Simone. Cosa ci sostiene? La coscienza di essere voluti

Di Antonio Simone
10 Agosto 2012
«Quando esco da qui non farò più cazzate», dicono tutti. Come è possibile? Pensieri senza sovrastrutture da una cella dove si sta quasi nudi per il caldo. Trentacinquesima lettera da San Vittore.

Trentacinquesima lettera inviata a tempi.it da Antonio Simone, detenuto nel carcere di San Vittore a Milano. Qui trovate le lettere che monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro,  e Mimmo, ex compagno di cella, hanno scritto a Simone (la lettera di Negri può essere sottoscritta). Qui l’intervista di Simone al Corriere della Sera.

«Quando esco da qui (carcere di San Vittore) non farò più cazzate, ho capito che amo mia moglie così tanto che non sbaglierò più».

Così mi ha detto il mio nuovo compagno di cella, così mi hanno detto altri detenuti con cui parlo. Giusto, ma cosa c’è che può andare oltre lo sforzo dell’io, al lavoro per avere sostegno al proprio impegno? Davanti al dolore (il carcere è una struttura dedicata al dolore non fisico), alle contraddizioni così grandi che ti portano anche a sbagliare (famiglie, parentele, povertà, droga) cosa può sostenere uno sforzo, un proponimento? Quando faccio questa domanda c’è smarrimento.

Cosa c’è più della famiglia? È la coscienza di essere voluto! Fatto, nato perché voluto da qualcuno, voluto per un senso e uno scopo che la vita ti porta a scoprire dentro fallimenti e drammi. Sapendo che chi ti ha voluto e chi ti vuole è la possibilità che non tutto dipenda da te, dalla tua incapacità di essere giusto. Anzi, questa impossibilità a essere giusti aiuta ad attaccarsi a chi ti ha voluto e mi vuole.

Cose comprensibili qui, dove le sovrastrutture della “vita normale” sono meno presenti nei sette metri quadrati della cella, dove si sta quasi nudi per il caldo e nudi per capire cosa sei e farai.

E l’essere voluti da Dio passa necessariamente dal volto della sua storia, della Chiesa, dal volto di chi ti ama, scrive, prega per te, ti aspetta.

Antonio Simone

Lettere precedenti:

34. Ho cambiato cella e raggio. E la porta è aperta

33. «Scusa. Sono un pirla. Ti amo» 

32. Quel che ho ricevuto in dono e non riesco a trattenere

31. San Francesco riletto da noi carcerati

30. Il segreto (rivoluzionario) del nuovo compagno di cella

29. Quando Repubblica mi chiederà scusa?

28. La preghiera non è superstizione, ma domanda

27. Leggere “L’annuncio a Maria” dietro mura alte 5 metri

26. Sono un corpo sequestrato perché non dico “tutto”

25. Devo mentire su Formigoni per uscire?

24. L’autolesionismo e una domanda: perché fare il bene?

23. Il carcere può esser casa se l’orizzonte è l’infinito

22. Per le vostre preghiere ho vergogna e vi ringrazio

21. Il gioco dei 30, 50, 70, 100 milioni

20. Lo sciopero della fame, i cani e la spending review

19. Sciopero della fame. Appello da San Vittore

18. Che me ne faccio del prete in carcere?

17. In carcere l’Italia gioca in trasferta e comandano gli albanesi

16. Leggo Repubblica solo per capire se posso chiedere i danni

15. La mia speranza (cosa disse don Giussani nel 1981)

14. Ikea festeggia la condanna definitiva. Festa con incendio

13. «Che differenza c’è tra me e voi fuori? Nessuna»

12. «Sono di Cl non perché sono giusto. Ma per seguire una via»

11. «Amico, posso diventare anche io di Comunione e libertà?»

10. Gli scarafaggi, il basilico e l’urlo nella notte

9. Mi dimetto da uomo. Meglio essere un porco

8. Cresima in carcere con trans. Sono contento

7. Repubblica mi vuole intervistare. Ok, ma a due condizioni

6. In quel buio che pare inghiottirmi, io ci sono

5. La rissa e l’evirazione. Storie di ordinaria follia a San Vittore

4. Io, nel pestaggio in carcere con cinghie e punteruoli

3. «Ezio Mauro, se vuoi farmi qualche domanda, sono pronto»

2. Anche da un peccato può nascere un po’ più di umanità

1. Lettera dal carcere di Antonio Simone. Con una domanda a Repubblica

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