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Home Economia

«Il federalismo all’italiana alimenta gli sprechi, le rendite e fa lievitare la spesa pubblica»

Per uscire dalla crisi non serve cercare un pugno di euro per Imu, Iva e Cig. Meglio sarebbe aggredire i 726 miliardi di spesa pubblica. Intervista a Luca Antonini (Copaff)

Matteo Rigamonti
27/08/2013 - 6:10
Economia
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Aggredire la spesa pubblica per rimettere l’Italia in moto e così uscire dalla crisi. Anche se per farlo bisognerebbe mettere mano alle tanto agognate, e finora ancora non realizzate, riforme costituzionali di cui il Paese ha, in questo momento, più che mai bisogno. A ricordarlo è Luca Antonini, professore ordinario alla Facoltà di Giurisprudenza all’Università di Padova e dal 2009 alla guida della Commissione tecnica per l’applicazione del federalismo fiscale (Copaff). Una strada, quella consigliata da Antonini, che il governo Letta farebbe bene a prendere in seria considerazione, anche perché, la spesa pubblica, come ribadito dalla Cgia di Mestre, ha appena raggiunto la cifra monstre di 726,6 miliardi di euro (240,8 in più, +68%, rispetto al 1997). Non certo pochi, se raffrontati, ai 10 miliardi di euro che servirebbero per garantire l’abolizione dell’Imu, scongiurare l’aumento dell’Iva, e rifinanziare la Cassa integrazione da qui ai prossimi due anni almeno.

Professore, lei che idea si è fatto di queste cifre?
Sono numeri impressionanti – peraltro confermati anche da fonti più autorevoli come per esempio la ragioneria di Stato – che dimostrano l’insostenibilità dell’assetto attuale che non permette all’Italia di ridurre efficacemente la spesa pubblica. Ma bisogna prima capire quali sono i nodi reali che lo impediscono, se davvero vogliamo uscire dalla crisi.

E quali sono secondo lei?
Nella pubblica amministrazione ci sono enormi sprechi che nessuno riesce a combattere; il ricorso ai tagli lineari poi non è stato efficace: finora ha portato a tagliare più i servizi che la spesa pubblica.

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Cosa alimenta gli sprechi?
Il policentrismo anarchico che si è formato a partire dalla riforma Bassanini e dalla revisione nel 2001 del Titolo V della Costituzione: è stata decentrato il potere di spesa, infatti, ma non la responsabilità.

Quindi?
Intendiamoci, non è che manchino le realtà virtuose come sono, per esempio, la Lombardia, l’Emilia-Romagna, il Veneto e la Toscana. Però ci sono anche tantissime realtà che hanno evoluto verso processi di federalismo dissipativo. Spese fuori controllo a vantaggio di sistemi assistenziali, grandi rendite e il tutto senza migliorare i servizi offerti.

Per esempio?
Basti pensare che tutto il debito della sanità è concentrato in sole quattro Regioni d’Italia e che la Sicilia spende ogni anno per il personale 1,7 miliardi di euro, mentre il Veneto si ferma a 150 milioni. I Comuni di Napoli e Reggio Calabria, inoltre, mentre in America Detroit falliva, sono stati salvati con un prestito decennale che ha dato circa 100 euro a cittadino, quando erano, in realtà – soprattutto Napoli – da commissariare. E sempre a Napoli, l’anno scorso, per la prima volta dal dopoguerra a oggi, si sono fermati i pullman perché mancava il gasolio. Le aziende di trasporto non erano state pagate.

Come è possibile?
È possibile per via di un sistema che non funziona, penalizza i virtuosi e dove gli inefficienti continuano ad essere sovvenzionati. Questo comporta disfunzioni e che non si riesca a ridurre la spesa pubblica.

Stiamo sull’esempio dei trasporti.
Nell’ambito di un decentramento folle di materie, quella delle grandi reti di trasporto è stata resa di competenza regionale e il trasporto pubblico locale è un pasticcio. Ma il finanziamento è rimasto a spesa storica e quindi gestito con finanza derivata. Il meccanismo funziona così: lo Stato trasferisce i soldi alle Regioni, le Regioni a Province e Comuni, Province e Comuni alle aziende di trasporto. Se qualcosa non funziona, non si sa mai a che porta andare a bussare per individuare di chi sono le responsabilità.
Il federalismo dovrebbe, invece, essere la chiarezza della porta cui andare a bussare. In un sistema di questo tipo, inoltre, dove il finanziamento non si basa sui costi standard ma sulla spesa storica, secondo il principio “più spendi, più prendi”, è inevitabile che si alimentino le rendite.

Cosa manca?
Occorre razionalizzare questo sistema, renderlo gestibile, riportando ordine nelle materie e nelle competenze tra Stato e Regioni, affermando un chiaro principio di responsabilità. Per esempio introducendo il Senato della autonomie. Il bicameralismo perfetto, infatti, dove ognuno dei mille parlamentari controlla tutte le leggi, non ce l’ha più nessuno Stato al mondo. Solo l’Italia. Mentre per questa mancanza noi paghiamo un prezzo. Come lo paghiamo per l’incertezza del diritto che è massima: oggi in Italia non c’è legge dello Stato o regionale che non venga impugnata davanti alla Corte costituzionale. Questa è la situazione italiana. E finché sarà così non si riuscirà mai a ridurre la spesa pubblica.

@rigaz1

Tags: cgia mestreCigfederalismo fiscaleimuivaluca antoniniriforma statospesa pubblicatagliare la spesa pubblica
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