Tentar (un giudizio) non nuoce
Sì, Trump è il male minore
Ha vinto Donald Trump con un risultato netto e incontrovertibile che non lascia spazio a polemiche pretestuose. Eppure, fino al giorno prima, tutti – io per primo – eravamo convinti che sarebbe stata una competizione da giocare sul filo di lana, con contestazioni e giorni di schermaglie dialettiche. Del resto, tutti si aspettavano un “testa a testa”. Ora, basta guardare la cartina geografica divisa per Stati federali per accorgersi che è praticamente monocolore (rosso, il colore dei repubblicani). Quando mancano 22 grandi elettori da assegnare, la vittoria è schiacciante: 292 per Trump, 224 per Harris. Trump ha vinto anche con il voto popolare, con cinque milioni di voti in più rispetto ai democratici, dimostrando un vantaggio consistente.
Perché è successo? Cosa è accaduto? Innanzitutto, non si è verificato quanto molti si aspettavano: la valanga rosa, ossia il voto femminile fortemente orientato verso Kamala Harris, come accaduto quattro anni fa con Hillary Clinton. Per la seconda volta, The Donald ha battuto una donna. Tra l’altro, sembra che si sia verificato un ribaltamento tra le minoranze: gli uomini di colore, che rappresentano il 12 per cento della popolazione americana, e i latinos, che sono il 18 per cento, che in passato erano un serbatoio di voti quasi totalmente a favore dei democratici, questa volta in tanti hanno votato per i repubblicani. Trump è riuscito a tenere insieme gli ultramiliardari come Elon Musk e le classi meno abbienti, quelle più in difficoltà, persino gli immigrati timorosi che l’ingresso di nuove leve, disposte ad accettare salari più bassi, potesse sottrarre loro posti di lavoro a loro.
Trump non ha la bacchetta magica
Su tutto questo c’è molto da riflettere, ma è evidente che il sentimento del popolo americano ha preso una direzione opposta a quella che si aspettavano i grandi giornali, gli analisti e i commentatori più influenti. Esiste, infatti, nella base popolare una reazione fatta al contempo di paure e aspettative, ma che sicuramente rifiuta la cultura woke di cui Kamala Harris si è fatta portatrice. Un modello tipico della cultura di sinistra presente anche nel nostro Paese, che tende a ridurre gli spazi di libertà, a rafforzare lo Stato e a rendere invasivi i poteri pubblici. Tutto questo non è voluto dalle persone comuni. Al tempo stesso, però, non si possono nascondere preoccupazioni su un elettorato che sembra incapace di accorgersi della realtà nella sua complessità e che appare disposti ad accontentarsi di promesse iperboliche.
Cosa accadrà ora? È difficile dirlo, ma come diceva Otto von Bismarck, «non si mente mai così tanto come prima delle elezioni, durante la guerra e dopo la caccia», o come affermava l’ex governatore di New York Mario Cuomo, «in campagna elettorale si fa poesia, ma si governa in prosa». Io credo che, alla prova del governo, come già accaduto otto anni fa, Donald Trump sarà meno imprevedibile e spavaldo di quanto abbia fatto intendere. Non ha la bacchetta magica, e quindi non credo che riuscirà a risolvere tutti i problemi nelle prime ore, come ha dichiarato. Credo che continuerà su una linea di libertà di mercato, di defiscalizzazione e detassazione, e anche nel rispetto di alcuni valori fondamentali, a partire da quello della vita e della libertà, tema su cui i repubblicani hanno qualificato la loro campagna e la loro politica.
Carnivori ed erbivori
Questo è uno degli elementi che ha sicuramente influito nello spostamento del voto di coloro che hanno radici religiose. Proprio per questo non mi dispiaccio affatto della vittoria di Donald Trump. Non lo considero il miglior presidente possibile, ma tra lui e Kamala Harris, sicuramente rappresenta il “male minore”, soprattutto perché il modello di governo e di società che Trump ha in mente è più ispirato ai principi di sussidiarietà e di apertura alle libertà sociali e alle autonomie rispetto a quello dei democratici, che ricordano molto le impostazioni stataliste e di sinistra italiane e anche europee. Mi auguro che le promesse di pace fatte da Trump possano trovare una soluzione rapida, ma bisogna sempre ricordare che la pace non è la resa e che è sempre necessario difendere le proprie libertà. Questo è un tema su cui anche l’Europa sarà chiamata a dare il meglio di sé.
Inoltre, è prevedibile che Trump concentrerà la sua politica sui temi americani, metterà dazi alle importazioni di merci e, come ha già fatto in passato, chiederà ai Paesi europei di farsi carico in prima persona dei problemi relativi alla propria difesa. Insomma, è finita l’epoca in cui avevamo energia a basso costo dalla Russia, un mercato praticamente infinito e disponibile dalla Cina, e una difesa praticamente gratis grazie alla Nato e agli Stati Uniti. Oggi anche noi europei dovremo assumerci le nostre responsabilità.
Questo penso che possa fare bene all’Europa, chiamata a dimostrarsi all’altezza della sfida. Se, infatti, la vittoria di Trump servisse a svegliare l’Europa non potremmo che compiacerci. Persino Macron ha detto che «in un mondo di carnivori, non possiamo essere gli unici erbivori». Non c’è bisogno di diventare tirannosauri, non ne saremmo capaci: basterebbe che recuperassimo l’intelligenza e la rapidità dei piccoli mammiferi.
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