Mio caro Malacoda, è un piacere godersi lo spettacolo dilagante del tragico che si mescola col ridicolo ormai senza soluzione di continuità e senza coscienza del confine che li dovrebbe separare. Complimenti. Continua a far discutere gli uomini (e le donne, mi raccomando) di morale, a farli accapigliare pubblicamente su intricatissimi quesiti etici, a farli indignare per questioni di deontologia professionale (il miglior surrogato della morale che siamo riusciti a inventare) soprattutto se sono giornalisti. Adesso in Italia si stracciano le vesti per la pubblicazione di una intercettazione telefonica nella quale compare il nome di un politico che sarebbe stato fotografato mentre si intratteneva a parlare con un transessuale in una via di Roma (permettimi l’apertura di questa parentesi: ci sono ben seicentoventinove deputati del Parlamento italiano fotografabili tutti i giorni mentre si intrattengono con un trans). Ed è uno spasso vedere direttori di giornali con alle spalle centinaia di pagine di intercettazioni pubblicate accusarsi l’un l’altro sul “perché la valletta sì e il politico no.”, “io non pubblicherei ma visto che pubblicano gli altri.”, e che si indignano per fangopoli mentre continuano a sguazzare nel fango. Eppure sarebbe semplice, quando uno vede una pozzanghera ci gira intorno, se ci entra non può poi dire che le sue scarpe sono più pulite di quelle degli altri. Distinguere il bene dal male in certe materie è semplice, c’è una linea chiara che non va superata, se la si supera e poi si pretende di discettare di etica tutto si complica maledettamente, fino all’assurdo. Il nostro compito è esattamente questo, fargli superare la linea e poi farli impancare a moralizzatori.
Non ti sembri esagerato l’accostamento, ma è la stessa cosa quando si parla di embrioni. Per questo noi dobbiamo diffidare di chi pone delle domande semplici, quelle che permettono di affermare un principio (N.B. Dire sempre che i princìpi sono astratti, che quello che conta è il vissuto, gli unici princìpi che non si possono criticare sono quelli della Costituzione). Diffidare di chi chiede “l’embrione è qualcosa o qualcuno?”, oltrepassare la soglia su cui si attesta questa domanda, sfondare questa porta, evitare il problema ontologico e di conoscenza che essa pone, ignorare il suo allarme morale. Insomma, entrare nella pozzanghera dove tutto si mischia e si intorbida. Adesso, solo adesso, vanno riproposti i quesiti “morali”, quelli scelti da noi, quelli che riusciamo a imporre attraverso la mentalità dominante, quelli propagandati dal giornalista collettivo. L’embrione – che non sappiamo se sia qualcosa o qualcuno – va congelato o no? Se ne possono fare due tre quattro venti? Si può venderlo e comprarlo? Quelli congelati vanno distrutti facendoli morire o vanno distrutti facendoli fare a pezzi da qualche scienziato? O è meglio adottarli? E un embrione fatto col seme di un uomo, l’ovulo di una donna, innestato nell’utero in affitto di una seconda donna e dopo nove mesi consegnato alle due donne che l’hanno ordinato, nel caso di separazione di questa “famiglia” di chi è? Attenzione la domanda deve essere “di chi è?” non “a chi va affidato?”. L’ipotesi che abbia una vita sua rientra nella casistica “princìpi” da cui rifuggire. A questo punto non chiedermi di trarne una morale, arrangiati. Ciao
Tuo affezionatissimo zio Berlicche
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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