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Home Società

Se sei di sinistra puoi istigare alla violenza e gridare ai brogli su Twitter

Musk vuole fare tornare Trump sul social e molti si preoccupano, intanto account verificati di politici e giornalisti inneggiano alla rivoluzione armata contro la Corte suprema senza essere sospesi

Piero Vietti
13/05/2022 - 6:20
Società
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Musk Twitter
Elon Musk sul red carpet del Met Gala, lo scorso 2 maggio, accompagnato dalla madre (foto Ansa)

Ancora non ha perfezionato l’acquisto di Twitter (anche se qualche testa è già iniziata a cadere internamente), ma da quando il suo tentativo di comprare il social network fondato da Jack Dorsey è diventato concreto ha già fatto impazzire gli alfieri del pensiero progressista che inneggiano alla libertà di parola, la propria, e chiedono ormai sempre più apertamente la censura di chi non la pensa come loro. Da subito l’incubo di tanti è stato quello di un possibile ritorno di Donald Trump sulla piattaforma.

Perché Trump fu bannato da Twitter

L’ex presidente degli Stati Uniti è stato bannato a vita da Twitter un anno fa per due tweet postati l’8 gennaio del 2021 che secondo il board del social network erano un incitamento alla violenza. Qualche giorno fa Elon Musk ha definito quella decisione «moralmente sbagliata ed estremamente sciocca». La colpa, ha detto il fondatore e proprietario di Tesla e SpaceX, è del «forte pregiudizio di sinistra» dei dirigenti di Twitter, «che deve essere molto più imparziale». Il dibattito sull’opportunità o meno di “dire tutto quello che si vuole” su un social frequentato da milioni di persone prosegue da giorni, e molti guru anche italiani dell’uccellino blu si sono affrettati a spiegare che sarebbe inaccettabile, e che il ritorno di un personaggio pericoloso come Trump sarebbe un pessimo segnale.

Trump ha incitato alla violenza e alla rivolta sociale, dicono, è giusto che Twitter non gli dia un palcoscenico mondiale per le sue sparate. In attesa di sapere dai vari Gianni Riotta e Beppe Severgnini chi sono gli altri degni di twittare, può essere utile andare a recuperare i due tweet per cui Trump è stato cacciato (prima da Twitter e poi, in forza del “cartello” della Silicon Valley ben denunciato da David Sacks, da tutti gli altri social).

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Che cosa aveva twittato Trump

Nel primo l’ex presidente salutava i propri elettori definendoli «great American Patriots» che avrebbero avuto una «GIANT VOICE long into the future» e non sarebbero stati trattati «in modo irrispettoso». Twitter ha stabilito che l’espressione “Patrioti Americani” era un «sostegno a chi stava commettendo violenze al Campidoglio», così come i riferimenti alla “VOCE GIGANTE” e all’essere trattati in modo rispettoso sarebbero state chiare indicazioni a non volere permettere una transizione ordinata con Joe Biden, con la promessa di non punire chi si fosse opposto al risultato elettorale. Il secondo tweet incriminato, nel quale The Donald confermava che non sarebbe andato alla cerimonia di giuramento del suo successore a Washington, è stato letto da Twitter come la conferma ai suoi sostenitori che l’elezione di Biden non era legittima.

Non solo, il board del social network ha interpretato l’annuncio dell’assenza di Trump come un via libera indiretto a eventuali azioni violente. Da qui il ban perpetuo, per evitare «ulteriori incitamenti alla violenza». Se è vero, come sostengono i critici dell’operazione Musk, che non ci sono pregiudizi politici dietro ai ban di Twitter, ma solo moderazione dei contenuti “pericolosi”, c’è dunque una linea rossa oggettiva da non superare, annota Stephen Daisley sullo Spectator commentando la vicenda: incitare potenzialmente alla violenza e sostenere che un’elezione non è regolare.

I tweet incendiari dei “buoni”

Deve essere cambiato qualcosa nelle linee guida di Twitter nell’ultimo anno, allora, ironizza amaro il columnist del settimanale britannico, «come spiegare altrimenti l’inerzia di fronte a una serie di utenti verificati, tra cui personalità politiche di spicco, che twittano sulla Corte Suprema con un linguaggio non meno incendiario di quello di Trump?». Forse a Twitter sono troppo distratti a denunciare la mascolinità tossica di Musk per controllare e verificare account come quello di Daniel Uhlfelder, candidato dei Democratici alla carica di procuratore generale della Florida, che ha commentato la notizia di un possibile ribaltamento della storica sentenza sull’aborto in America con un poco equivocabile: «È tempo di una rivoluzione». Appello ripreso da Maria Shriver, giornalista liberal, che ha detto ai suoi due milioni di follower che «questo è il momento della rivoluzione!».

Lori Lightfoot, il sindaco democratico di Chicago, ha twittato: «Ai miei amici nella comunità LGBTQ+, la Corte Suprema si occuperà di noi la prossima volta. Questo momento deve essere una chiamata alle armi. Non rinunceremo ai nostri diritti senza una lotta, una lotta per la vittoria!». La giornalista liberal Caroline Reilly ha commentato la notizia di un centro di consulenza sull’aborto in una chiesa dato alle fiamme da attivisti pro-choice così: «Possano queste persone non conoscere mai un momento di pace o sicurezza finché non marciscono sotto terra».

C’è poi chi – un altro account verificato – ha suggerito di uccidere i giudici conservatori Alito e Thomas così che Biden possa sostituirli con due democratici, e chi ha twittato: «Questo non è il momento della civiltà, questo è il momento della resistenza e della dimostrazione di massa». Nessuno di questi account è stato bannato, sospeso, né risulta indagato, sottolinea l’articolo dello Spectator. Eppure l’incitamento alla violenza è quasi più esplicito di quello di Trump, e non arriva da @Fragolina93 o da @odioilberal74, ma da politici e giornalisti con tanto di “bollino blu”.

Disse che le elezioni in Georgia furono “rubate”. Assunta alla Casa Bianca

C’è poi la questione fake news elettorale: Trump è stato bannato per avere parlato di presidenziali falsate, Karine Jean-Pierrer, che ha scritto su Twitter che le elezioni governative della Georgia del 2018 sono state «rubate», no. Non solo: oggi Jean-Pierre è il nuovo capo della sala stampa della Casa Bianca (la prima donna nera e dichiaratamente gay), e il suo account non è mai stato sospeso nonostante il superamento della linea rossa sulla disinformazione elettorale.

«Se lo facciamo noi va bene» è la costituzione non scritta del progressismo, commenta Daisley, «uno standard incompatibile con la democrazia liberale. Se le regole si applicano a una parte, non sono regole. Sono preferenze di parte travestite da termini e condizioni. Una volta che si eliminano gli standard comuni, si elimina il senso di accordo che ne è alla base. Se non ci sono spazi neutri in cui dibattere, avrà luogo una serie di argomentazioni autonome e nessuna di esse godrà di legittimità». Eppure è questo il Twitter che piace alla bolla dei commentatori h24, un posto in cui i nemici devono essere eliminati se inneggiano alla violenza e dicono fake news sulle elezioni, mentre gli amici possono dire quello che vogliono. Adda venì Muskone.

Tags: Donald Trumpelon musksocial networktwitter
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