Si vota la sfiducia a Romano. Il ministro: «Tanti andranno in crisi»

Di Luigi Amicone
28 Settembre 2011
Oggi la Camera vota la sfiducia al ministro per le Politiche agricole Saverio Romano, dopo che i pm palermitani hanno deciso di rinviarlo a giudizio. Il ministro: «in Aula, quando avranno finito di ascoltarmi, tanti deputati dell'opposizione avranno una crisi di coscienza». Ripubblichiamo un'intervista del direttore Luigi Amicone al ministro

Alle 16 la Camera inizierà l’esame della mozione di sfiducia al ministro delle Politiche agricole Saverio Romano. La mozione è stato presentata dopo che i magistrati palermitani hanno rinviato a giudizio il ministro per concorso in associazione mafiosa, nonostante la procura avesse chiesto l’archiviazione del caso. Forte dell’appoggio assicurato da tutta la maggioranza, Romano si dice fiducioso: «Non temo il voto, e non solo perché sono certo della tenuta della maggioranza: in Aula, quando avranno finito di ascoltarmi, tanti deputati dell’opposizione avranno una crisi di coscienza. Vogliono solo buttare giù Berlusconi». Ripubblichiamo dal numero 13 di Tempi un’intervista del direttore Luigi Amicone al ministro, che si chiede: «Ma possibile che mi debba difendere da accuse che gli stessi inquirenti chiedono di archiviare?».

È per lo meno insolito che un presidente della Repubblica firmi il decreto di nomina di un nuovo ministro, ne riceva nelle mani il giuramento, si complimenti con lui e, subito dopo la bella e istituzionale cerimonia, detti alle agenzie una nota in cui lo si invita a «chiarire le pesanti imputazioni a suo carico». Come minimo succede quel che è successo (a partire dal fatidico pomeriggio post-cerimoniale di giovedì 24 marzo) al povero Francesco Saverio Romano. Che già “reo” di essere fuoriuscito dall’Udc per andare a costituire il gruppo parlamentare di Iniziativa Responsabile che ha salvato la maggioranza dal “tradimento” di Gianfranco Fini e del suo Futuro e libertà, un’ora dopo la fresca nomina al vertice del dicastero delle Politiche agricole, era già costretto a difendersi dall’assalto mediatico che lo sospetta di “mafiosità”, così, sic et simpliciter. Naturalmente nessuno può insinuare che dietro la singolare esternazione del Quirinale ci fosse l’intento di “mascariare” il neoministro e dare un colpetto al governo Berlusconi alle prese con l’emergenza della guerra in Libia e dei profughi a Lampedusa. Però, è un fatto che nel comunicato del Colle c’è quanto basta per mettere sotto la lente di ingrandimento una richiesta di archiviazione per concorso esterno in associazione mafiosa depositata presso il gip (e stranamente ancora pendente, con un’udienza decisiva prevista nei primi giorni di aprile a fronte di una richiesta formulata a novembre dal pm Nino Di Matteo, un duro dell’antimafia palermitana, secondo il quale «non ci sono elementi per sostenere l’accusa in giudizio»).

Soprattutto, la nota del Quirinale ha offerto il destro per riciclare e megafonare alcuni degli infiniti sequel di inchieste palermitane che vengono aperte, chiuse e poi di nuovo riaperte, così ad libitum, trascinando sotto una perenne spada di Damocle chiunque venga citato in una telefonata, in una dichiarazione di un pentito, in un “si dice” di un’inchiesta giornalistica. Inchieste che poi non si capisce perché durino decenni, quando la norma prevede che debbano concludersi entro i diciotto mesi, più altri ventiquattro concessi nei casi particolarmente complessi. Comprensibile la delusione del neoministro Romano: «Sono dispiaciuto – dice a Tempi – non sono imputato e non penso che adesso bisogna pure difendersi da indagini che si concludono con la richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero». In effetti è così, ma il missile è già partito e Romano deve pure difendersi da una richiesta di non luogo a procedere. E dalle paginate e titoli dei quotidiani perbene, tipo Repubblica, che fanno quasi tenerezza nella loro stramba faziosità. “Romano ministro. I dubbi del Colle: ‘È indagato’”. E ancora “All’ombra del Cavaliere, la maledizione dei ministri indagati e processati”. Insomma, il circuito mediatico-giudiziario si trova come al solito a fare il più bel mestiere del mondo.

Ministro Romano, non le hanno dato nemmeno il tempo di prendere possesso del suo dicastero che già l’avevano azzoppata. Qual è stata la prima cosa che ha pensato dopo la nota del Quirinale?
Che non poteva essere il pensiero del presidente e che la riforma della giustizia è più che mai urgente e necessaria.

Il giudice per le indagini preliminari ha fissato per l’inizio di aprile l’udienza in cui deciderà sulla richiesta di archiviazione formulata a suo carico dal sostituto procuratore di Palermo Nino Di Matteo. Ha qualche timore dopo quanto è successo?
Guardi, la vicenda è stata vivisezionata per otto lunghi anni dal pm Di Matteo e nulla è stato riscontrato a mio carico. Ho il massimo rispetto per il giudice che dovrà decidere perché il giudice deve esercitare un controllo sull’attività del pubblico ministero, così prevede legge. Ora, siccome il fascicolo di indagine, così come si trova davanti al gip, è assolutamente a sostegno di una prognosi favorevole, non ho nulla da temere. Anche perché, se il pm Di Matteo avesse avuto anche solo un dubbio, non avrebbe certo richiesto l’archiviazione.

Però, anche se «non ci sono elementi per sostenere l’accusa in giudizio», come scrive il pm Di Matteo nella sua richiesta di archiviazione, lei sa bene che le viene comunque rimproverato il sospetto di “contiguità mafiose”.
“Contiguità” è un’affermazione generica e apodittica. Nella vicenda umana e sociale siciliana anche l’incontrare casualmente qualcuno che un giorno un tribunale sentenzierà essere mafioso viene considerato una “contiguità”. Bè, io posso dire non soltanto che questo di per sé non comporta alcun tipo di reato, ma che neppure ho mai fatto questo tipo di incontri. Io ho incrociato due personaggi, Siino nel ’91 e Campanella poi. Uno sembrava che facesse l’imprenditore, l’altro il politico, poi si è scoperto che facevano una doppia vita. E allora? A quanti siciliani capitano incontri del genere? E poi, incontri finalizzati a cosa? A niente.

Lei non è imputato ma il giorno dopo la nota del Quirinale, i due più importanti quotidiani nazionali hanno dato improvvisa notizia di “una nuova mossa dei pm”. Riferisce Repubblica che «Massimo Ciancimino, il supertestimone dei pm, ha raccontato che avrebbe recapitato a Romano una mazzetta da 80 mila euro, tramite un intermediario, per un’attività di lobbying attorno ai finanziamenti della metanizzazione». Precisa il Corriere della Sera che l’ipotesi di accusa della procura è «basata sulle dichiarazioni di Ciancimino, almeno parzialmente riscontrate dalle intercettazioni… colloqui registrati dai carabinieri e trascritti in un secondo momento rispetto all’indagine sul “tesoro” dell’ex sindaco che ha portato alla condanna di Ciancimino Jr e di Lapis».
Senta, io non mi faccio intimidire, quale disegno ci sia dietro queste illazioni si capisce e non c’è bisogno che glielo spieghi io. E comunque, per risponderle, quando nell’aprile 2009 spuntò questa notizia di presunte mazzette, fu lo stesso Ciancimino che in un’intervista al Tg Rai regionale dichiarò di non avere mai intrattenuto rapporti con il sottoscritto né, tantomeno, di avermi dato soldi. Dopo di che, l’intercettazione riguarda un passaggio dove Lapis parla di soldi per tale Romano e lo stesso poi chiarisce in sede di interrogatorio che si tratta di Romano Tronci, un tale che era loro socio nella società del gas. Episodi che mi riguardano di corruzione non ce ne possono essere perché all’epoca dei fatti io non ero nemmeno pubblico ufficiale e non avevo la possibilità di fare assegnare nessun appalto a nessuno. Non so se mi sono spiegato…

Sì, però, ripeto, l’indagine dovrebbe essere chiusa, ma adesso pare che i pm la vogliano riaprire…
Bè, non mi sembra una novità. Di fatto in Italia non si può mai dire che un’indagine è chiusa. Sono otto anni che, come scrive con dispiacere Repubblica sono «sempre indagato e mai imputato», ho un’indagine che è stata aperta nel 2003, chiusa nel 2005, riaperta nel 2005, richiesta di archiviazione nel 2011. Scusi, di cosa stiamo parlando?

Per esempio del fatto che dal tesoro degli archivi giudiziari riemerge che lei nel 1991 frequentò il salotto di Angelo Siino, imprenditore all’epoca incensurato che poi si scoprì essere il “ministro dei lavori pubblici” di Totò Riina…
All’epoca avevo venticinque anni, fui invitato dal geometra Sarenea, funzionario dell’opera universitaria, a un incontro elettorale con Totò Cuffaro, che era candidato, e con questo imprenditore di cui all’epoca non conoscevo né il nome, né l’attività. In quell’occasione partecipai all’incontro in assoluto silenzio perché si stava soltanto presentando il candidato e il candidato era lì per chiedere dei voti. Non l’ho più visto questo Siino, anche perché di lì a qualche mese sarebbe stato arrestato. Perciò, di nuovo, di cosa stiamo parlando?

A quanto pare, nella sentenza che ha condannato Totò Cuffaro i giudici scrivono che il mafioso (poi pentito) Francesco Campanella dichiarò di averla incontrata per raccomandarle la candidatura Giuseppe Acanto a nome di Antonino Mandalà, insospettabile avvocato condannato poi a otto anni per favoreggiamento del boss Bernardo Provenzano.
Lei si immagina se sarei ancora in libertà se una sola dichiarazione accusatoria fatta nei miei riguardi da questo Campanella avesse mai trovato un solo riscontro? Campanella era il leader nazionale dei giovani dell’Udeur e venne presentato da Francesco Rutelli alla convention di Napoli della Margherita. Detto questo, nessuno dei tanti politici che costui ha tirato in mezzo nelle sue dichiarazioni da testimone inattendibile conosceva la sua doppia vita, tanto meno il sottoscritto. E comunque, ripeto, per i pm e per il tribunale questo Campanella è inattendibile. Tant’è che il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione sia per l’indagine su cui il gip decide in questi giorni, sia per analoghe dichiarazioni rilasciate dal Campanella riguardo alla costruzione del centro commerciale di Villabate, inchiesta che è stata archiviata dal gip il 17 febbraio scorso, atto che mi ha prosciolto da ogni ipotesi di accusa insieme ad altri 38 indagati.

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