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Spagna. Memoria di ricino

Il governo di Sánchez e Iglesias riprende l’opera di Zapatero e prova a processare per legge il passato franchista del paese. Un arbitrio antidemocratico che rischia di risvegliare i demoni della Guerra civile

José Miguel Oriol
15/10/2020 - 16:32
Magazine
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La riesumazione di Francesco Franco al memoriale della Valle de los Caidos

Articolo tratto dal numero di ottobre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Negli ultimi anni del regime di Francisco Franco divenne sempre più chiaro che i ministri e i deputati delle Cortes franchiste favorevoli all’evoluzione verso un sistema democratico si sarebbero imposti su quelli che propugnavano un’impossibile continuazione del regime uscito dalla Guerra civile del 1936-1939. Morto Franco nel novembre 1975, dodici mesi più tardi l’immensa maggioranza del popolo spagnolo (il 94,17 per cento) approvò per via referendaria la riforma politica proposta dai governanti per stabilire una nuova legalità a partire da quella precedente: «de la Ley a la Ley» fu lo slogan della cosiddetta Transizione.

Uno dei fattori fondamentali di quest’ultima fu la restaurazione della monarchia costituzionale nella persona di Juan Carlos I, nipote di Alfonso XIII, il re deposto nel 1931. La costituzione della Spagna come monarchia, dopo la parentesi aperta dalla Seconda Repubblica, fu una decisione del regime franchista nel 1947. E nel 1969 Franco designò il principe Juan Carlos come suo successore dopo la sua morte.
Elemento essenziale del processo di transizione fra i due regimi fu la ley de Amnistia dell’ottobre 1977, promulgata per spianare la strada alla riconciliazione nazionale attraverso la cancellazione di tutti i delitti di natura politica commessi dai giorni della Guerra civile fino a quel momento, inclusi i crimini più recenti compiuti dall’Eta e da altre formazioni terroristiche di minore importanza.

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Una tranquillità solo apparente

Così trascorsero tranquillamente tre decenni dal punto di vista giuridico, mentre al contrario dal punto di vista ideologico e culturale la sinistra non cessò la sua campagna di demonizzazione della fazione nazionalista. In forza di ciò si procedette a una graduale eliminazione di monumenti e riferimenti pubblici a persone e fatti connessi a tale fazione, mentre nello stesso tempo si rendeva omaggio alla fazione repubblicana.

Il Partito popolare, sempre timoroso di essere accusato di filo-franchismo, non si è mai opposto a questi provvedimenti che hanno finito per minare lo spirito della Transizione e della Costituzione del 1978. Anzi, ha collaborato ad essi: un caso di particolare importanza è stata la mozione di condanna dell’insurrezione del 18 luglio 1936 (l’“alzamiento” di Franco, ndt) approvata all’unanimità dalla Camera dei deputati il 20 novembre 2002, quando governava con la maggioranza assoluta José María Aznar. Quella delegittimazione del regime franchista non è stata accompagnata, tuttavia, né da una parallela delegittimazione del colpo di Stato socialista dell’ottobre 1934, antecedente fondamentale della Guerra civile, né da quella della deriva bolscevica del regime repubblicano, che affogò la Spagna nel caos a partire dalle elezioni vinte coi brogli dal Fronte popolare nel febbraio 1936.

Con l’arrivo al potere del socialista José Luis Rodríguez Zapatero nel marzo del 2004, dopo i sanguinosi attentati jihadisti di Madrid, il processo ha subìto un’accelerazione: una delle sue prime decisioni al riguardo è stata la demolizione della statua equestre di Franco che si trovava insieme a quelle dei dirigenti socialisti Indalecio Prieto e Francisco Largo Caballero presso Nuevos Ministerios, complesso di edifici governativi a Madrid. Le statue dei due leader socialisti rimangono invece in piedi, nonostante siano stati dei golpisti come Franco in forza del sanguinoso tentativo rivoluzionario del 1934.

Pedro Sanchez e Pablo Iglesias in parlamento a Madrid

Il Caudillo non era il Führer

L’ossessione della sinistra spagnola per le statue di Franco e per altri riferimenti al suo regime è stata giustificata attraverso il paragone con la Germania e con l’Italia. Il ragionamento è il seguente: se ogni ricordo dei regimi di Adolf Hitler e di Benito Mussolini è stato eliminato dalla vita pubblica dei paesi che essi governarono, lo stesso dovrebbe aver luogo in Spagna col regime di Franco. Però le differenze fra i due casi non sono piccole. In primo luogo, mentre Hitler e Mussolini persero le loro guerre, Franco vinse la sua, e dalla notte dei tempi a erigere statue in propria memoria sono sempre stati, come è logico, i vincitori: tutti i paesi del mondo sono disseminati di memorie lasciate da governanti e guerrieri vittoriosi nel corso dei millenni.

In secondo luogo, mentre le attuali repubbliche in Italia e in Germania sono nate a partire dall’eliminazione dei regimi fascista e nazionalsocialista, l’attuale monarchia spagnola è conseguenza della vittoria di Franco sulla Seconda Repubblica e continuazione – «dalla Legge alla Legge» – del regime nato a causa di quella vittoria.

Ma il passaggio più importante è consistito nella “legge della Memoria storica” del dicembre 2007 promossa dal capo del governo Zapatero, con la quale si è rotto il consenso raggiunto nella Transizione e concretizzato nella Costituzione del 1978. Si è preteso di annullare l’amnistia del 1977 allo scopo di perseguire i dirigenti franchisti, si sono riaperte le ferite, rinfocolati rancori spenti e l’ambiente politico si è trovato di nuovo percorso da tensioni inimmaginabili fino a pochi anni prima. Nelle campagne elettorali seguenti il Partito popolare guidato da Mariano Rajoy ha promesso che la legge sarebbe stata abolita, ma la promessa è rimasta inadempiuta come molte altre, cosa che ha provocato un crescente rigetto da parte di buona parte dei suoi elettori, emigrati di conseguenza verso altre opzioni politiche, fondamentalmente Ciudadanos e Vox.

Una “ley” vi seppellirà

Con l’arrivo al potere della coalizione social-comunista tra Psoe e Unidas Podemos, i dirigenti di questi partiti, soprattutto del secondo, ritengono che sia giunto il momento di mettere la ciliegina sulla torta pazientemente preparata nel corso di quarant’anni di falsa riconciliazione da parte di un settore considerevole della sinistra. La chiamano “Seconda Transizione” e consiste nella condanna eterna e senza sfumature della fazione vincitrice nel 1939 e, di conseguenza, nella delegittimazione di tutto ciò che da quella vittoria è derivato, Costituzione del 1978 e monarchia comprese.

L’esumazione di Franco dalla Valle dei caduti – dove comunque fu sepolto non per sua volontà, ma per disposizione del re Juan Carlos – nell’ottobre 2019 è stato un gesto di enorme importanza simbolica. Però la mossa chiave del governo di Pedro Sánchez e Pablo Iglesias è la promulgazione della già annunciata “legge della Memoria democratica”, norma che verrà a completare quello che è già stato ottenuto dall’antecedente legge della Memoria storica del 2007. Il suo ambito di attuazione sarà ampio: revoca delle decorazioni e dei titoli concessi durante il regime franchista; annullamento delle sentenze giudiziarie dell’epoca franchista, compresa quella molto famosa contro il golpista separatista Lluís Companys; forti multe e anche la messa fuori legge di associazioni che organizzino iniziative o attuino campagne di sensibilizzazione che «incitino all’esaltazione del franchismo»; trasformazione della Valle dei caduti in un cimitero civile ed espulsione dei benedettini dall’annesso monastero; anche se è considerato secondario, si valuta la possibilità di abbattere la grande croce che sovrasta il cimitero; aggiornamento dei contenuti scolastici per poter indottrinare i bambini secondo la verità ufficiale circa la storia contemporanea spagnola, eccetera.

La debolezza del Ppe e del re

A questo progetto totalitario di riscrittura della storia spagnola e di indottrinamento delle future generazioni in una visione manichea della grande tragedia spagnola del 1936-1939 si sono opposte numerose voci – e non tutte ascrivibili in linea di principio alla destra – che lo considerano contrario alla riconciliazione nazionale sigillata nel 1978, incompatibile con un regime democratico e delegittimante della monarchia. Fra i partiti politici, Vox ha annunciato la sua ferma opposizione. Per quanto riguarda il Partito popolare, resta da vedere quale sarà la sua decisione, poiché si tratta di un tema che ha sempre cercato di evitare per non essere accusato di filo-franchismo. A titolo personale, la deputata del Ppe Cayetana Álvarez de Toledo ha invitato il suo partito a dire un “no” assoluto a una legge che, lungi dall’essere democratica, rappresenta la continuazione dello spirito dittatoriale franchista ma sul versante opposto. Il peso che questa presa di posizione personale potrà avere nella sua compagine è al momento attuale imprevedibile, tenendo conto che la stessa Álvarez de Toledo è stata recentemente destituita del suo incarico di portavoce del partito alla Camera dei deputati.

Il momento scelto per promuovere questa legge controversa non deve nulla al caso, ma è stato favorito dalla situazione delicata che attraversa la Corona spagnola a causa degli scandali finanziari del re emerito, oggi trasferitosi all’estero. I comunisti presenti nel governo non hanno nascosto il loro interesse nell’approfittare della congiuntura per abbattere la monarchia: il vicepresidente del governo Pablo Iglesias ha dichiarato, il 18 settembre, che «compito fondamentale» del suo partito (Podemos, ndt) è lavorare per mettere fine alla monarchia e con essa al sistema che rappresenta. E come prova definitiva del suo animo totalitario e antidemocratico, cinque giorni più tardi ha annunciato che il Partito popolare, principale partito dell’opposizione, «non tornerà mai più a governare il paese».

Foto Ansa

***

Dalla lotta contro il Generalissimo al movimento di don Giussani. Chi è Oriol

José Miguel Oriol

José Miguel Oriol è il fondatore e il presidente del Consiglio di amministrazione di Ediciones Encuentro, casa editrice madrilena, dal 1978. Rampollo di una famiglia cattolica benestante, nei primi anni Settanta va a vivere nel quartiere popolare di Vallejas per condividere la condizione dei più poveri e insieme ad altri dà vita al gruppo cristiano di sinistra ZYX, il cui nome è scelto in polemica col quotidiano ABC, a quel tempo di tendenza franchista. In ZYX confluiscono elementi anarco-socialisti e operaisti. Nel febbraio 1976 Oriol è arrestato e accusato di complicità nell’evasione dalle carceri di alcuni detenuti antifranchisti. Sarà rilasciato in attesa di giudizio nel maggio dello stesso anno e il processo verrà annullato in seguito all’amnistia con cui si avvia la transizione al sistema politico democratico. In questo stesso periodo avvicina il movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione e incontra don Luigi Giussani. Nella primavera del 1978, lasciata ZYX e il gruppo ad essa collegato, Oriol fonda insieme alla moglie Carmina, a Jesús Carrascosa e al sacerdote Tomás Malagón la casa editrice Encuentro, che nei 42 anni seguenti ha pubblicato centinaia di titoli di saggistica in collane di filosofia, storia, teologia, arte e pedagogia. Oriol ha partecipato o condotto 9 incontri al Meeting di Rimini, l’ultimo nel 2009.

Tags: francisco francoguerra civile spagnaguerra civile spagnolaJosé Miguel Oriollegge della memoria democraticamariano rajoyPablo Iglesiaspedro sanchezpodemossocialistispagnatempi ottobre 2020zapatero
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