Oltre cento leader sunniti siriani, militari e politici, si riuniscono oggi in Arabia Saudita, a Riyad, invitati da re Salman, per «risolvere la crisi» e la guerra che va avanti da cinque anni. L’obiettivo ufficiale è quello di creare un «blocco politico» per guidare una eventuale transizione politica su cui è ancora da trovare un accordo internazionale, ma guardando la lista degli invitati si capisce che in pentola bolle molto altro.
TERRORISTI ISLAMICI. Al dialogo guidato dal ministro degli Esteri Adel al-Jubeir spiccano invitati poco inclini al dialogo, e molto al terrorismo, come i rappresentanti di Ahrar al Sham. Le milizie islamiste, che si oppongono al Califfato ma che sono favorevoli all’instaurazione di uno stato islamico governato dalla sharia, combattono nel nord della Siria e sono entrate a far parte di Jaysh al-Fatah, l’Esercito di conquista finanziato e armato da Arabia Saudita, Turchia e Qatar.
STATO ISLAMICO. L’invito di questa milizia, secondo la Stampa, non è solo un pugno nello stomaco alla Russia di Vladimir Putin, che sta cercando di sgominarla, ma anche agli Stati Uniti, visto che persino Washington non vede di buon occhio un gruppo che in molte parti del paese combatte insieme ad Al-Nusra, la fazione siriana di Al-Qaeda.
I rappresentanti di Ahrar al-Sham sono in buona compagnia, visto che al “tavolo della pace”, sederanno anche i rappresentanti dell’Esercito dell’islam, sempre finanziato dall’Arabia Saudita, presenti nelle periferie di Damasco e fautori anch’essi di uno Stato islamico. Oltre a questi gruppi fondamentalisti, sono arrivati a Riyad anche i “ribelli moderati” appoggiati dall’Occidente della Coalizione nazionale siriana, e altri gruppi considerati più o meno laici.
ESCLUSI I CURDI. Tutte le fazioni invitate da Riyad sono sunnite, come il regno saudita, segno che la pace che vuole raggiungere re Salman è più che altro una conquista settaria sunnita di un paese oggi governato dalla minoranza sciita, di cui Bashar al-Assad, alawita, è esponente.
Una conferma di questo intento viene stavolta dalla lista dei “non invitati”, cioè, a parte Al-Qaeda e Isis, i curdi. La milizia Ypg, che opera nel nord della Siria, è stata finora la più efficace nell’operazione di contrasto al Califfato. Sono loro che hanno ripreso la città di Kobane, insieme a molte altre, e che hanno strappato più territori allo Stato islamico. Interrogato sulla loro assenza, il comandante dei curdi ha dichiarato semplicemente: «Non siamo stati invitati». È chiaro che l’Arabia Saudita preferisce sostenere la Turchia, che ha sempre osteggiato le milizie curde, più che le forze che sul campo stanno davvero cercando di sconfiggere l’Isis.
FRAGILE PACE A HOMS. Si può legittimamente dubitare del «blocco politico» riunito a Riyad e della pace che cerca di ottenere. Oggi intanto gli ultimi ribelli che combattono ad Homs potranno uscire dalla città, dopo aver raggiunto un accordo con il governo siriano, che manterrà il controllo della città e permetterà gli aiuti umanitari. Alcuni ribelli si trasferiranno in altri centri controllati dai ribelli, altri resteranno a Homs e controlleranno con le armi alcune parti della città. Prima della firma dell’accordo, 35 prigionieri sono stati liberati. Un residente di Homs, dove non si sparerà più, ha dichiarato alla Bbc: «Speriamo che vada tutto bene. Cosa potremmo volere oggi più della sicurezza?».
Foto Ansa/Ap