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Siria. «Ai jihadisti diciamo che siamo cristiani e lo resteremo fino alla morte»

Circa 1000 cristiani vivono in tre villaggi controllati da Al-Qaeda vicino a Idlib, sostenuti da due padri francescani. «Non possiamo esporre croci, rischiamo la vita ma la domenica la chiesa è piena»

Leone Grotti
26/09/2018 - 2:00
Esteri
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A Knayeh, vicino a Idlib, l’ultima roccaforte dei jihadisti in Siria, vive ancora una sparuta comunità di cristiani, sostenuta dalla presenza di due religiosi, frati della Custodia di Terra Santa: padre Hanna Jallouf e padre Louai Bsharat. Nonostante il costante pericolo di essere rapiti o assassinati, continuano a servire un migliaio di fedeli che non hanno voluto abbandonare la propria terra: «La situazione è grave, ma restiamo qui», dichiara all’Agensir padre Hanna. «Ai fondamentalisti diciamo che siamo cristiani e lo resteremo fino alla morte. I nostri avi sono nati e morti qui. Così faremo anche noi».

IL RAPIMENTO. Padre Hanna è abituato alle difficoltà: nel 2014 è stato rapito dai jihadisti di Jabhat al-Nusra insieme ad altri 16 parrocchiani e poi liberato. Da quando è cominciata la guerra siriana, infatti, il villaggio di Knayeh (così come quelli di Yacoubieh e Gidaideh, vicini al confine con la Turchia) è stato quasi subito conquistato da Al-Qaeda, che domina tuttora sull’area, dove sono presenti decine di migliaia di jihadisti legati ad Al-Qaeda, Tahrir al-Sham e Isis.

«RINGRAZIAMO DI ESSERE VIVI». «Ringraziamo il Signore che siamo ancora vivi», afferma padre Hanna, sperando che l’accordo trovato tra Russia e Turchia possa evitare una catastrofe umanitaria a Idlib. Se per ora sono stati scongiurati nuovi combattimenti, attorno ai conventi di San Giuseppe e Nostra Signora di Fatima i problemi sono sempre gli stessi. «Non sappiamo come andrà a finire: i ribelli non intendono né arrendersi né ritirarsi. Se lo facessero tutti noi che viviamo qui, cristiani e musulmani, ne trarremmo giovamento. Anche i nostri fratelli musulmani soffrono molto. Vengono costretti ad andare in moschea e a seguire pratiche che sono solo nella mente di questi fanatici».

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CONVERSIONI FORZATE. I cristiani vivono «nella paura» di essere uccisi o rapiti: «Alcuni giorni fa è stato sequestrato il nostro avvocato e la famiglia ha dovuto sborsare circa 50 mila dollari per il suo rilascio», continua il frate francescano. «Ricordo che quando sono stato rapito io stesso volevano costringerci a convertirci all’islam. Ma siamo rimasti saldi nella fede e siamo tornati a casa più forti e motivati di prima».

OLTRE LA PAURA. Purtroppo la persecuzione dei cristiani nella zona non si è mai fermata: «Il 19 settembre un uomo, da sempre vicino alla nostra parrocchia, è stato ucciso. La sua unica colpa? Quella di aiutare i cristiani». Ora «nessuno va più a lavorare i propri terreni. Dentro casa i cristiani si sentono più al sicuro». Nessuno però manca mai alla Messa: «Ogni giorno vengono in chiesa almeno 50-60 persone. La domenica sono molte di più perché arrivano anche dai villaggi vicini».

«MANCA TUTTO». Padre Hanna ha visto passare dal suo villaggio i membri di quasi tutti i gruppi jihadisti combattenti in Siria. Ha visto le chiese distrutte o bruciate e ora «la vita è difficile, manca praticamente tutto: i prezzi per acquistare i beni necessari sono altissimi. Non abbiamo elettricità e acqua corrente. I miliziani di Al Nusra hanno preso le nostre terre, anche quelle dei conventi, e hanno cacciato i cristiani dalle proprie case per dare alloggio ai loro profughi e ai loro combattenti».

SERVIZIO AI FEDELI. Nonostante le avversità, i frati riescono a provvede alle necessità della comunità, distribuendo a circa 260 famiglie beni di prima necessità come medicine e latte o voucher per acquistare gasolio, vestiti e libri scolastici. «Abbiamo organizzato anche un servizio per portare i bambini a scuola. Le scuole non danno sostegno che per il Corano, l’arabo, l’inglese e la matematica. Ai nostri alunni diamo anche altro materiale di studio ma all’insaputa dei gruppi fondamentalisti che controllano la zona. Se lo sapessero sarebbe un guaio per noi».

«VIETATO ESPORRE LE CROCI». Anche la vita religiosa è dura: «Le nostre celebrazioni sono tollerate solo se svolte all’interno della chiesa, ma ci è vietato esporre all’esterno croci, statue dei santi, immagini sacre, suonare campane. Due mesi fa sono stato convocato dal tribunale religioso dove mi è stato intimato di non vestire più l’abito da frate in quanto segno religioso indicante la fede cristiana. Così mettiamo il saio in valigia quando dobbiamo muoverci e lo indossiamo nelle zone dove ci è permesso».

«MORIREMO QUI». È questo per padre Hanna il prezzo da pagare per «restare tra la nostra gente e il nostro popolo. Da qui è passato san Paolo e noi moriremo qui. La situazione è grave ma continuiamo a pregare e ogni giorno sentiamo la mano di Dio che veglia su di noi. Preghiamo per la pace in Siria, perché finisca questa strage inutile. Abbiamo paura del futuro ma nel dolore e nella sofferenza viviamo un tempo di grazia».

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