevoli anche gli studenti ebrei
La mossa è stata accolta con favore anche dal Board of Deputies of British Jews, che ha affermato di condividere le preoccupazioni espresse dalla Union of Jewish Students secondo cui la legge rischiava di consentire agli estremisti antisemiti di accedere ai campus. Le molte università che si erano lamentate per le “seccature amministrative” che la legge avrebbe comportato hanno pure espresso sollievo. Nick Hillman, direttore dell’Higher Education Policy Institute, ha aggiunto: «L’introduzione della legge sulla libertà di parola avrebbe causato un caos, con le università e i sindacati studenteschi che fino a ieri non sapevano a cosa si sarebbero dovuti attenere. Quindi è positivo che la nebbia si stia lentamente diradando».
Quei docenti censurati con l’accusa di transfobia
Di tutt’altro parere docenti colpiti negli ultimi anni dall’attivismo di studenti e colleghi decisi a togliere loro la parola, i politici conservatori autori della legge e gli editoriali di alcuni grandi giornali. La docente di criminologia Jo Phoenix, vittima di mobbing e di boicottaggio della sua libertà accademica da parte dei colleghi alla Open University e degli studenti dell’università del Sussex per i suoi studi critici sul transgenderismo, ha dichiarato che con l’abolizione della legge il governo ignora i fallimenti delle università nella protezione dei docenti da atti di bullismo e campagne di molestie.
«Parlo per esperienza diretta, penso di meritare il premio come uno degli accademici più attaccati per le sue posizioni critiche sui temi del gender. Un mio evento all’università del Sussex fu cancellato a motivo di accuse di transfobia, perché alcuni studenti minacciavano di dare vita a proteste. In base alla nuova legge, che è stata accantonata, avrei potuto sporgere denuncia contro l’università: non avere più la legge è una grossa perdita».
Gavin Williamson, il ministro dell’Educazione conservatore che introdusse la legge nel 2021 ha reagito: «Negli ultimi trent’anni abbiamo visto la possibilità di studenti e docenti di parlare liberamente nelle università diminuire sempre di più. La legislazione sulla libertà di parola era destinata a contrastare le sempre crescenti restrizioni alla libertà di espressione delle persone. È profondamente inquietante che il governo laburista non si renda conto che la libertà di parola è qualcosa per cui vale la pena battersi e che merita di essere difeso».
«La sinistra vuole un mondo senza dibattito»
Claire Coutinho, deputata conservatrice che era ministro quando la legislazione sulla libertà di parola nelle università venne emanata, ha trovato ospitalità sulle pagine del Daily Telegraph:
«Il Labour ci ha combattuto in ogni fase del percorso. Erano più preoccupati per il carico di lavoro degli amministratori universitari che per le esigenze degli studenti e degli accademici la cui libertà di parola era stata conculcata: le loro conferenze erano state cancellate, i loro tirocini nelle università ritirati e, nei casi peggiori, le loro carriere erano state rovinate. Per quale ragione? Perché avevano opinioni che non erano odiose né illegali, ma semplicemente controverse. Questo non dovrebbe sorprenderci. Il tipo di mondo che la sinistra radicale desidera è quello in cui non è consentito alcun dibattito. (…) Il Labour non può nascondersi da quello che è: un partito di persone così coinvolte nella politica dei sindacati studenteschi che invece di discutere una questione, il loro istinto è quello di mettere a tacere la parte avversa. Questa settimana il ministro dell’Istruzione ha dichiarato alla BBC che le guerre culturali nei campus “finiscono qui”. Ma le guerre culturali non vengono intraprese da coloro che vogliono un dibattito libero sull’ideologia divisiva. Sono condotte da gruppi radicali di attivisti di sinistra che credono che il proprio bigottismo prevalga sul diritto di altre persone a non essere d’accordo. Ci vuole una dose incredibile di fantasia per accusare le persone di iniziare guerre culturali, quando si tratta di persone che sostengono opinioni tradizionali. Questo è il rischio più grande che il Labour rappresenta: vogliono portare avanti un’agenda incredibilmente radicale, ma vogliono farlo anche senza dibattito».
La scelta controversa del governo Starmer
Il Daily Mail è risoluto nel suo commento: «Mettendo da parte la legislazione che protegge la libertà di parola nei campus il ministro dell’Educazione sta tradendo lo scopo stesso delle università. Queste dovrebbero essere luoghi dove idee che rappresentano una sfida possono essere discusse alla ricerca della verità. (…) Lungi dall’essere a favore della libertà di parola, questa deprimente decisione lascia pensare che il Labour è soddisfatto se tutte le voci che disapprova vengono messe a tacere senza pietà».
«La Phillipson ha giustificato la sua decisione sostenendo che la legge avrebbe potuto portare a “spaventosi discorsi di odio nei campus”, con particolare preoccupazione per il comportamento antisemita», si legge in un editoriale del Daily Telegraph.
«Tuttavia, se così fosse, sicuramente la risposta corretta sarebbe stata quella di inasprire la lettera della legge, piuttosto che accantonare potenzialmente del tutto un atto legislativo che molti accademici considerano necessario. Negli ultimi anni abbiamo visto troppi esempi di docenti universitari perseguitati per aver espresso opinioni contrarie all’ortodossia di sinistra. In un esempio degno di nota, Kathleen Stock si è dimessa da professore di filosofia all’Università del Sussex dopo una “caccia alle streghe” sulle sue opinioni sulle questioni transgender. Tali incidenti sono direttamente contrari allo scopo dell’università come spazio per la libera indagine; gli accademici devono essere in grado di porre domande difficili e raggiungere conclusioni scomode nella loro ricerca della verità. Le chiare tutele legali offerte dalla legge avrebbero fornito loro la sicurezza necessaria per farlo. È profondamente deplorevole che la Phillipson abbia scelto di indebolire questo scudo, restituendo il controllo dei nostri campus ai “culture warriors” della sinistra».
La critica del Times
Sulla stessa linea troviamo il Times: «Il progresso intellettuale richiede l’articolazione di punti di vista e idee che risultano scomodi, addirittura offensivi, per i sostenitori delle ortodossie prevalenti in un dato momento. Se tali opinioni sono sbagliate, possono essere confutate. Ma laddove siano legittime e avanzate in buona fede, dovrebbero essere l’inizio di un dibattito, e non la fine. Questo principio è ancora più importante laddove risulta più impegnativo, nelle discussioni altamente emotive su questioni come i diritti basati sul sesso, la politica del clima o la salute pubblica. Altrimenti il sapere umano si arresterebbe».
«Abrogare la legge sarebbe quindi un errore», sottolinea il Times, «Uno ancora più grande è stato decidere a livello ministeriale che la legislazione non debba entrare in vigore, senza consultare il parlamento. Questa non dovrebbe essere una decisione del governo. Se Bridget Phillipson, ministro dell’Istruzione, crede davvero che questo atto non sia necessario, deve presentare la sua causa ai parlamentari e all’opinione pubblica».
Secondo un sondaggio dell’Ufficio per gli Studenti (un dipartimento del ministero dell’Educazione) dello scorso anno citato dal quotidiano Guardian nove studenti inglesi su dieci si sentono liberi di manifestare le proprie opinioni. Invece secondo un recente studio condotto da ricercatori del King’s College di Londra, riportato dal Times, circa il 43 per cento degli studenti ha paura di esprimere le proprie opinioni in università.
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